Energia, sanzioni, armi e imbarazzi: la Russia è il primo fornitore di nafta a Taiwan

Guerra strana quella energetica contro la Russia con molte nazioni ufficialmente schierate a fianco dell’Ucraina ma impegnate ad approvvigionarsi di energia russa, a buon mercato e in grandi quantità, spesso cercando di non dare troppo nell’occhio.
Dopo gli almeno 8 paesi europei che continuano ad acquistare ingenti quantità di gas e petrolio russo anche Taiwan, ufficialmente alleato di ferro degli DStati Uniti nel Pacifico e ostile alla Cina (a sua volta alleata della Russia) è finita al centro dell’inchiesta di un centro studi energetico finlandese.
Taiwan ha importato oltre 1,3 miliardi di dollari di nafta russa nella prima metà del 2025, rendendo Mosca il suo principale fornitore, nonostante l’opposizione ufficiale del governo di Taipei alla Russia in seguito alla guerra in Ucraina e alcune sanzioni imposte alla Federazione Russa.
Dal 2022, anno dell’invasione russa dell’Ucraina, Taiwan ha speso più di 4,9 miliardi di dollari in nafta russa. Le importazioni hanno raggiunto 1,9 milioni di tonnellate nei primi mesi del 2025, con un aumento di valore mensile quasi sei volte rispetto ai livelli del 202, secondo quanto rivelato dal rapporto pubblicato dall’istituto di ricerca Centre for Research on Energy and Clean Air (CREA) di Helsinki.
La nafta è essenziale per l’industria petrolchimica taiwanese, che supporta la produzione di elettronica e semiconduttori, pilastri dell’economia dell’isola.
Questa dipendenza rappresenta un rischio per la sicurezza nazionale, data la stretta alleanza tra Cina e Russia, e il potenziale di Pechino di interrompere le forniture, considerando che la Cina rivendica Taiwan come suo territorio.
La nafta essenziale nell’industria petrolchimica per la produzione di componenti elettronici e semiconduttori, settori fondamentali per l’economia di Taiwan.
La compagnia statale CPC ha interrotto le importazioni di nafta russa a giugno 2024. Tuttavia, la società Formosa Petrochemical, che è anche un fornitore chiave per l’industria dei semiconduttori di cui Taiwan è leader mondiale, ha aumentato notevolmente le sue importazioni dalla Russia, con una raffineria che ha ottenuto il 90% della nafta dalla Russia nei primi mesi del 2025, rappresentando il 96% delle importazioni totali di Taiwan.
Formosa Petrochemical ha respinto alcune delle conclusioni del rapporto ma è difficile credere che la società acquisti tali quantitativi di prodotti energetici russi all’insaputa del governo.
Il ministro degli Esteri di Taiwan, Lin Chia-lung, ha da poco concluso un viaggio in Europa, dove ha partecipato al Summit sulla Sicurezza di Varsavia e ha invitato l’Europa a collaborare con Taipei nella lotta contro l’espansione autoritaria e a creare una “catena di approvvigionamento democratica”.
Tuttavia, a differenza dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e di alcune altre nazioni, Taipei non ha limitato le importazioni di prodotti derivati dai combustibili fossili russi.
In una dichiarazione rilasciata giovedì, il Ministero degli Affari Economici di Taiwan ha affermato che le imprese statali hanno smesso di rifornirsi di petrolio greggio dalla Russia nel 2023. Taiwan ha anche smesso di esportare prodotti high-tech chiave in Russia, ha aggiunto il Ministero.
“Con l’aumento delle sanzioni internazionali, il Ministero esaminerà ulteriormente le misure di controllo pertinenti e si impegnerà con le aziende nazionali per la conformità, continuando al contempo a collaborare con i partner internazionali per dimostrare la sua ferma determinazione a contrastare le aggressioni e a sostenere l’ordine internazionale”, ha affermato.
Puma Shen, parlamentare del Partito Democratico Progressista al potere, ha affermato che la dipendenza di Taiwan dall’energia russa “rappresenta una minaccia per la sicurezza nazionale”, data l’alleanza strategica tra Russia e Cina.
La comunità globale delle democrazie ha fatto affidamento sulle sanzioni economiche per cercare di porre fine all’aggressione russa contro l’Ucraina. Le azioni commerciali ed economiche di Taiwan devono essere in linea con quelle dei nostri partner democratici, altrimenti rischiamo di danneggiare la nostra reputazione internazionale”, ha affermato Shen.
Hsuan Sun, direttore della Fondazione per i Diritti Ambientali di Taiwan e coautore del rapporto, ha esortato il governo e le aziende a collaborare per definire piani chiari per eliminare gradualmente l’energia russa.
“Taiwan non può permettersi di ignorare le sanzioni e i rischi per la catena di approvvigionamento creati dalla sua crescente dipendenza dai combustibili fossili russi”, ha affermato Sun in una nota. “Taiwan non dovrebbe finanziare la macchina da guerra del Cremlino”.
Cone sottolinea CNN, “il rapporto sulle importazioni di nafta russa da parte di Taiwan arriva mentre il presidente degli Stati Uniti Donald Trump intensifica le minacce e le azioni contro i paesi che acquistano greggio e prodotti petroliferi dalla Russia. Di recente ha criticato le nazioni europee per aver continuato ad acquistare petrolio e gas russi, dichiarando che non avrebbe applicato nuove sanzioni a Mosca per la guerra finché non avessero interrotto i loro acquisti.
In agosto Washington ha imposto dazi secondari all’India per i suoi continui acquisti di petrolio russo col risultato di rinsaldare le r5elazioni strategiche tra Nuova Delhi e Mosca e di aprirne di nuove (fino a ieri impensabili) tra India e Cina.
Preannunciando un altro possibile scontro con gli Stati Uniti, Taiwan non ha ceduto alle pressioni di Washington per trasferire metà della sua capacità produttiva di chip negli Stati Uniti, in seguito ai commenti del Segretario al Commercio statunitense Howard Lutnick.
Taiwan “non accetterà” di produrre il 50% dei propri semiconduttori negli Stati Uniti, ha affermato il principale negoziatore tariffario dell’isola, mentre Washington esercita pressioni su Taipei affinché produca più chip sul suolo americano. “Vorrei chiarire che questa è un’idea degli Stati Uniti. Il nostro team di negoziazione non ha mai preso un impegno 50-50 sulla divisione dei chip”, ha dichiarato il vice premier Cheng Li-chiun ai giornalisti a Taipei, aggiungendo che Taiwan “non accetterà una condizione del genere”.
Le pressioni dell’Amministrazione Trump per trasferire parte della produzione taiwanese di chip negli USA non rispondono solo all’esigenza strategica di incrementare la produzione di componenti strategiche sul suolo americano ma anche alla necessità di evitare una crisi dei chip in caso di guerra tra Cina e Taiwan o di blocco aeronavale cinese all’isola-Stato.
Taiwan di conseguenza ha tutto l’interesse a mantenere sul suolo nazionale una quota elevata della sua produzione di chip per garantirsi l’ombrello militare statunitense come deterrente contro Pechino.
Il 19 settembre il governo di Taiwan si è rifiutato di commentare un articolo del Washington Post secondo cui il presidente Trump avrebbe fermato o posticipato la fornitura di aiuti militari a Taiwan per oltre 400 milioni di dollari durante i colloqui tesi a trovare accordi commerciali con Pechino.
Citando fonti anonime a conoscenza della questione, l’articolo affermava che la decisione di Trump rimane reversibile mentre il Ministero della Difesa Nazionale di Taiwan (MND) ha reso noto in un comunicato stampa più tardi nella stessa giornata che, in linea con la prassi passata, non commenta le vendite di armi o i piani di aiuti che non siano stati formalmente annunciati dai governi di Taiwan e degli Stati Uniti.
Taiwan prevede di aumentare la spesa per la difesa al 5% del PIL entro il 2030 per rafforzare le proprie capacità militari. Come ha sottolineato l’agenzia di stampa turca Anadolu, “Trump ha inviato segnali contrastanti a Cina e Taiwan, imponendo una guerra commerciale, accusando Taipei di furto di tecnologia, annullando i colloqui sulla difesa e scoraggiando le visite, pur insistendo sul fatto che la Cina non invaderà Taiwan durante il suo mandato”.
Le forniture energetiche russe potrebbero quindi venire inquadrate in un complesso contesto di turbolenze nelle relazioni tra Washington e Taipei in cui i taiwanesi mostrano con cautela di poter giocare anche su tavoli diversi dai tradizionali e fino a ieri consolidati rapporti con gli USA.
Rapporti che peraltro l’Amministrazione Trump ha reso instabili con le pressioni sulla delocalizzazione della produzione di chip negli USA e le incertezze sulle forniture di armi che in ogni caso gli Stati Uniti intendono oggi vendere agli alleati più stretti e non più cedere a titolo gratuito.
A questo link la presentazione del Rapporto CREA
(con fonte CNN e Giubbe Rosse)
Immagini: Formosa Petrochemical, CREA, Anadolu e Fox News

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.