A letto con il nemico

Le indagini della magistratura tedesca sul sabotaggio dei gasdotti Nord Stream minacciano di aprire una nuova frattura politica tra i Paesi europei circa il sostegno all’Ucraina. Dopo tre anni di inchiesta, gli investigatori federali tedeschi ritengono di aver raccolto prove che portano a un’unità d’élite di Kiev come responsabile dell’attacco avvenuto nel settembre 2022 nel Mar Baltico contro i gasdotti subacquei che uniscono Russia e Germania.
Il 10 novembre Wall Street Journal ha riportato l’attenzione su un attentato terroristico contro gli interessi di Germania ed Europa che senza dubbio può essere definito il più grave attacco strategico alla Germania dalla fine della Seconda guerra mondiale.
Un attentato (la Procura Generale russa ha aperto un’indagine per terrorismo internazionale del tutto ignorata qui in Occidente) di cui comprensibilmente non si vuole più parlare in un’Europa che si ostina a considerare stretti alleati i suoi carnefici.
A proposito di “guerra ibrida” e “guerra delle percezioni” (di cui va tanto di moda parlare) meglio ricordare che per mesi politici, opinionisti e media allineati hanno puntato il dito contro Mosca per l’attentato ai gasdotti e chi faceva notare quanto fosse ingenuo ritenere che i russi facessero esplodere infrastrutture energetiche che avevano pagato oltre 20 miliardi di euro e che dopo la guerra avrebbero potuto riprendere a rifornire l’Europa di gas russo veniva bollato come “putiniano”.
Del resto è apparso subito chiaro che le responsabilità erano evidentemente da ricercare in Ucraina e tra i suoi alleati. Le conclusioni dell’indagine giudiziaria tedesca potrebbero quindi mettere a dura prova i rapporti tra alcuni Paesi alleati dell’Ucraina e tra europei e Kiev.

La squadra di investigatori ha ricostruito nei dettagli la dinamica del sabotaggio che fece esplodere i gasdotti Nord Stream 1 e 2, considerati dai detrattori dell’opera un simbolo della dipendenza energetica europea dal gas russo che però, meglio non dimenticarlo, ha assicurato per anni flussi infiniti di energia a prezzo conveniente costituendo il cardine dello sviluppo economico europeo.
Secondo il WSJ, il gruppo di sabotatori avrebbe agito sotto la diretta supervisione dell’allora comandante delle forze armate ucraine e attuale ambasciatore a Londra, il generale Valerii Zaluzhny, uomo recentemente indicato in Gran Bretagna e Stati Uniti come il possibile successore di Volodymyr Zelensky (già sdoganato al grande pubblico con un suo testo molto patriottico accompagnato da foto molto glamour su Vogue) alla guida dell’Ucraina post bellica, ammesso ovviamente che l’Ucraina sopravviva come stato a questo conflitto.

“È chiaro che le esplosioni sui gasdotti Nord Stream nel Mar Baltico nel settembre 2022 sono state eseguite da un’unità d’élite ucraina sotto gli ordini diretti dell’allora capo apo della Difesa ucraina, generale Valeriy Zaluzhny”, ha dichiarato la polizia tedesca in un comunicato.
Il WSJ sostiene che la polizia tedesca e i procuratori hanno sviluppato “un quadro chiaro di come un’unità militare ucraina d’élite abbia portato a termine gli attacchi sotto la guida diretta del generale Zaluzhny”. L’obiettivo dei sabotatori era quello di ridurre le entrate petrolifere della Russia e i legami economici con la Germania.
Zaluzhny del resto è stato il comandante delle forze armate ucraine fino al febbraio 2024 e ha sempre goduto del supporto anglo-americano. Meglio ricordare che sia Joe Biden che il sottosegretario Victoria Nuland avevano affermato che il Nord Stream avrebbe cessato di funzionare in caso di guerra tra Russia e Ucraina.
Il premio Pulitzer Seymour Hersh, citando fonti d’intelligence, ha accusato gli Stati Uniti per quell’attentato che avrebbe coinvolto anche alcuni alleati del Nord Europa e del resto Washington si era sempre opposto a quei gasdotti che univano Russia ed Europa fin dall’annuncio della loro costruzione.
L’allora premier britannico Liz Truss inviò subito dopo l’esplosione al Segretario di Stato USA Anthony Blinken un SMS con la scritta “E’ fatto!” Lo rivelarono i servizi segreti esterni russo che intercettavano le comunicazioni del primo ministro britannico. Londra ha smentito, attribuendo la rivelazione alla propaganda russa ma Truss, si dimise poco dopo da capo del governo e del Partito Conservatore.
Che dire poi di Radek Sikorski, oggi di nuovo ministro degli Esteri polacco, che subito dopo l’esplosione postò un tweet con la scritta “Grazie Stati Uniti” per poi cancellarlo poco dopo?

Indizi a parte, è evidente che un attacco di questa portata politico-strategica e di una simile complessità tecnica non può che essere stato autorizzato dai più alti vertici politici e militari; per questo è improbabile che Zaluzhny abbia agito all’oscuro del presidente Zelensky.
Improbabile anche che un pugno di subacquei ucraini abbia pianificato e messo in atto un simile attentato senza un robusto supporto tecnico e militare fornito da qualche alleato.
Di fatto quindi la Germania arma e finanzia i suoi peggiori nemici: lo sa ma continua a farlo.
Berlino ha emesso mandati di arresto per sette persone – tre militari e quattro sommozzatori – accusate di aver piazzato gli esplosivi sui gasdotti. Un elemento chiave dell’indagine sarebbe stato un fotogramma scattato da un autovelox, che avrebbe consentito di identificare uno dei sub ucraini grazie a un software di riconoscimento facciale.
La Polonia ha rifiutato di consegnare alla Germania uno dei sospettati, considerato a Varsavia un “eroe” per aver colpito una fonte di finanziamento del Cremlino. Il premier Donald Tusk ha ironizzato sull’inchiesta tedesca, affermando che “il problema non è che il gasdotto sia stato distrutto, ma che sia stato costruito”. Secondo il WSJ, l’uomo sarebbe stato rimpatriato in Ucraina su una macchina con targa diplomatica guidata dall’addetto militare ucraino a Varsavia.

Il sostegno polacco agli attentatori non risponde solo a logiche di schieramento anti-russo (e anti-tedesco) ma anche a interessi economici. Il giorno in cui esplose il Nord Stream “casualmente” si inaugurava in Polonia il nuovo gasdotto che forniva a Varsavia gas norvegese, alimentando così l’aspirazione polacca di sostituire la Germania come hub energetico di quella regione europea.
La vicenda, scrive ancora il Wall Street Journal, sta alimentando forti tensioni politiche anche in Germania, dove Alternative fur Deutscheland (AfD) cavalca il caso per chiedere la riduzione degli aiuti a Kiev e denunciare l’impatto economico della crisi energetica.
Il presunto capo dell’unità, il 46enne ex ufficiale dei servizi di sicurezza ucraini Serhii Kuznietsov, è stato arrestato in Italia lo scorso agosto dopo che la polizia tedesca aveva inserito un ‘silent alert’ sul suo passaporto, programmato per attivarsi al passaggio di un confine dell’Ue. L’allarme è scattato quando Kuznietsov ha attraversato la frontiera tra Ucraina e Polonia.
Da lì gli investigatori lo hanno seguito fino alla Repubblica Ceca e poi in Italia, utilizzando dati di pedaggi autostradali e prenotazioni alberghiere effettuate dalla moglie su un portale di viaggi. I Carabinieri lo hanno arrestato in un villaggio turistico.
Dmytro Lubinets, commissario del Parlamento ucraino per i diritti umani, ha esortato formalmente le autorità italiane a garantire il rispetto dei diritti fondamentali del detenuto. Di recente, un tribunale di Bologna ha approvato l’estradizione del sospettato, ma il suo legale, Nicola Canestrini, ha annunciato un nuovo ricorso in Cassazione, che in passato aveva già bloccato la consegna alla Germania.
La polizia tedesca ha già predisposto un aereo per prelevare Kuzietsov in Italia e portarlo ad Amburgo per il processo. Il procedimento di estradizione, che dovrebbe concludersi entro dicembre, potrebbe accentuare le pressioni su Berlino e Kiev (oltre che su Roma). Un eventuale processo – osserva il quotidiano americano – rischierebbe di mettere ulteriormente a dura prova i rapporti tra i due Paesi e complicare la posizione del cancelliere Friedrich Merz, mentre cresce la pressione interna per una revisione del sostegno tedesco all’Ucraina.
Al Bundestag, l’opposizione ha criticato la lentezza delle indagini e le difficoltà di estradizione dei sospetti da altri Paesi europei. Le autorità tedesche hanno espresso preoccupazione per le implicazioni diplomatiche, in particolare nei rapporti con Polonia e Danimarca, dove la cooperazione giudiziaria ha subito rallentamenti.
Come precedentemente riportato dal Wall Street Journal, la CIA “avrebbe” chiesto a Zelensky di revocare l’ordine di sabotare i gasdotti russi, e lui “avrebbe” acconsentito. Tuttavia, Zaluzhny ha ignorato l’ordine e ha permesso l’inizio dell’operazione. Informazioni che rendono di fatto impossibile sostenere che il presidente ucraino fosse all’oscuro del piano per colpire gli interessi russi e tedeschi.
Gli aspetti paradossali che coinvolgono la Germania ma anche tutta Europa, sono evidenti. Nonostante Berlino sia oggi il principale fornitore di armi e aiuti economici all’Ucraina, il governo di Kiev non ha alcuna intenzione di assistere le indagini tedesche e nega qualsiasi coinvolgimento negli attacchi all’oleodotto.

Del resto, proposito di alleati inaffidabili, neppure le inchieste aperte in Danimarca e Svezia circa l’attentato ai gasdotti hanno fornito un aiuto a Berlino e sono state chiuse dopo essersi rapidamente arenate. Troppo scomodo indagare su alleati che sono in realtà rivali e nemici.
Tirando le somme, se in Europa ci fosse ancora spazio per la logica e se i governi perseguissero ancora l’interesse supremo, quello nazionale, sarebbe impossibile ignorare che le indagini tedesche dimostrano chiaramente che Ucraina e Polonia sono nemiche della Germania.
In altri tempi un attentato/sabotaggio simile avrebbe portato queste nazioni alla guerra (tra di loro non contro i russi) ma un tempo le nazioni esprimevano sovranità ed erano persino disposte a difenderla con le armi.
Inoltre, considerato il peso dell’energia russa a buon mercato nella crescita economica dell’intera Europa, la distruzione dei gasdotti assume le caratteristiche di un attacco all’intera Europa, attuato in base agli interessi di alcune nazioni europee ed extraeuropee a quanto pare utilizzando gli “alleati” ucraini.
Gli stessi “alleati” che a fine 2024 hanno chiuso il rubinetto del gas russo anche nei gasdotti che attraversano il territorio ucraino, condannando l’intera Europa ad acquistare gas a prezzi ben più alti. Certo potremmo prendercela con questi strani alleati ucraini che minano gli interessi di quell’Europa a cui chiedono armi e denaro in continuazione e in cui affermano di voler entrare, ma è difficile farlo dal momento che la Commissione europea e i leader di molte nazioni sono i primi responsabili del nostro suicidio energetico, economico, militare e politico.
La guerra russo-ucraina già dal 2014 aveva messo in luce la fragilità del concetto amico/nemico. Come abbiamo più volte sottolineato, gli Stati Uniti, per loro stessa ammissione animatori e finanziatori del Maidan, si sono forse dimostrati e si dimostrano ora nostri alleati?
Oggi però l’Ucraina è una mina vagante; ha fatto l’impossibile per coinvolgerci direttamente nella guerra con la Russia, legittimamente poiché si tratta dell’unica chanche per Kiev di evitare la disfatta.
Un’Europa che si dichiara ogni giorno al fianco dell’Ucraina (ma senza mettere in campo un solo soldato, fornendo sempre meno aiuti militari) e che dopo essersi dissanguata finanziariamente annuncia la determinazione a continuare a farlo, dovrebbe oggi guardare a Kiev quanto meno con qualche legittimo sospetto.

Oltre alla distruzione del Nord Stream gli “alleati” ucraini hanno insistito per mesi nel sostenere che un loro missile antiaereo S-300 caduto in territorio polacco uccidendo due persone era russo, con l’obiettivo di trascinare in guerra UE e NATO.
Più la guerra va male (e ora sta andando molto male) più Kiev cercherà presumibilmente di portarci in guerra al suo fianco anche utilizzando attacchi sotto falsa bandiera. I droni russi Gerbera caduti sul suolo polacco (e sulle conigliere), tenuti insieme da nastro isolante e fil di ferro, difficilmente potevano essere stati lanciati dai russi, come confermano i limiti di autonomia di questo velivolo.
Più probabile che li avessero abbattuti gli ucraini e poi rimessi in sesto per farli volare su Bielorussia e Polonia. Se così non fosse perché Varsavia ha risposto picche all’offerta di Mosca di condurre insieme un’inchiesta sull’accaduto?
Il governo polacco ha subito gridato all’attacco russo, anche in relazione al sorvolo di un caccia russo Mig-31 di una piattaforma nel Mar Baltico, chiedendo la mobilitazione alla NATO ma i militari polacchi (come in gran parte d’Europa più avveduti dei politici) hanno provveduto a smorzare i toni.

Più recentemente, anche l’incendio simultaneo di tre raffinerie in Romania, Ungheria e Slovacchia, guarda caso tutte ostinatamente impegnate a raffinare petrolio russo, difficilmente potrà essere attribuito credibilmente a un sabotaggio russo. Infatti per questa imbarazzante ragione nessuno ne ha più parlato.
Strano anche che le decine di apparizioni di misteriosi droni nei cieli del Nord Europa siano stati genericamente attribuiti alla Russia benché stranamente nessuno sia riuscito ad abbatterne o anche solo fotografarne uno da vicino.
Venendo a oggi, siamo proprio certi che siano i russi ad avere interesse a sabotare le linee ferroviarie polacche dirette in Ucraina, proprio ora che il flusso di aiuti militari europei è al minimo storico, gli ultimi Patriot giunti dalla Germania sono stati individuati e distrutti dai missili balistici russi e l’Ucraina corre a tutto gas verso una disfatta militare irreparabile?

La Procura nazionale polacca indaga su un “sabotaggio di natura terroristica commesso per conto di un’organizzazione straniera”. In seguito le autorità polacche hanno indicato come responsabili “due ucraini che lavorano per la Russia e che hanno già lasciato la Polonia” attraversando il confine bielorusso ma si può davvero escludere che si sia trattato di un’operazione “sotto falsa bandiera” condotta dagli ucraini per aumentare la percezione della minaccia russa in Polonia e favorire una maggiore adesione di Varsavia al conflitto?
Giusto guardare alla Russia come possibile responsabile ma senza dimenticarsi degli ucraini che hanno oggi tutto l’interesse a coinvolgere Varsavia e gli alleati NATO nel conflitto.
Meglio poi non dimenticare, per continuare a guardare le cose in modo pragmatico, che anche tra polacchi e ucraini non corre buon sangue. La pretesa di Varsavia che Kiev riconosca le stragi di civili polacchi compiute dalle milizie alleate del Terzo Reich di Stepan Bandera (oggi eroe della Patria celebrato in tutta l’Ucraina) è costata il posto l’anno scorso al ministro degli Esteri Dmytro Kuleba e la questione crea ancora parecchie tensioni.
Anche Kiev è diffidente nei confronti della Polonia di cui teme la volontà di rimettere le mani sulle regioni di Volynia e Galizia, un tempo polacche.
L’aspetto ironico è che ieri il primo ministro polacco Donald Tusk (nella foto sotto) ha dichiarato che “far saltare in aria una linea ferroviaria è un atto di sabotaggio senza precedenti che prende di mira la sicurezza dello Stato polacco e dei suoi cittadini”. Far esplodere un gasdotto invece no?

Perché allora non ipotizzare una mano tedesca dietro al sabotaggio ferroviario contro la Polonia per “vendicare” il Nord Stream?
Il tentativo ucraino di trascinare l’Occidente nella guerra emerge anche dall’enfasi con cui ieri lo Stato maggiore di Kiev ha reso noto di aver impiegato missili balistici tattici ATACMS, forniti dagli Stati Uniti, per colpire direttamente il territorio della Federazione Russa. “Si tratta di un evento storico che sottolinea il fermo impegno dell’Ucraina nei confronti della propria sovranità”, ha reso noto il comando militare su Telegram, sottolineando che continuerà a impiegare gli ATACMS per colpire la Russia con l’obiettivo di innalzare la tensione tra Mosca e Washington.
Difficile attribuire colpe e responsabilità quando il confine tra amici e nemici diventa così evanescente, anche perché una delle conseguenze più gravi di questo conflitto è proprio la crisi (o il rivoluzionamento) delle alleanze. Fratture e sfiducia tra i diversi partner dilagano in un’Europa ormai orfana dell’alleanza con gli Stati Uniti mentre dall’altra parte i buoni rapporti che la Russia ha sempre avuto con Iran e Corea del Nord sono divenuti vere e proprie alleanze e Mosca è stata costretta a un abbraccio con Pechino così stretto che il Cremlino non avrebbe probabilmente mai messo in cantiere in condizioni diverse. Che dire poi delle crescenti intese tra “nemici storici” quali India e Cina sull’onda delle pressioni politiche e commerciali statunitensi?
In Europa le alleanze di cui ci ostiniamo a farci scudo, NATO e UE sono sovrastate da visioni contrastanti e prioritari interessi nazionali divergenti. Se poi a tutto questo aggiungiamo l’allegra gestione finanziaria da parte della classe dirigente ucraina delle centinaia di miliardi donati oggi dagli europei (ieri anche dagli statunitensi) gli interrogativi circa la pioggia di finanziamenti da continuare a versare a Kiev aumentano a dismisura.
Sarebbe ingenuo scoprire oggi che l’Ucraina è uno dei paesi più corrotti del mondo e non ha molto senso ricordare che anche la Russia soffre della medesima piaga poiché la differenza sostanziale è che i russi non li manteniamo noi con i nostri soldi, mentre gli ucraini sì.
La corruzione dilaga in Ucraina fin dal crollo dell’URSS e i soldi buttati a pioggia in seguito alla guerra l’hanno ingigantita come dimostrano le inchieste iniziate fin dal 2022 sul traffico delle armi donate dall’Occidente a Kiev o le dimissioni fin nel 2023 per sospetta corruzione di tanti ministri, viceministri e dirigenti, indagati ma mai processati e finiti tutti all’estero a godersi la vita.
Analisi Difesa è stata tra i primi ad occuparsene fin dai primi mesi del 2022 ma oggi, alla luce dell’andamento tragico per Kiev del conflitto, dell’inadeguatezza degli invii di armi occidentali, della cronica carenza di truppe ucraine, buttare altre centinaia di miliardi in Ucraina come vorrebbe Ursula von der Leyen non ha alcun senso, così come non lo ha per l’Ucraina continuare a combattere una guerra ormai perduta.
Meglio imporre a Kiev di negoziare la pace, pur accettando la neutralità e subendo perdite territoriali, e poi investire denaro europeo per ricostruire l’Ucraina, compito che in ogni caso lasceranno tutti all’Europa.

Come ha affermato ieri il primo ministro ungherese, Viktor Orban, dichiarandosi contrario all’invio di ulteriori aiuti economici all’Ucraina: “In un momento in cui è diventato chiaro che una mafia della guerra sta dirottando i soldi dei contribuenti europei, invece di chiedere un vero controllo o la sospensione dei pagamenti, la presidente della Commissione suggerisce di inviare ancora più fondi. Tutta questa faccenda è un po’ come cercare di aiutare un alcolizzato inviandogli un’altra cassa di vodka. L’Ungheria non ha perso il buon senso”.
Ragioni politiche e geopolitiche possono talvolta indurre ad “andare a letto col nemico”. L’importante è che si tratti di relazioni occasionali e non illudersi che sia vero amore.
Foto: budapestkornyeke.hu, BBC, X, Marina Reale Svedese e PAP.
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.








