Le gambe corte della “narrazione” di Zelensky e Siyrsky

 

Le cronache dai campi di battaglia ucraini degli ultimi giorni rivelano i costanti progressi delle forze di Mosca in diversi settori del fronte, lungo ormai oltre 1.300 chilometri.

Nelle ultime ore il ministero della Difesa russo ha annunciato la conquista diverse località negli oblast di Donetsk, Dnipropetrovsk e Zaporizhzhia. Sono cadute in mano russa Synelnykove (Kharkiv), Sukhyi Yar e Hnativka (Donetsk) oltre a Orestopol, Volchye e Danylivka (Dnipropetrovsk) e Novouspenivs’ke, Nove, Solodke e Rybne (Zaporizhia).

Il 13 novembre i russi hanno confermato il ritiro delle forze ucraine lungo il fiume Oskol nella parte occidentale di Kupyansk, nella regione di Kharkiv, città ormai quasi del tutto in mano ai russi come abbiamo illustrato nell’articolo pubblicato da Analisi Difesa il giorno precedente.

Il 13 novembre i russi hanno intensificato le operazioni contro le truppe ucraine ormai cacciate da Pokrovsk (dove in alcuni quartieri restano però attive alcune sacche di resistenza) e barricate a Mirnograd, dove i russi guadagnano terreno.

Mosca ha reso noto quel giorno che le unità d’assalto della 2a Armata “continuano le operazioni offensive attive nella parte occidentale della città, nelle parti nord-occidentali e orientali del distretto centrale e nella zona industriale occidentale di Pokrovsk”.

I canali Telegram militari russi, solitamente informati da appartenenti ai reparti sul terreno, sostenevano il 13 novembre che la battaglia di Mirnograd vedeva le truppe russe sopprimere la resistenza nemica residua nel distretto nord-orientale della città.

Tutto ciò indicherebbe che l’accerchiamento attorno ai resti della guarnigione nemica nell’area di Pokrovsk-Mirnograd è ora fisicamente sigillato mentre i combattimenti si svolgono all’interno dei confini di Mirnograd, in diverse parti della città contemporaneamente, comprese le zone meridionali e settentrionali.

Indicazioni confermate anche dalle mappe realizzate in base ai rilievi effettuati dall’Institute for the Study of the War e che rendono quanto meno prive di realismo le ultime dichiarazioni rilasciate ai media internazionali dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

Lo stesso 13 novembre il presidente ha annunciato la possibilità di un ritiro delle forze ucraine da Pokrovsk, riconoscendo che stanno affrontando una situazione “molto difficile” nella città.

“La decisione se ritirare le truppe”, ha dichiarato in un’intervista a Bloomberg, “spetta ai comandanti sul campo: nessuno obbliga i nostri soldati a morire per delle rovine. La cosa più importante per noi sono i nostri soldati”, ha aggiunto il leader di Kiev.

Secondo Zelensky, la Russia sta cercando di catturare Pokrovsk per convincere il presidente americano Donald Trump che l’Ucraina deve abbandonare il Donbass per porre fine alla guerra. “Non possiamo lasciare l’Ucraina orientale. Nessuno lo capirà’, la gente non lo capirà”, ha dichiarato Zelensky, “E, soprattutto, nessuno garantirà che, dopo aver catturato questa o quella città, non avanzeranno ulteriormente. Non c’è un deterrente“, ha dichiarato forse senza rendersi conto che così ha ammesso l’incapacità delle forze di Kiev di continuare a difendere il territorio nazionale e contenere le forze russe. In pratica, di continuare la guerra.

 

Distaccati dalla realtà

Alcune frasi di Zelensky appaiono del tutto avulse dal contesto reale, evidenziando una narrazione del tutto fantasiosa e che non diventa più realistica solo perché viene ripetuta da leader e media europei.

Le truppe ucraine non potranno essere ritirate dalla sacca in cui si trovano: è da quasi un mese che gli ucraini hanno perduto l’ultima opportunità di ritirare truppe e materiali in modo ordinato dall’imbuto di Pokrovsk/Mirnograd. Lo dimostrano le mappe russe e dello stesso ISW, think-tank statunitense dichiaratamente filo-ucraino e che quindi non può essere tacciato di fare “propaganda putiniana”.

Fino a due settimane or sono i militari ucraini avrebbero ancora potuto lasciare l’area di accerchiamento operativo che i russi avevano costituito, ma solo di notte e a piedi, senza equipaggiamento, poiché il sempre più ristretto corridoio da attraversare era già continuamente bersagliato da droni e artiglieria.

Affermare come fa Zelensky che il ritiro è questione che decidono i militari e non i vertici politici è semplicemente falso e a Pokrovsk il governo di Kiev ha lasciato che le truppe combattessero in condizioni disperate una battaglia che non poteva più essere vinta: esattamente come è accaduto a Bakhmut, Avdiivka, Soledar, Ugledar e in altre roccaforti.

Sentire Zelesky dichiarare che “nessuno obbliga i nostri soldati a morire per delle rovine” è inaccettabile: le più importanti sconfitte ucraine nelle città sopracitate, in cui le perdite sono state elevatissime, hanno visto decine di migliaia di soldati sacrificati combattendo per delle rovine in condizioni tattiche e operative senza speranza.

 

Negare a ogni costo

Poiché, come sosteneva il poeta inglese John Keats, “la vittoria ha tanti padri e ma la sconfitta è sempre orfana”, può darsi che Zelensky punti ora a scaricare sui vertici militari la responsabilità decisionale sulla conduzione della guerra, specie ora che ha molti grattacapi da gestire sul fronte interno, tra l’emersione della grave corruzione nel governo e nell’intero settore pubblico e il crollo di fiducia degli ucraini che tra diserzioni e renitenza alla chiamata alle armi sembrano sempre meno disposti a farsi mandare a combattere per delle rovine.

Del resto, proprio alla gestione politica delle operazioni militari è stata attribuita da molti osservatori la sostituzione del generale Valery Zaluzhny, contrario a sacrificare intere brigate in battaglie già perdute, rimpiazzato da Oleksandr Syrsky.

L’affermazione di Zelensky che “la cosa più importante per noi sono i nostri soldati”, stride con quanto accaduto negli ultimi due anni e mezzo di guerra, dalla fallita controffensiva ucraina (giugno-novembre 2023) in poi, e ’con le tante dichiarazioni rese, quasi sempre in modo anonimo, da ufficiali ucraini sul campo di battaglia intervistati da diversi media anglo-sassoni ed europei.

Stride anche con le raccomandazioni un tempo suggerite dai consiglieri militari statunitensi di diverse nazioni della NATO, fino allo scorso anno incentrati a non mandare verso un inutile massacro truppe addestrate ed equipaggiate dall’Occidente che avrebbero potuto combattere meglio su linee difensive più arretrate.

Oggi, dopo che Donald Trump ha smarcato gli Stati Uniti dal conflitto lasciando il “fiammifero acceso” in mano agli europei, gli alleati di Kiev del Vecchio Continente sembrano puntare sulla continuazione della guerra per guadagnare tempo grazie al sacrificio delle forze ucraine nella speranza che i russi finiscano per logorarsi.

La stessa strategia di Kiev che, come ha detto Zelensky a Politico, non vuole cedere ai russi le ultime porzioni delle regioni già annesse da Mosca con i referendum autoreferenziali del settembre 2022.

A proposito di realtà alternative disseminate da leader politici e media, in gran parte allineati e determinati a continuare a perdere la residua credibilità, ancora il 12 novembre il generale Syrsky esprimeva valutazioni non certo ispirate all’oggettività militare quando negava “il controllo russo su Pokrovsk” e che vi fosse “un accerchiamento operativo delle forze ucraine”.

Eppure la mappa dell’11 novembre diffusa dall’ISW che pubblichiamo qui sopra dice chiaramente il contrario.

 

La nebbia filo-russa

“Il nemico tenta in particolare di approfittare delle condizioni meteorologiche difficili”, ha scritto in una nota Syrsky citando la nebbia che ostacola la rilevazione dei movimenti. Sostenuti dai media europei, gli ucraini hanno infatti attribuito alla nebbia l’ingresso a Pokrovsk di “300 soldati russi”.

Certamente la nebbia ha impedito l’impiego massiccio di droni, ma non solo di quelli ucraini. In realtà però le truppe di Mosca erano già in città da molte settimane e con forze ben più consistenti di quelle indicate da Kiev, come si evince dalla mappa qui sotto dell’ISW di quasi un mese or sono, il 23 ottobre, in cui già era evidente che i russi erano penetrati nella parte meridionale della città.

Attribuire alla nebbia un improvviso successo russo costituisce un insulto all’intelligenza, al senso comune e soprattutto ai tanti soldati ucraini caduti per difendere anche questa città e queste rovine.

“I nostri compiti principali restano il controllo progressivo delle aree definite, il sostegno e la protezione delle vie logistiche esistenti, oltre all’apertura di percorsi aggiuntivi per rifornire i nostri difensori in tempo utile e garantire l’evacuazione senza intoppi dei feriti”, ha sottolineato Syrsky.

“Nelle aree periferiche e urbane, continua la lotta contro i piccoli gruppi d’assalto di fanteria nemici e, più raramente, la distruzione dei loro equipaggiamenti leggeri. I militari delle Forze di difesa ucraine stanno facendo tutto il possibile per impedire al nemico di muoversi e di trincerarsi”, ha aggiunto.

Osservando la mappa del settore di Pokrovsk/Mirnograd del 12 novembre (qui sotto) sorge spontaneo chiedersi quali linee logistiche stessero difendendo le truppe di Kiev, circondate dalla fanteria e dal fuoco russo. E su quali strade evacuassero i feriti.

Lo stesso 12 novembre il Financial Times dedicava un lungo articolo alla battaglia di Pokrovsk rivelando che “la carenza di militari mette la città ucraina sull’orlo del baratro. Pokrovsk è a rischio poiché Kiev non è in grado di inviare truppe per la difesa, affermano combattenti ed esperti”.

Mentre questo mese le forze russe avanzavano sempre più nella roccaforte ucraina di Pokrovsk, ormai ridotta in macerie, esponenti dell’esercito e della società civile ucraini hanno supplicato i propri leader di ritirare le truppe prima che fosse  troppo tardi.

“Nonostante la spavalderia ufficiale, la situazione è più che complicata e tutt’altro che sotto controllo”, aveva scritto su Facebook già il 4 novembre l’ex viceministro della Difesa ucraino Vitaliy Deynega, fondatore di Come Back Alive, una fondazione ucraina che sostiene l’esercito.

Le forze ucraine, affermava Deynega il 4 novembre, “devono uscire da queste città finché è possibile”. L’ex viceministro, rileva il giornale britannico, era tra le voci sempre più numerose che suggerivano che la situazione a Pokrovsk e Mirnograd avesse raggiunto un punto di non ritorno.

In attesa che qualcuno faccia leggere il Financial Times a Zelensky e a Syrsky, vale la pena ricordare che l’ex parlamentare ucraino e comandante della compagnia di droni Igor Lutsenko ha scritto in ottobre sul suo canale Telegram le seguenti  parole.

Si mente a tutti i livelli nelle forze armate, dai plotoni su fino alle brigate. Si mente sulle posizioni perse annunciate solo quando tutti i contrattacchi falliscono, si mente sui dispersi ben sapendo che sono morti, si mente sulla disponibilità e sullo stato in cui si trovano le armi, sulla prontezza del personale, e sui droni abbattuti. Quest’ultima bugia viene ripetuta anche se appare ovvia agli occhi del mondo”.

Foto: Presidenza Ucraina, Forze Armate Ucraine, RIA Novosti e TASS

 

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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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