Chip Wars: ora è la Cina a ricattare tutti

 

da Guerre di Rete – newsletter di notizie cyber a cura di Carola Frediani

Mentre siamo distratti dai continui annunci di nuovi AI tools che introducono perlopiù miglioramenti incrementali, le aziende di AI assoldano ex capi di Stato (ma assicurano che non li useranno per fare lobbying sui governi, ci mancherebbe), e la partita dei chip – molto meno glamour delle risposte dei chatbot e dei video di Sora 2 di celebrità morte – diventa un parapiglia, il cui esito dovrebbe determinare gli sviluppi non solo dell’industria AI e tech, ma anche degli equilibri mondiali.

Pechino sta infatti preparando il terreno negoziale in vista dell’atteso incontro tra il presidente Trump e il leader cinese Xi Jinping. I chip sono al centro di questo scontro, anche se non sono l’unico terreno di battaglia. Indubbiamente però il loro ruolo centrale nell’intelligenza artificiale, nelle tecnologie militari e in altri settori economici li ha messi al centro delle tensioni tra le due superpotenze mondiali, già impegnate da mesi in controversi negoziati su dazi e tecnologia.

Il mese scorso, l’autorità antitrust cinese aveva dichiarato che secondo un’indagine preliminare Nvidia avrebbe violato la legge antimonopolio del Paese in relazione all’acquisizione della società israeliana Mellanox Technologies, completata nel 2020. In realtà Nvidia sembra essersi trovata in mezzo al braccio di ferro tra USA e Cina che ha portato quest’ultima ad accelerare gli sforzi per l’indipendenza tecnologica. L’indagine preliminare cinese infatti nasce poco dopo il dicembre 2024, quando l’amministrazione Biden aveva dato un ulteriore giro di vite sull’export hi-tech verso la Cina – impedendo ai produttori di chip di memoria avanzati (usati nei sistemi di AI) di spedire i propri prodotti in Cina senza l’autorizzazione del Dipartimento del Commercio.

Ma torniamo a giovedì scorso, quando la Cina ha annunciato anche delle nuove restrizioni (qui documento) sulle terre rare (di cui come sapete è grande produttrice), specificando che le licenze relative a determinati tipi di chip saranno concesse caso per caso. Cosa significa nel concreto? Che – scrive il FT – “le aziende straniere dovranno ottenere l’approvazione di Pechino per esportare magneti che contengono anche solo tracce di materiali di terre rare provenienti dalla Cina (…).

Le restrizioni creeranno per la prima volta una versione cinese della norma statunitense sui prodotti diretti esteri, una misura che Washington ha utilizzato per bloccare le esportazioni di semiconduttori verso la Cina da paesi terzi”.

La norma sui prodotti diretti sarebbe la foreign direct product rule (FDPR), applicata in concomitanza con le misure americane prese appunto nel dicembre 2024. Allora quelle misure limitavano l’esportazione di 24 tipi di strumenti per la produzione di chip. Ma per renderli più efficaci, gli Stati Uniti applicarono una norma extraterritoriale, la “foreign direct product rule” (FDPR), che colpiva le aziende non statunitensi che utilizzavano chip statunitensi nei loro strumenti. Tutto chiaro?

In pratica la Cina sta riproponendo lo schema americano a parti inverse. Come la stanno prendendo gli americani? Alcuni analisti di think tank statunitensi non l’hanno presa alla leggera.

“La Cina ha affermato il proprio controllo totale sull’intera catena di approvvigionamento globale dei semiconduttori, imponendo requisiti di licenza di esportazione su tutte le terre rare utilizzate per la produzione di chip avanzati. Se applicata in modo aggressivo, questa politica potrebbe significare la fine del boom dell’intelligenza artificiale negli Stati Uniti e probabilmente portare a una recessione/crisi economica negli Stati Uniti nel breve termine”, commenta su X Dean W.Ball, senior fellow alla Foundation for American Innovation.

Secondo Ball, come risposta gli USA non dovrebbero cedere, ma anzi rendere molto più estesi e rigidi i controlli sull’export delle apparecchiature per la produzione di semiconduttori; inoltre dovrebbero accelerare gli sforzi sulla produzione (estrazione e raffinazione) di terre rare fuori dalla Cina. Che le misure presa dalla Cina siano potenzialmente d’impatto, se davvero applicate, sembra mettere d’accordo diversi esperti.

“Si tratta dei controlli più severi che la Cina abbia mai applicato alle esportazioni”, ha affermato al Japan Times Gracelin Baskaran, direttore del Center for Strategic and International Studies. “È abbastanza chiaro che dispongono degli strumenti e dei mezzi necessari per costringere non solo le aziende statunitensi, ma anche quelle di tutto il mondo a conformarsi”.

“Le macchine per la produzione di chip, come quelle vendute da ASML e Applied Materials, dipendono in modo particolare dalle terre rare perché contengono laser, magneti e altre apparecchiature estremamente precise che utilizzano questi elementi”, continua Japan Times, che ricorda come i maggiori produttori mondiali di chip – tra cui Intel, Taiwan Semiconductor Manufacturing Co (TSMC) e Samsung Electronics – si affidino proprio ad ASML per la produzione di semiconduttori.

A dire il vero, c’è chi spera che in fondo si tratti solo di fare la voce grossa in vista dei negoziati (anche sui dazi) tra Trump e Xi Jinping. Ma certo non tira una bella aria.

 

Come fare AI fuori dalla corsa Cina-USA e l’idea di una public AI

Intanto la macchina industriale dell’AI, spalleggiata dai governi, lavora per espandersi. Ma fuori dalla competizione Usa-Cina e dai relativi colossi tech, cosa si può fare? Un interessante articolo del Guardian passa in rassegna alcune risposte local (dall’India a Singapore), e cita una proposta, per ora solo un policy brief, della Cambridge University.

La proposta invoca un Airbus for AI, cioè una società pubblica di AI basata su una partnership coordinata tra pubblico e privato per fare in modo che lo sviluppo di questa tecnologia serva gli interessi nazionali condivisi e massimizzi il valore pubblico, “anziché concentrare i benefici in una manciata di entità private con sede nelle superpotenze globali”.
“Ispirandoci ad Airbus – ragiona il documento propositivo – proponiamo che Canada, Germania, Giappone, Singapore, Corea del Sud, Spagna, Svezia, Svizzera, Francia, Regno Unito e altre potenze medie unifichino i loro attuali sforzi sovrani nel campo dell’AI in una società pubblica di AI, un laboratorio competitivo all’avanguardia per lo sviluppo e la commercializzazione dell’AI nell’interesse pubblico”.

Proposta sulla carta molto interessante. Noto che non è citata l’Italia.

 

La Commissione Ue lancia due strategie per accelerare la diffusione dell’AI

A livello di istituzioni europee però si muove qualcosa di molto concreto. Il 9 ottobre la Commissione europea ha annunciato le sue strategie da 1 miliardo di euro per potenziare l’uso dell’intelligenza artificiale in settori chiave, nel quadro di una spinta a ridurre la dipendenza dell’Unione dalle tecnologie statunitensi e cinesi.

A dire il vero, in queste strategie, sembra esserci un po’ di tutto, e tutto appare ancora molto fumoso.

“Nel settore sanitario, ad esempio, l’Ue creerà una rete per lo screening avanzato basato sull’intelligenza artificiale per accelerare le diagnosi negli ospedali ed estendere la copertura dei professionisti alle aree remote, ha affermato Virkkunen. L’intelligenza artificiale dovrebbe anche supportare l’industria robotica nell’adattare la produzione alle esigenze degli utenti. Per quanto riguarda la mobilità, la Commissione spera di creare una coalizione di città disposte a creare ambienti di prova per portare le auto a guida autonoma sulle strade europee”, riassume Science Business. (il VIDEO del discorso di Virkkunen; qui il comunicato stampa).

Foto Xinhua

 

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