Gli spazi marittimi innanzi a Gaza tra pace e guerra

Le gray zones sono un fattore di guerra ibrida e di instabilità internazionale come dimostrano gli sconfinamenti negli spazi aerei baltici. In mare la questione – considerata la congenita anarchia del “mare libero” – è a volte ancora più evidente anche perché possono esserci problemi per la personalità internazionale delle entità che avanzano pretese. Un esempio per tutti: la Zona Economica Esclusiva (ZEE) della Repubblica Turca di Cipro del Nord che è accettata solo dalla Turchia.
Nel caso delle acque avanti alla Striscia di Gaza si presentano anche altri fattori in quanto al regime del tempo di pace si sovrappone anche quello bellico.
Ci piaccia o no, Israele è infatti da anni in situazione di conflitto con vari soggetti adiacenti al suo territorio, internazionali e non, e si avvale quindi degli strumenti di autodifesa previsti dal diritto bellico marittimo di fonte consuetudinaria e pattizia.
Tra questi c’è quello del blocco navale applicato a più riprese negli ultimi anni. La casistica più recente comprende il blocco del Libano revocato nel 2007, sulla base di una Risoluzione delle NU, per consentire il trasporto umanitario di beni di prima necessità messo in atto da noi con l’Operazione Leonte.
Nonché il drammatico episodio della Gaza Flotilla in cui perirono dieci attivisti turchi coinvolti nel forzamento della linea di blocco e nell’abbordaggio coercitivo “Mavi Marmar” delle Forze Israeliane. L’episodio fu esaminato da una Commissione internazionale che, pur considerando legittimo il blocco israeliano, valutò come sproporzionata la sua applicazione.
Dovremmo a questo punto precisare il regime giuridico del blocco navale che è volto ad impedire traffici marittimi “neutrali” e “nemici” con i porti controllati da un belligerante e dovremmo dire che la sua perentorietà non è conforme al principio umanitario di non affamare la popolazione civile. Quello che interessa qui dire è che il superamento della linea di blocco, in mancanza di autorizzazioni delle Forze navali dislocate in zona, è di per sé un atto ostile che qualifica come “obiettivo legittimo” il violatore.
Passando ai provvedimenti adottati da Israele riscontriamo una proclamazione nel 2009 di un naval blockade davanti a Gaza estesa, a quel che risulta circa 50 miglia dalla costa (l’abbordaggio della Gaza Flotilla del 2010 avvenne però prima del superamento della linea di blocco a più di 60 miglia) e comunque non coincidente col limite delle acque territoriali di 12 miglia.
Security Fishing Zones (Fonte OCHA)
La decisione israeliana è stata diffusa internazionalmente con l’avviso ai naviganti (Notmar) n. 1/2009 che così dispone:
“All mariners are advised that as of 03 January 2009, 1700 UTC, Gaza maritime area is closed to all maritime trafic and is under blockade imposed by Israeli Navy until further notice. Maritime Gaza area is enclosed by the following coordinates: 31 35.71 N- 34 29.46 E; 31 46.80 N-34 10.01 E; 31 19.39 N-34 13.11 E; 31 33.73 N-33 56.68 E”
Come si diceva, tuttavia, in mare diritto di guerra e diritto di pace coesistono, a riprova del carattere per così dire anarchico dell’ambiente marittimo: oltre ai belligeranti in esso operano anche gli Stati terzi che si qualificano come neutrali.
La Convenzione del diritto del mare del 1982 (UNCLOS) è ovviamente la normativa di riferimento. Il problema per gli spazi marittimi di Gaza è che, come diremo, la Palestina ha sì proclamato delle aree marittime ma essa ha ancora una statualità in fieri nonostante i recenti riconoscimenti ed il fatto che l’Assemblea generale NU le abbia concesso lo status di osservatore.
Ragionando in termini di effettività i suoi spazi marittimi sono sotto il controllo israeliano come Potenza occupante. La cartina in precedenza riportata ad esempio mostra i limiti delle security zones per la pesca locale, stabilite negli anni dalle Autorità israeliane.
Spazi marittimi rivendicati dalla Palestina (Fonte Nazioni Unite)
Lo “Stato di Palestina” con Dichiarazione del 24 settembre 2019 depositata alle NU ha infatti istituito al largo delle proprie coste zone marittime di giurisdizione, tra le quali è compresa la ZEE fissandone i limiti.
L’iniziativa è contestata da Israele. In passato si è parlato dello sfruttamento dei giacimenti offshore ivi presenti, sulla base di concessioni israeliane o palestinesi.

Fabio CaffioVedi tutti gli articoli
Ammiraglio in congedo, docente a contratto di "Introduzione geopolitica e diritto internazionale del mare" presso l'Università di Bari. E' autore del "Glossario di Diritto del Mare", RM, 2020 disponibile in https://www.marina.difesa.it/media-cultura/editoria/marivista/Documents/supplementi/Glossario_di_diritto_del_mare_2020.pdf