Le potenze di BRICS e SCO respingono le pressioni di USA e UE – AGGIORNATO

 

(Aggiornato alle ore 18,00)

Russia, India e Cina, le potenze principali dei BRICS e della SCO, la Shangai Cooperation Organization, hanno risposto all’unisono alle pressioni militari ed economiche di Stati ed Europa con comunicati ufficiali destinati con ogni probabilità a riaccendere le tensioni internazionali.

India e Cina hanno replicato con un fermo diniego alle pretese di Donald Trump che ha chiesto alle due potenze asiatiche di cessare l’importazione di petrolio dalla Russia per evitare ulteriori dazi commerciali.

Al tempo stesso, Mosca non sembra incline ad accettare l’ultimatum di Donald Trump per la cessazione delle ostilità in Ucraina entro l’8 agosto: inizialmente Trump aveva dato a Mosca 50 giorni, poi 10/12 chiesto per fissare infine la scadenza dell’ultimatum a domani.

Inoltre, la Federazione Russa ha invece risposto con un gesto, simbolico ma significativo in questo contesto, l’uscita dal Trattato Intermediate-Range Nuclear Forces (INF) da cui gli Stati Uniti si erano già ritirati unilateralmente nel 2019, alla decisione statunitense di dispiegare in Asia e in Europa missili balistici a raggio intermedio e di fornirne anche ad alcuni alleati NATO.

In un clima già teso si aggiunge la volontà cinese, resa nota dal Wall Street Journal, di ha intensificare i controlli sulle esportazioni verso USA ed Europa di minerali critici indispensabili alla produzione industriale in alcuni settori-chiave ad alta tecnologia come quello della Difesa e dell’Aerospazio.

Dopo aver subito supinamente i dazi commerciali, le imposizioni di Trump circa gli investimenti europei negli USA e l’acquisto di armi ed energia americane, l’Unione Europea sembra dimostrarsi vassalla di Washington anche nei confronti di Pechino.

Ieri il giornale on line statunitense Politico ha riferito, citando una fonte diplomatica, che la UE si prepara a premere per l’introduzione di sanzioni contro la Cina in risposta al crescente coinvolgimento di Pechino nel sostegno alla guerra della Russia contro l’Ucraina. Coinvolgimento che la Cina ha sempre negato precisando di non aver mai fornito equipaggiamenti militari a Mosca.

In un simile contesto è facile immaginare che vi sia un coordinamento tra Cina, Russia e India per far fronte alle pressioni statunitensi e una conferma in tal senso sembra giungere dall’arrivo, ieri sera a Mosca, del Consigliere per la Sicurezza Nazionale indiano, Ajit Doval, come ha riportato il Times of India, affermando che “la sua visita mira a rafforzare il partenariato strategico dell’India con la Russia, in un contesto di crescenti tensioni globali”.

Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa russa TASS, Doval ha in programma oggi “una serie di incontri”.

Dopo un lungo avvicinamento tra New Delhi e Washington, che ha visto anche massicci acquisti di armamenti statunitensi da parte dell’India, tradizionale partner militare dell’industri della Difesa russa, le minacce di Trump potrebbero ottenere l’effetto opposto.

Invece di allontanare l’India da Mosca, la politica americana (ed europea) potrebbe rafforzare le intese russo-indiane.

Oltre a minacciare più volte di aumentare i dazi a New Delhi, Trump ha accusato il governo indiano di “alimentare la macchina da guerra russa” in Ucraina, acquistando petrolio russo. Funzionari indiani sentiti dal Times of India hanno affermato che gli avvertimenti di Trump non comprometteranno i rapporti tra India e Russia.

Vediamo nei dettagli i tre diversi scenari nella crisi tra le tre potenze dello SCO e dei BRICS e l’asse (sbilanciato) tra  Stati Uniti e UE.

 

La Cina salvaguarderà sovranità, sicurezza e interessi nazionali

“La Cina adotterà misure ragionevoli per la salvaguardia energetica in base ai propri interessi nazionali”, ha affermato il 29 luglio il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Guo Jiakun in risposta alle dichiarazioni del segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Scott Bessent, che ha minacciato di imporre ulteriori dazi a Pechino se continuerà a importare petrolio dalla Russia.

“Le guerre commerciali basate sui dazi non producono vincitori, coercizione e pressioni non risolveranno alcun problema. La Cina salvaguarderà con fermezza la propria sovranità, sicurezza e interessi di sviluppo”, ha spiegato il portavoce.

Negli ultimi mesi, gli Stati Uniti hanno intensificato le pressioni diplomatiche su Pechino affinché cessi le importazioni di petrolio russo, considerate un finanziamento indiretto alla guerra in Ucraina.

Il segretario al Tesoro USA Scott Bessent ha riferito che Pechino ha rifiutato ogni ultimatum, sottolineando che “la Cina prende molto seriamente la propria sovranità”. Washington ha minacciato dazi fino al 100%sulle merci cinesi se l’acquisto di petrolio russo continuerà. Il greggio russo, venduto a prezzo scontato costituisce oggi oltre il 20% delle importazioni energetiche cinesi. La Cina rimane il principale acquirente di petrolio russo, con circa 2 milioni di barili al giorno, seguita da India e Turchia.

 

Il greggio dell’Iran

Bessent aveva inoltre espresso il disappunto di Washington per la prosecuzione degli acquisti cinesi di petrolio iraniano, sottoposto a sanzioni da USA e UE,

A fine luglio gli Stati Uniti hanno sanzionato un quarto terminal di importazione di petrolio in Cina (Zhoushan Jinrun Petroleum Transfer) per aver ricevuto carichi di petrolio iraniano, in quanto “ha una comprovata esperienza nell’accettazione di petrolio e prodotti petroliferi iraniani”.

Zhoushan Jinrun gestisce un terminal a Zhoushan, che è la base di alcune delle più grandi raffinerie cinesi. “Questo comportamento continua a consentire all’Iran di finanziare le sue ambizioni nucleari, sostenere gruppi terroristici e consentire l’interruzione del flusso commerciale e della libertà di navigazione nelle vie d’acqua cruciali per la prosperità globale e la crescita economica”, ha affermato il Dipartimento di Stato.

Nell’ultimo ciclo di sanzioni gli USA hanno designato 20 entità in tutto il mondo, tra cui operatori di flotta oscura e petroliere, coinvolte nel trasporto e nell’acquisizione di greggio e prodotti petroliferi iraniani. All’inizio di quest’anno gli Stati Uniti hanno preso di mira con sanzioni i terminal petroliferi cinesi e diverse raffinerie indipendenti, le cosiddette “teapot” (teiere), che da allora hanno faticato ad approvvigionarsi di petrolio iraniano a basso costo. Alcune raffinerie nella provincia di Shandong, patria delle teiere, hanno smesso di acquistare greggio iraniano per paura di essere le prossime sulla lista delle sanzioni. Nonostante le pressioni USA, la Cina continua ad acquistare ingenti volumi di petrolio iraniano.

Pechino è infatti il principale cliente di Teheran, acquistando il 90% del petrolio esportato per una quantità stimata quasi 1,4 milioni di barili al giorno.

 

Dual-use cinese per i russi

Lamentele statunitensi anche per la vendita a Mosca di attrezzature tecnologiche cinesi “dual use” (cioè impiegabili anche in campo militare) per un valore superiore a 15 miliardi di dollari, che secondo gli Stati Uniti hanno rafforzato la capacità bellica russa contro l’Ucraina.

Il segretario al Tesoro USA ha avvertito il suo omologo cinese, il vicepremier He Lifeng (nella foto sotto), che la prosecuzione di tali vendite alla Russia danneggerà gli sforzi della Cina per rafforzare i rapporti commerciali con l’Europa: «Ho fatto notare loro che la percezione pubblica in Europa è fortemente danneggiata dal fatto che la Cina contribuisce al conflitto ai confini europei».

Il fatto che un ministro statunitense ammonisca la Cina minacciando rappresaglie per conto della UE la dice lunga sull’autonomia e la sovranità che l’Europa riesce esprime nella crisi più grave dalla fine della Guerra Fredda.

Bessent ha poi sottolineato che la nuova legge in discussione al Congresso autorizzerebbe Trump a imporre dazi fino al 500% ai paesi che acquistano petrolio russo sanzionato, spingendo anche gli alleati degli Stati Uniti a prendere misure simili per tagliare le entrate energetiche della Russia.

«Penso che chiunque acquisti petrolio russo sanzionato debba essere pronto a questa eventualità», aveva dichiarato Bessent in conferenza stampa, aggiungendo che «i cinesi tengono molto alla loro sovranità. Non vogliamo interferire con la loro sovranità, quindi preferiscono pagare un dazio del 100%».

 

Minerali critici e terre rare

In tema di minacce e rappresaglie, il Wall Street Journal ha riferito il 4 agosto che la Cina ha intensificato i controlli sulle esportazioni di minerali critici, rallentando la produzione bellica in Occidente e costringendo le aziende della difesa a cercare scorte alternative per materiali essenziali alla fabbricazione di proiettili, droni e aerei da combattimento.

Sebbene Pechino abbia parzialmente allentato i limiti all’esportazione di terre rare dopo aver ottenuto concessioni commerciali dagli Stati Uniti lo scorso giugno, continua a bloccare l’export di minerali destinati all’industria della difesa. La Cina fornisce circa il 90 per cento delle terre rare mondiali e domina anche la produzione di altri minerali strategici.

Per effetto di questi ostacoli, un fornitore di componenti per droni delle forze armate statunitensi ha dovuto ritardare alcune consegne fino a due mesi per trovare magneti non di origine cinese. Il WSJ riporta inoltre che alcuni materiali hanno subito rincari di cinque volte rispetto ai prezzi abituali; un elemento chiave come il samario è stato offerto a un prezzo sessanta volte superiore, facendo impennare i costi dei sistemi di difesa.

 

Le terre rare e i minerali critici cinesi sono impiegati nella fabbricazione di dispositivi elettronici, motori di droni, visori notturni, sistemi di puntamento missilistico, satelliti militari e molto altro, riferisce il quotidiano

Secondo esperti interpellati dal “Wall Street Journal”, alcuni elementi sono così rari che la loro produzione in Occidente non è economicamente sostenibile. Oltre al blocco delle terre rare, dal dicembre scorso Pechino ha vietato anche la vendita di germanio, gallio e antimonio agli Usa, minerali usati per rinforzare proiettili e migliorare la visione notturna.

Il quotidiano cita Bill Lynn, amministratore delegato di Leonardo DRS – filiale statunitense del colosso italiano della difesa Leonardo – secondo cui l’azienda è ridotta alle scorte di sicurezza di germanio, fondamentale per i suoi sensori a infrarossi.

“Per mantenere le consegne puntuali, il flusso di materiali deve migliorare nella seconda metà del 2025”, ha avvertito Lynn. Il Pentagono ha imposto ai fornitori di interrompere l’uso di magneti con materiali cinesi entro il 2027.

Alcune aziende hanno accumulato scorte, ma per molti minerali critici tali riserve sono sufficienti soltanto per pochi mesi. I produttori di droni, spesso startup con risorse limitate, sono tra i più esposti alla crisi, che evidenzia la profonda dipendenza della difesa statunitense dalle forniture cinesi, il che significa che la situazione per l’industria europea, già alle prese col caro-energia, è ancora più grave.

 

L’Europa minaccia Pechino

Ciò nonostante la UE si accoda agli Stati Uniti nel minacciare sanzioni a Pechino in risposta al sostegno cinese alla guerra della Russia contro l’Ucraina. Il giornale on-line americano Politico ha riferito, citando una fonte diplomatica dell’Ue, che le sanzioni potrebbero venire decise dopo agosto, in seguito a una serie di indagini su spedizioni sospette di componenti cinesi destinate all’industria russa dei droni militari, già note a Bruxelles da tempo.

“Il rapporto è accurato e mostra che la Cina sta intensificando il suo ruolo, sia quantitativamente che qualitativamente”, ha affermato la fonte diplomatica.

E’ giusto dire che senza il sostegno cinese, la guerra avrebbe un aspetto molto diverso in questo momento”, ha proseguito la fonte di “Politico.

L’inchiesta fa seguito a quanto rivelato il mese scorso: un rapporto rilanciato da diversi media internazionali, infatti, mostrerebbe che i motori per droni di fabbricazione cinese sarebbero stati spediti in Russia tramite società di comodo, etichettati falsamente come “unità di refrigerazione industriali”, al fine di eludere le sanzioni occidentali. Quindici Paesi membri dell’Ue hanno sollevato la questione con Pechino.

 

La risposta dell’India

Dura e circostanziata è stata la risposta dell’India a minacce di Stati Uniti ed Europa. Riportiamo integralmente qui sotto la dichiarazione del ministero degli Esteri tradotta in italiano e, a questo link, l’originale in lingua inglese.

Dichiarazione del portavoce ufficiale

4 agosto 2025

L’India è stata presa di mira dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea per aver importato petrolio dalla Russia dopo l’inizio del conflitto in Ucraina. In realtà, l’India ha iniziato a importare dalla Russia perché le forniture tradizionali sono state dirottate verso l’Europa dopo lo scoppio del conflitto. All’epoca, gli Stati Uniti incoraggiavano attivamente tali importazioni da parte dell’India per rafforzare la stabilità dei mercati energetici globali.

  1. Le importazioni dell’India mirano a garantire costi energetici prevedibili e accessibili al consumatore indiano. Sono una necessità imposta dalla situazione del mercato globale. Tuttavia, è significativo che le stesse nazioni che criticano l’India stiano a loro volta intrattenendo rapporti commerciali con la Russia. A differenza del nostro caso, tali scambi non rappresentano nemmeno un obbligo nazionale vitale.
  2. Nel 2024, l’Unione Europea ha registrato un commercio bilaterale di beni con la Russia pari a 67,5 miliardi di euro. Inoltre, nel 2023, ha registrato scambi di servizi stimati in 17,2 miliardi di euro. Si tratta di un valore significativamente superiore al commercio totale dell’India con la Russia in quell’anno o in quelli successivi. Le importazioni europee di GNL nel 2024, infatti, hanno raggiunto il record di 16,5 milioni di tonnellate, superando l’ultimo record di 15,21 milioni di tonnellate del 2022.
  3. Il commercio tra Europa e Russia include non solo energia, ma anche fertilizzanti, prodotti minerari, prodotti chimici, ferro e acciaio, macchinari e mezzi di trasporto.
  4. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, continuano a importare dalla Russia esafluoruro di uranio per la loro industria nucleare, palladio per la loro industria dei veicoli elettrici, fertilizzanti e prodotti chimici.
  5. In questo contesto, prendere di mira l’India è ingiustificato e irragionevole. Come ogni grande economia, l’India adotterà tutte le misure necessarie per salvaguardare i propri interessi nazionali e la propria sicurezza economica.

E’ interessante notare che nessuno degli aspetti evidenziati dal documento è contestabile, aspetto che ridicolizza le pretese e le minacce di USA e UE.

Buona parte delle importazioni di petrolio russo effettuate dall’India finisce in occidente sotto forma di carburante. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (IEA), nel 2023 i paesi europei hanno importato circa 225mila barili al giorno di benzina e diesel indiani, rispetto a una media di 120mila nei cinque anni precedenti.  L’Olanda ha beneficiato più di altre nazioni europee dei carburanti indiani prodotti con petrolio russo: tanto che il porto di Rotterdam ha registrato un aumento di 2,5 volte il volume dei prodotti petroliferi provenienti dall’India.

Shilan Shah, analista  di Capital Economics citato dall’Agenzia di stampa France Presse,  ha affermato che l’India potrebbe “in linea di principio” trovare fornitori alternativi “relativamente facilmente e senza un impatto economico significativo”. Ma politicamente, questo rappresenterebbe una sfida. “I responsabili politici sarebbero riluttanti a turbare le relazioni generalmente cordiali (e di lunga data) con la Russia”.

Vale poi la pena aggiungere il recente accordo di cooperazione spaziale tra la NASA e l’agenzia russa per lo spazio Roscosmos, il cui direttore Dmitry Bakanov, ha infatti dichiarato nei giorni scorsi di aver concordato con la sua controparte della NASA di estendere le operazioni della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) fino al 2028.

Bakanov, era arrivato in Texas per incontrare l’amministratore ad interim della NASA Sean Duffy, segnando la prima visita negli Stati Uniti di un capo dell’agenzia spaziale russa dal 2018. “La conversazione è andata bene. Abbiamo concordato di gestire la ISS fino al 2028… e lavoreremo sulla questione della sua deorbitazione entro il 2030”, ha dichiarato Bakanov, citato dall’agenzia di stampa statale russa TASS.

L’accordo prevede voli integrati russo-americani. In settembre, ha affermato la NASA, l’astronauta statunitense Frank Rubio partirà verso la stazione spaziale dal cosmodromo di Baikonur, affittato da Mosca in Kazakistan, insieme a due cosmonauti russi, Sergey Prokopyev e Dmitry Petelin.

In cambio, la cosmonauta Anna Kikina si unirà a due astronauti statunitensi e a un astronauta giapponese in un volo Crew Dragon di SpaceX verso il laboratorio orbitale, con decollo dal Kennedy Space Center della NASA in Florida. Trump importa da Mosca materie prime per la sua industria nucleare e hi-tech, manda i suoi astronauti in Russia e accoglie quelli russi in Florida e il direttore di Roscosmos in Texas ma minaccia Cina e India per le relazioni economiche con Mosca.

Il 4 agosto il presidente USA ha minacciato nuovamente di aumentare i dazi perché l’India “non solo compra grandi quantità di petrolio russo, ma poi lo vende sul mercato libero per trarne grandi profitti, senza curarsi di quante persone in Ucraina vengono uccise dalla macchina da guerra russa”.

Il 3 agosto il vice capo di gabinetto della Casa Bianca, Stephen Miller, ha accusato l’India di imporre “tariffe massicce” sui beni statunitensi, di “ingannare” il sistema dell’immigrazione Usa e di acquistare quasi tanto petrolio russo quanto la Cina.

Trump ha affermato che dal 9 agosto venerdì simo imporrà nuove sanzioni alla Russia e ai Paesi che acquistano le sue esportazioni energetiche, a meno che Mosca non prenda provvedimenti per porre fine alla sua guerra di tre anni e mezzo con l’Ucraina.

L’India, terzo importatore di petrolio al mondo, dal 2022 è diventata il principale acquirente di petrolio russo via mare, acquistando fino a 2 milioni di barili al giorno di greggio, pari al 2% dell’offerta globale. Secondo gli analisti di JP Morgan, la rotta indiana è così importante per il Cremlino che, se interrotta, potrebbe spingerlo a reagire chiudendo l’oleodotto CPC dal Kazakistan, dove le principali compagnie petrolifere statunitensi Chevron ed Exxon detengono importanti quote.

“La Russia non è priva di potere decisionale”, ha affermato lo studio della banca statunitense.

A dare man forte a Trump è scesa in campo il 5 agosto l’Ucraina.  “Purtroppo, stiamo rilevando componenti di fabbricazione indiana nei droni d’attacco russi, compresi i modelli Shahed/Geran”, ha affermato il capo dell’Ufficio presidenziale ucraino Andriy Yermak. “Alla Russia deve essere negato l’accesso a componenti di fabbricazione straniera che consentono l’utilizzo di queste armi e l’uccisione di cittadini ucraini”, ha aggiunto.

Oggi pomeriggio (in Italia) Trump ha disposto l’imposizione di un dazio aggiuntivo del 25 per cento sulle importazioni di prodotti provenienti dall’India “che importa direttamente o indirettamente petrolio dalla Federazione Russa”, recita un comunicato della Casa Bianca. L’aliquota entrerà in vigore 21 giorni dopo la data odierna, con l’eccezione delle merci che risultino già in viaggio prima di tale data e che vengano sdoganate entro il 17 settembre.

Il dazio sarà applicato in aggiunta agli altri dazi, imposte e oneri esistenti, salvo eccezioni previste per specifici articoli esentati da altre normative o elencati in ordini esecutivi precedenti.

 

Mosca non si considera più vincolata dal Trattato INF

Gli Stati Uniti uscirono nel 2019 dal Trattato INF, durante l’Amministrazione Trump, lamentando che i missili balistici russi Iskander schierati da Mosca nella regione di Kaliningrad avevano un raggio d’azione superiore ai 500 chilometri (Mosca riferì di 450 km) e quindi rientravano nella categoria dei missili a raggio intermedio vietati dal trattato.

Dopo sei anni Mosca ha reso noto i 4 agosto (lo stesso giorno del comunicato con cui l’India ha risposto all’ultimatum di Trump) di non considerarsi più vincolata dalle auto-limitazioni relative al dispiegamento di missili a raggio intermedio. Lo ha dichiarato il ministero degli Esteri russo in un comunicato.

Poiché i nostri ripetuti avvertimenti in merito sono stati ignorati e la situazione si sta evolvendo verso un effettivo dispiegamento di missili terrestri americani a raggio intermedio e corto in Europa e nella regione Asia-Pacifico”, si legge, il ministero “constata il decadimento delle condizioni necessarie per mantenere la moratoria unilaterale sul dispiegamento di armi simili ed è autorizzato ad affermare che la Federazione Russa non si considera più vincolata dalle auto-limitazioni precedentemente adottate.

Le decisioni sui parametri specifici delle misure di risposta saranno adottate dalla leadership della Federazione Russa sulla base di un’analisi interministeriale dell’entità del dispiegamento di missili terrestri a raggio intermedio e corto americani e di altri paesi occidentali, nonché dello sviluppo complessivo della situazione nella sfera della sicurezza internazionale e della stabilità strategica“, ha sottolineato il ministero degli Esteri di Mosca .

Qui sotto il testo integrale tradotto in italiano (in inglese al link del Ministero degli Affari Esteri russo)

 

Dichiarazione del Ministero degli Affari Esteri della Federazione Russa sulla moratoria sul dispiegamento di missili a medio e corto raggio lanciati da terra

4 agosto 2025

Alla luce delle azioni deliberate degli Stati Uniti che hanno portato alla risoluzione e al collasso del Trattato sulle Forze Nucleari a Medio Raggio (INF) nel 2019, la Federazione Russa, negli anni successivi, ha preso l’iniziativa di mantenere la moderazione in questo ambito.

Ciò si è riflesso, in particolare, nelle dichiarazioni di alto livello rilasciate nel 2019-2020, che includevano un impegno unilaterale volontario della Russia a non dispiegare missili a corto e medio raggio basati a terra (missili a raggio INF), finché nessun sistema missilistico di fabbricazione statunitense fosse apparso nelle regioni corrispondenti.

Allo stesso tempo, la Russia ha invitato direttamente i paesi della NATO a dichiarare una moratoria reciproca sul dispiegamento di sistemi missilistici precedentemente vietati dal Trattato INF. Anche gli alleati degli Stati Uniti nella regione Asia-Pacifico sono stati esortati a sostenere gli sforzi della Russia per impedire una nuova corsa agli armamenti in quella regione.

Tuttavia, va detto che le iniziative della Russia non sono state accolte con reciprocità.

Gli Stati Uniti e i loro alleati non solo hanno apertamente dichiarato l’intenzione di schierare missili terrestri a raggio INF in diverse regioni, ma hanno anche compiuto progressi significativi nell’attuazione pratica delle loro intenzioni. La crescente quantità di dati oggettivi rivela, in particolare, quanto segue:

  • la sperimentazione delle versioni di base di un’ampia gamma delle armi sopra menzionate sviluppate da Washington è stata per lo più completata o è nelle sue fasi finali;
  • la produzione in serie di alcuni di questi sistemi è ora in corso;
  • il Pentagono sta formando e localizzando unità e comandi specializzati nelle rispettive regioni per consentire il dispiegamento e l’impiego avanzato di tali armi;
  • si sta inoltre predisponendo l’infrastruttura necessaria per tali scopi; Esistono sempre più prove che sistemi missilistici della suddetta gittata vengano trasferiti direttamente in aree di esercitazioni militari condotte congiuntamente con alleati al di fuori del territorio nazionale statunitense.

In particolare, dal 2023, abbiamo osservato casi in cui sistemi statunitensi in grado di lanciare missili a raggio INF da terra sono stati trasportati in alcuni paesi europei della NATO per un utilizzo sperimentale nel corso di esercitazioni chiaramente anti-russe. In particolare, si tratta di esercitazioni in Danimarca con un lanciatore mobile (portatile) Mk70.

Per quanto riguarda l’area Asia-Pacifico, segnaliamo che, con il pretesto di attività di addestramento, un sistema missilistico a medio raggio Typhon è stato portato nelle Filippine nell’aprile 2024 ed è ancora di stanza nell’arcipelago. Un sistema dello stesso tipo è stato impiegato questo luglio in Australia durante esercitazioni a fuoco vivo nell’ambito delle esercitazioni multilaterali Talisman Sabre 2025.

Nel corso di queste esercitazioni, il personale militare statunitense ha anche schierato un sistema ipersonico a medio raggio Dark Eagle, segnando la sua prima apparizione all’estero. È stato apertamente dichiarato che questo dispiegamento è stato intrapreso “per proiettare potenza”, sottolineando anche che tali sistemi sono rapidamente ridispiegabili.

Inoltre, durante Talisman Sabre 2025, un equipaggio australiano del sistema HIMARS fornito dagli Stati Uniti ha lanciato un missile PrSM di fabbricazione statunitense, testato dal Pentagono nel 2021 a una gittata di oltre 500 km e che, di conseguenza, si qualifica come missile di classe INF lanciato da terra. In precedenza, missili di questo tipo erano stati lanciati da unità dell’esercito statunitense utilizzando una futura piattaforma autonoma basata su HIMARS durante un evento di fuoco reale svoltosi lo scorso giugno sul territorio della Repubblica di Palau.

In particolare, i test e i lanci di addestramento descritti del missile PrSM, le cui future modifiche dovrebbero essere testate a distanze superiori a 1000 km, implicano di fatto che ogni unità da combattimento del sistema cingolato M142 HIMARS e dell’analogo M270 MLRS può essere considerata un lanciatore terrestre per missili a raggio INF. E questo avviene mentre un numero significativo di armi statunitensi di questo tipo è già stato schierato e continua a essere dislocato in molti paesi in tutto il mondo, aggiungendosi in molti casi agli arsenali di alleati e partner degli Stati Uniti, tra cui l’Ucraina, che sta impiegando questi sistemi nella sua guerra contro la Federazione Russa.

È quindi evidente che armi di fabbricazione statunitense che, per le loro specifiche, rientrano nella categoria dei sistemi missilistici a raggio INF lanciati da terra stanno emergendo sempre più in diverse regioni, comprese quelle di particolare importanza per la Federazione Russa in termini di sicurezza nazionale.

Le azioni descritte dagli Stati Uniti e dai suoi alleati sono accompagnate dalle dichiarazioni ufficiali dell’intenzione di garantire la presenza “a lungo termine” (di fatto, permanente) di armi statunitensi della classe specificata in Europa e nella regione Asia-Pacifico. In particolare, Washington e Berlino hanno annunciato l’intenzione di iniziare nel 2026 l’impiego dei suddetti sistemi Typhon e Dark Eagle nel territorio tedesco, con l’obiettivo di garantirne lo “stazionamento permanente”. Inoltre, una “Task Force” specializzata composta da personale militare statunitense è già dislocata in modo permanente in Germania dal 2021.

Un ulteriore fattore significativo è l’intenzione dichiarata da diversi alleati degli Stati Uniti di acquisire da Washington missili a raggio INF lanciati da terra e/o di sviluppare propri missili con una gittata compresa tra 500 e 5500 km, o di espandere i propri arsenali nazionali di tali armi. Ovviamente, tali sistemi d’arma integreranno l’inventario dei mezzi da utilizzare durante l’addestramento e la potenziale conduzione delle cosiddette operazioni “integrate” pianificate congiuntamente dalle forze armate statunitensi e alleate nell’ambito di alleanze e coalizioni pertinenti.

Nel complesso, le suddette misure dell'”Occidente collettivo” comportano la formazione e il potenziamento di capacità missilistiche destabilizzanti nelle regioni adiacenti alla Federazione Russa, creando una minaccia diretta alla sicurezza del nostro Paese, che è di natura strategica. In generale, queste dinamiche comportano una grave carica negativa e sono gravide di significative implicazioni distruttive per la stabilità regionale e globale, tra cui una pericolosa escalation delle tensioni tra potenze nucleari.

La Russia ha costantemente chiarito che un simile scenario richiederà al nostro Paese di adottare misure tecnico-militari di compensazione per contrastare le nuove minacce emergenti e mantenere l’equilibrio strategico. Poiché i nostri ripetuti avvertimenti in merito sono stati ignorati e la situazione si sta evolvendo parallelamente all’effettivo dispiegamento di missili a raggio INF lanciati da terra di fabbricazione statunitense in Europa e nella regione Asia-Pacifico, il Ministero degli Esteri russo deve dichiarare che le condizioni per il mantenimento di una moratoria unilaterale sul dispiegamento di armi simili sono cessate. Il Ministero è autorizzato a dichiarare che la Federazione Russa non si considera più vincolata dalle pertinenti autolimitazioni precedentemente adottate.

Le decisioni sui parametri specifici delle misure di risposta saranno prese dalla leadership della Federazione Russa sulla base di un’analisi interagenzia relativa alla portata del dispiegamento dei missili a raggio INF lanciati da terra dagli Stati Uniti e da altri paesi occidentali, nonché all’evoluzione complessiva nell’ambito della sicurezza internazionale e della stabilità strategica.

 

“La Russia non ha più alcuna restrizione in merito. Non si considera più limitata in alcun modo. La Russia ritiene di avere il diritto, se necessario, di adottare misure e di intraprendere azioni appropriate” ha affermato oggi il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov durante una conferenza stampa.

Ieri il vice segretario del Consiglio di Sicurezza russo, Dmitry Medvedev, aveva scritto su X che “la dichiarazione del ministero degli Esteri russo sulla revoca della moratoria sul dispiegamento di missili a corto e medio raggio è il risultato della politica anti-russa dei Paesi della NATO. Questa è una nuova realtà con cui tutti i nostri avversari dovranno fare i conti. Aspettatevi ulteriori passi avanti”.

Il Trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces), firmato nel 1987 da Stati Uniti e Unione Sovietica (Mikhail Gorbaciov e Ronald Reagan), vietava il dispiegamento di missili con gittata tra 500 e 5.500 chilometri.  Dopo il ritiro unilaterale degli Stati Uniti nel 2019 i russi hanno tenuto fede al trattato ma nelle ultime settimane lo stesso Vladinir Putin ha annunciato che entro quest’anno verranno resi operativi in Russia e Bielorussia i missili balistici ipersonici a medio raggio Oreshnik, già testati sull’Ucraina.

La questione del Trattato INF si inserisce nel contesto dell’ultimatum di Trump a Vladimir Putin con la minaccia di sanzioni se Mosca non accetterà entro l’9 agosto di fermare le ostilità in Ucraina e negoziare la pace.

Fonti citate da Reuters ritengono “improbabile” che il presidente russo si piegherà alla minaccia di sanzioni di Donald Trump e accetterà di mettere fine ai combattimenti in Ucraina. Le fonti, definite “a conoscenza delle discussioni al Cremlino” valutano che “la determinazione di Putin ad andare avanti è sostenuta dalla convinzione che la Russia stia vincendo e dallo scetticismo sul fatto che ulteriori sanzioni statunitensi possano avere un grande impatto dopo le successive ondate di restrizioni economiche nei tre anni e mezzo di guerra”.

Foto: SCO, TASS, Caspian Post, NASA, Xinhua e Casa Bianca.

 

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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