Il dibattito sullo stop ad alcune forniture militari statunitensi all’Ucraina – AGGIORNATO

 

(aggiornato alle ore 18,00)

Tra conferme e smentite non sembra esserci ancora molta chiarezza circa lo stop alle forniture militari statunitensi all’Ucraina riguardanti alcune tipologie di armamenti ormai presenti in misura insufficiente nei depositi delle forze armate statunitensi.

Come abbiamo raccontato nei giorni scorsi spiegato l’Ucraina ha reso noto di non aver ricevuto alcuna notifica ufficiale dagli Stati Uniti in merito alla sospensione o alla riprogrammazione dei pacchetti di aiuti militari precedentemente approvati.

Il ministero della Difesa di Kiev è stato però smentito dalla portavoce del Dipartimento di Stato USA, Tammy Bruce, che ha negato che Kiev non fosse stata informata sulla sospensione dell’assistenza alla sicurezza statunitense definendo tali dichiarazioni errate.

“Sostengo che non sia corretto, ovviamente forse alcuni ucraini ne hanno sentito parlare dai notiziari. Le nostre linee di comunicazione con l’Ucraina sono sempre state solide”, ha dichiarato Bruce.

“Valutiamo sempre i quantitativi di nostre munizioni e dove le stiamo inviando. Non possiamo dare armi a tutti, in tutto il mondo”, ha detto il portavoce del Pentagono, Sean Parnell, pur senza specificare i tipi o le quantità di armi che saranno bloccati.

Da più parti però si è parlato del blocco delle forniture di decine di missili Patriot, di diversi missili AIM-9 e AIM-120 aria-aria per gli aerei da combattimento F-16 e impiegati anche dai sistemi di difesa aerea NASAMS. Ma anche di migliaia di munizioni guidate d’artiglieria da 155 mm, più di 100 missili Hellfire, oltre 250 razzi campali a guida di precisione GMLRS per i sistemi HIMARS e decine di missili aria-terra Stinger.

L’Ucraina “farà fatica” a combattere i russi senza le munizioni statunitensi, ha dichiarato una fonte militare Ucraina. “Attualmente dipendiamo fortemente dalle forniture di armi statunitensi, anche se l’Europa sta facendo tutto il possibile, ma faremo fatica senza le munizioni statunitensi”.

In aprile per la prima volta – ha riportato la CNN – l’Europa ha superato gli Stati Uniti nel totale degli aiuti militari all’Ucraina, contribuendo per 72 miliardi di euro contro i 65 miliardi forniti da Washington.

Il Cremlino ha subito salutato la svolta americana come un passo per “avvicinarsi alla fine della guerra” ma oggi il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, ha dichiarato che “per quanto riguarda il tipo e la quantità delle continue forniture di armi all’Ucraina da parte degli Stati Uniti, ci vorrà tempo per chiarire la situazione con sicurezza. Continuano a circolare molte dichiarazioni contrastanti”.

Peskov ha precisato che “le forniture di armi all’Ucraina continuano ed è ovvio che anche gli europei stanno attivamente partecipando al rifornimento di armi all’Ucraina. Queste azioni sono molto probabilmente in contrasto con i tentativi di promuovere una soluzione pacifica”.

Per il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev,  Trump ‘‘è di nuovo in bilico nella sua oscillazione politica” e ” la Russia deve continuare a raggiungere gli obiettivi dell’operazione militare speciale, riconquistare la nostra terra e impegnarci per la vittoria”.

Al di là dell’evidente e crescente distacco dell’Amministrazione Trump dalla causa ucraina e dal conflitto con Mosca, il dibattito negli Stati Uniti e in Europa vede contrapposte. C’è chi valuta che la decisione statunitense sia dovuta, pragmaticamente, al brusco crollo delle riserve di armi antimissile e di altro tipo nei deposti statunitensi.

Ragioni militari quindi, non politiche, che rischiano di privare l’Ucraina di ogni possibilità di difendere il proprio spazio aereo dai crescenti bombardamenti russi che si sono intensificati negli ultimi giorni e che privilegiano, oltre agli obiettivi industriali, proprio le batterie delle difese aeree ucraine con la distruzione, il 5 luglio, di due lanciatori e due moduli radar dei sistemi Patriot ucraini.

La prudenza di Washington circa il rapido impoverimento delle sue riserve di armi da difesa aerea e antimissile sembra essere stata incoraggiata anche dall’intenso consumo di armi di questo tipo nelle operazioni contro gli Houthi dello Yemen e nelle valutazioni sul rapido assottigliarsi delle scorte di armi anti-balistiche israeliane (i missili intercettori Arrow) durante la guerra dei 12 giorni contro l’Iran e i suoi numerosi missili balistici.

A sostegno della tesi che vede la decisione di sospendere alcune forniture a Kiev dettata da carenza di munizionamento va tenuta presente la dottrina militare USA che prevede di mantenere la capacità di combattere due conflitti contemporaneamente in aree diverse del mondo, dottrina che impone di avere i depositi piene e con scorte in eccesso, non in profondo difetto e con una tendenza ad un ulteriore assottigliamento.

Infine, se gli Stati Uniti saranno in grado solo nel 2027 di produrre 650 missili Patriot (destinati non solo all’Ucraina e non solo alle forze statunitensi) all’anno e i russi producono già oggi un migliaio almeno di missili balistici Iskander-M e quasi 200 ipersonici Kinzhal all’anno (come riferisce il servizio segreto militare ucraino GUR), è evidente che la coperta per la difesa aerea statunitense e NATO resta molto corta.

Sul versante opposto c’è chi vede nella carenza di armi un alibi per mascherare l’abbandono dell’Ucraina, come NBC News che ha accusato il segretario alla Difesa, Pete Hegseth, di aver deciso da solo di bloccare l’invio di queste tipologie di armi a Kiev senza un reale motivo militare, poiché fonti anonime del Pentagono citate dalla televisione hanno riferito che gli aiuti a Kiev non mettevano a repentaglio le scorte americane.

Non si può escludere che NBC News utilizzi questi temi per mettere in difficoltà l’Amministrazione Trump, poiché già da mesi gli ucraini erano stati avvisati che gli aiuti militari sarebbero stati drasticamente ridotti, specie nel settore della difesa aerea, proprio mentre diversi sistemi di difesa aerea forniti a Kiev dall’Europa (come i SAMP/T e i Crotale) sono da mesi del tutto privi di munizioni.

Il governo ucraino ha infatti reiterato le richieste di armi da difesa aerea all’Europa che però non ha più munizioni da cedere all’Ucraina. Inoltre, dati allarmanti circa il crollo delle riserve di Patriot e altre munizioni erano emersi al Pentagono già durante l’Amministrazione Biden.

Anche la notizia che il governo tedesco valuta l’acquisto dagli Stati Uniti di due batterie di Patriot per l’Ucraina lascia il tempo che trova: la Germania potrebbe ordinare Patriot nuovi che uscirebbero dagli stabilimenti tra non meno di un anno, mentre Kiev ne ha bisogno ora.

Trump, in un colloquio con Volodymyr Zelesnky, ha dichiarato che gli Stati Uniti vogliono aiutare l’Ucraina nella difesa aerea, come riporta Axios citando alcune fonti, secondo le quali i due leader di sono accordati per un incontro fra i loro collaboratori per discutere della difesa aerea e delle forniture di altre armi. “Trump ha detto di voler aiutare nella difesa aerea e che controllerà cosa è stato fermato”, ha detto una fonte precisando che però non vi sarebbero al momento impegni precisi.

La questione, negli Stati Uniti e in Europa, appare ormai più politica che militare, con i democratici americani attaccano il segretario della Difesa Pete Hegseth.

“Non abbiamo riserve più basse di quanto non abbiamo mai avuto nei tre anni e mezzo di conflitto in Ucraina“, ha dichiarato Adam Smith, deputato dem alla Commissione difesa della Camera, precisando di “aver controllato i numeri” delle riserve disponibili di queste armi concludendo che non c’è giustificazione per la sospensione degli aiuti all’Ucraina.

La pensa diversamente Dan Caldwell, ex consigliere di Hegseth, che in un’intervista al Wall Street Journal ha reso noto che occorreranno anni per ripristinare nei magazzini delle forze armate statunitensi le scorte di armi e munizioni inviate a Kiev. Valutazione che si rafforza ulteriormente tenendo conto anche degli aiuti militari forniti negli ultimi 20 mesi a Israele.

Caldwell ha sottolineato che, al ritmo attuale di produzione, il settore della difesa americano è in difficoltà nel rimpiazzare oltre 3.000 missili Stinger e milioni di proiettili di artiglieria già consegnati a Kiev. Questa situazione solleva interrogativi sempre più urgenti sulla capacità difensiva degli Stati Uniti in altri scenari globali.

“Sarebbe sconsiderato inviare altre armi vitali, considerando i rischi di un’escalation in Medio Oriente e le tensioni in aumento con la Cina“, ha dichiarato Caldwell.

In ambito NATO il Segretario generale Mark Rutte, in una intervista al New York Times, ha definito “giusto” che gli europei “si facciano carico di una quota maggiore dell’onere” rispetto agli Stati Uniti ”quando si tratta di fornire un sostegno concreto all’Ucraina.

Ma si tratta di chiacchiere in libertà dal momento che anche un impegno militare e finanziario europeo a sostenere la difesa aerea di Kiev richiederebbe anni per tradursi in missili a disposizione degli ucraini dal momento che le nazioni europee hanno riserve di armi molto più esigue di quelle statunitensi e hanno di fatto esaurito ogni possibilità di consegnare nuovi lotti di armi e munizioni all’Ucraina in quantità rilevanti e tempi stretti.

“Su indicazione del presidente Trump, il Dipartimento della Difesa invierà ulteriori armi difensive all’Ucraina per garantire che gli ucraini possano difendersi mentre noi lavoriamo per garantire una pace duratura e porre fine alle uccisioni”, ha dichiarato questa mattina il portavoce capo del Pentagono, Sean Parnell.

“Il nostro quadro di riferimento per la valutazione da parte del presidente degli Stati Uniti delle spedizioni militari in tutto il mondo rimane in vigore ed è parte integrante delle nostre priorità di difesa America First”, si legge ancora nella nota del Pentagono.

In termini militari del resto, anche l’invio a Kiev di qualche decina di Patriot in più non cambierebbe il corso del conflitto né la capacità ucraina di proteggere nel tempo il proprio spazio aereo dai missili balistici, da crociera e dai droni russi.

Da quanto riportato nel pomeriggio di oggi (ora italiana) da Axios il presidente Trump si sarebbe impegnato a inviare immediatamente 10 (dieci) missili intercettori Patriot all’Ucraina, secondo quanto riportato da fonti dell’Amministrazione USA.

Una fornitura simbolica che potrebbe no9n essere sufficiente a rispondere ai missili balistici russi neppure per una sola notte se si tiene conto che tre settimane or sono le batterie statunitensi hanno lanciato quasi 30 missili Patriot per intercettare la dozzina di missili balistici iraniani lanciati per rappresaglia contro la base di Al-Udeid in Qatar. E in quella occasione l’Iran aveva annunciato in anticipo quale obiettivo avrebbe preso di mira.

Le stesse considerazioni riguardano la situazione sul campo di battaglia dove i russi continuano ad avanzare e ad allungare il fronte assottigliando le difese ucraine e ponendo l’esercito di Kiev di fronte al rischio di un tracollo.

In termini strategici non sembra esserci nessuna possibilità che l’Ucraina possa riconquistare quel 20 per cento di territorio nazionale perduto né che possa impedire a Mosca di conquistarne ulteriori porzioni. Il dibattito sulle inadeguate forniture di USA ed Europa non ha quindi molto senso, specie se tutti in Occidente hanno le riserve di armi e munizioni agli sgoccioli.

Per l’Ucraina non ha un senso continuare questa guerra: è senza prospettive e ogni mese di conflitto in più determinerà perdite umane e territoriali del tutto inutili. Kiev ha due possibilità, come ha detto Oleksji Arestovich, già consigliere di Zelensky: accettare di perdere oggi quattro regioni più la Crimea, ma sopravvivendo come Stato con un futuro forse nella Ue anche se non nella NATO.

Oppure continua a combattere ed entro la fine dell’anno potrebbe perdere otto regioni e rischiare il collasso dello Stato.

Foto Lockheed Martin, Bundeswehr, TASS, Casa Bianca e US DoD

 

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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