Beni russi congelati e crediti a fondo perduto all’Ucraina: ha davvero «prevalso il buon senso»?

 

Nella notte tra giovedì 18 e venerdì 19 dicembre, il Consiglio Europeo ha stabilito che il finanziamento dell’Ucraina verrà espletato attraverso l’erogazione di un prestito a tasso zero a favore di Kiev garantito dal bilancio europeo.

a nuova linea di credito viene a configurarsi come una rete di sicurezza fondamentale per scongiurare la bancarotta dell’Ucraina, alla disperata ricerca di fondi per erogare stipendi e pensioni, riparare infrastrutture danneggiate dagli attacchi russi e acquistare armi e munizioni.

L’intesa, raggiunta con l’astensione di Slovacchia e Ungheria che non parteciperanno allo sforzo al pari della Repubblica Ceca (che ha votato però a favore), sancisce la marginalizzazione della linea oltranzista sposata dai vertici della Commissione Europea (Ursula Von der Leyen e Kaja Kallas) e dal cancelliere Friedrich Merz che puntava al reimpiego dei fondi russi congelati a favore dell’Ucraina, come previsto dal piano d’azione predisposto dalla Commissione Europea.

Nel dettaglio, la proposta prevedeva l’attivazione di una procedura di conversione dei beni russi sottoposti a congelamento in garanzie per la concessione di un “prestito di riparazione” volto a coprire parte sostanziale dei costi di difesa e ricostruzione dell’Ucraina per il biennio 2026-2027 – periodo in cui, stima il Fondo Monetario Internazionale, il Paese necessiterà di non meno di 137 miliardi di euro. Lo stesso meccanismo subordinava l’estinzione del debito contratto da Kiev con l’Unione Europea alla disponibilità della Russia a risarcire l’Ucraina per i danni subiti.

Questa opzione sembrava scontare il consenso maggioritario dell’Unione Europea, specialmente alla luce del precedente pronunciamento del Consiglio d’Europa che aveva aperto il varco alla soluzione preferita dai “falchi”.

Lo scorso 12 dicembre, i rappresentanti di tutti i Paesi membri dell’Unione Europea ad eccezione di quelli ungheresi e slovacchi avevano infatti votato a favore del congelamento a tempo indeterminato di circa 210 miliardi di dollari di asset riconducibili alla Bank of Russia, di cui 185 depositati presso Euroclear.

Il provvedimento di immobilizzazione è attivo dal marzo 2022, ma fino al 12 dicembre scorso è stato rinnovato ogni sei mesi con l’approvazione unanime del Consiglio d’Europa.

La nuova misura ha di fatto accantonato i requisiti di unanimità e rinnovabilità a cadenza semestrale previsti dai trattati europei per rendere la proposta di congelamento dei beni russi approvabile a maggioranza qualificata (15 Paesi su 27 a condizione che rappresentino il 65% della popolazione dell’Unione Europea) e applicabile a tempo indeterminato, in forza della clausola dell’articolo 122 del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea che ne vincola l’invocazione alla sussistenza di «circostanze eccezionali».

L’articolo stabilisce esplicitamente che, «fatte salve eventuali altre procedure previste dai trattati, il Consiglio, su proposta della Commissione, può decidere, in uno spirito di solidarietà tra Stati membri, le misure adeguate alla situazione economica, in particolare qualora sorgano gravi difficoltà nell’approvvigionamento di determinati prodotti, in particolare nel settore dell’energia. Qualora uno Stato membro si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo, il Consiglio, su proposta della Commissione, può concedere, a determinate condizioni, un’assistenza finanziaria dell’Unione allo Stato membro interessato. Il presidente del Consiglio informa il Parlamento Europeo della decisione adottata».

Nella fattispecie, si trattava di evitare che Paesi sempre più recalcitranti ad allinearsi alla politica del sostegno incondizionato all’Ucraina come Ungheria e Slovacchia ponessero il veto sul rinnovo del regime sanzionatorio mesi dopo che i fondi russi fossero stati riciclati come garanzia per l’apertura di una linea di credito a favore dell’Ucraina, come previsto dal piano d’azione predisposto dalla Commissione Europea. Nel qual caso, il Belgio in primis, sede di Euroclear, si sarebbe ritrovato nell’impossibilità di restituire alla Russia i beni di sua spettanza in conformità al decadimento delle sanzioni.

Alla luce di siffatte “circostanze eccezionali” ravvisate dagli ideatori dell’iniziativa, l’Unione Europea ha aperto il varco al congelamento a tempo indeterminato degli asset russi nonostante l’opposizione di Ungheria e Slovacchia e senza consultare il Parlamento Europeo.

Concepito per fornire una risposta rapida a eventi eccezionali quali catastrofi naturali e interruzioni improvvise negli approvvigionamenti energetici, l’articolo 122 è stato quindi invocato per aggirare il principio dell’unanimità rispetto a una questione di tutt’altra natura come l’immobilizzazione a tempo indeterminato degli asset russi, alla luce delle crescenti difficoltà riscontrate dall’Unione Europea e sottolineate dal Kiel Institute nel garantire regolare assistenza all’Ucraina.

L’alto rappresentante per la Politica Estera dell’Unione Europea Kaja Kallas aveva accolto con favore il pronunciamento, affermando che «l’Unione Europea ha appena deciso di congelare a tempo indeterminato i beni russi. Questo garantisce che fino a 210 miliardi di euro di fondi russi rimangano sul territorio dell’Unione Europea, a meno che la Russia non paghi integralmente i risarcimenti all’Ucraina per i danni causati. Continueremo ad aumentare la pressione sulla Russia affinché prenda sul serio i negoziati».

Negoziati che rischiavano verosimilmente di naufragare proprio per effetto dell’iniziativa dell’Unione Europea, palesemente inconciliabile con il piano di pace predisposto dall’amministrazione Trump.

Il punto 13 del piano statunitense prevede che «la revoca delle sanzioni sarà discussa e concordata in più fasi e caso per caso». Il punto 14 stabilisce invece che «i fondi congelati saranno utilizzati come segue:100 miliardi di dollari di beni russi congelati saranno investiti negli sforzi guidati dagli Stati Uniti per ricostruire l’Ucraina e investire nel Paese. Gli Stati Uniti riceveranno il 50% dei profitti derivanti da questa iniziativa. L’Europa aggiungerà 100 miliardi di dollari per incrementare gli investimenti disponibili finalizzati alla ricostruzione dell’Ucraina. I fondi europei sottoposti a congelamento saranno sbloccati. La parte rimanente dei fondi russi congelati sarà investita in un veicolo di investimento separato tra Stati Uniti e Russia che implementerà progetti congiunti in aree specifiche. Questo fondo sarà finalizzato a rafforzare le relazioni e ad accrescere gli interessi comuni per creare un forte incentivo a non tornare al conflitto».

 

La reazione di Orban e De Wever

Il primo ministro magiaro Viktor Orban, dal canto suo, aveva reagito al voto del 12 dicembre formulando un implacabile atto d’accusa nei confronti dell’Unione Europea: «oggi – ha tuonato Orban – i cittadini di Bruxelles attraversano il Rubicone. A mezzogiorno si terrà una votazione scritta che causerà danni irreparabili all’Unione. L’oggetto del voto sono i beni russi congelati, su cui gli Stati membri dell’Unione Europea hanno finora votato ogni 6 mesi e adottato una decisione unanime. Con la procedura odierna, i brussellesi aboliscono il requisito dell’unanimità con un solo colpo di penna, il che è chiaramente illegale».

Con la decisione del 12 dicembre, ha proseguito Orban, «lo Stato di diritto nell’Unione Europea giunge al termine e i leader europei si pongono al di sopra delle regole. Anziché garantire il rispetto dei trattati dell’Unione Europea, la Commissione Europea sta sistematicamente violando il diritto europeo. Lo fa per continuare la guerra in Ucraina, una guerra che chiaramente non è possibile vincere. Tutto questo accade in pieno giorno, a meno di una settimana dalla riunione del Consiglio d’Europa, il più importante organo decisionale dell’Unione, che riunisce i capi di Stato e di governo. Con questo, lo Stato di diritto nell’Unione Europea viene sostituito dal governo dei burocrati. In altre parole, si è affermata una dittatura di Bruxelles. L’Ungheria protesta contro questa decisione e farà tutto il possibile per ripristinare un ordine legale».

Belgio, Bulgaria, Italia e Malta avevano sottoscritto una dichiarazione che invitava a esplorare opzioni alternative meno gravide di rischi rispetto a quella messa a punto dalla Commissione Europea.

Il Belgio, che in quanto sede di Euroclear rappresenta a tutt’oggi di gran lunga il Paese più esposto, ha continuato a invocare l’elaborazione di un meccanismo di condivisione di rischi e responsabilità che spalmasse i relativi oneri sui 27 Stati membri dell’Unione Europea.

Ha quindi posto come condizione vincolante l’estensione del provvedimento di immobilizzazione sine die dei beni russi all’intera area giurisdizionale dell’Unione Europea, così da ricomprendervi – con grande disappunto del presidente Macron – anche le banche commerciali francesi (Crédit Agricole, Société Générale e Bpce) in cui giacciono circa 18 miliardi di euro di beni russi congelai.

«Se gli altri Paesi dell’Unione Europea accettano di condividere pienamente i rischi e proteggere il Belgio da potenziali ritorsioni russe, allora ci getteremo tutti insieme da quella scogliera… e spereremo che il paracadute ci sostenga», aveva dichiarato il primo ministro belga De Wever. «Lo faremo perché l’alternativa – nessuna soluzione, nessun finanziamento per l’Ucraina, il collasso del Paese – rappresenta la massima vergogna geopolitica per l’Europa, che proveremo per decenni a venire», aveva aggiunto.

Tuttavia, «ad oggi, non ho visto un solo testo che soddisfi tali condizioni»,ha chiarito De Wever la mattina del 18 dicembre, alla vigilia della riunione indetta dal Consiglio d’Europa per stabilire definitivamente quali modalità operative adottare per garantire la prosecuzione del sostegno all’Ucraina.

La proposta consistente nel riciclo dei beni russi come garanzia per l’erogazione del “prestito di riparazione” all’Ucraina, ha affermato De Wever, è «discutibile ai sensi del diritto internazionale» e suscettibile per di più di minare sia la fiducia dei mercati finanziari, sia la credibilità di Euroclear.

La posizione del premier belga, sottoposto per sua stessa ammissione a forti pressioni dal «blocco ampio e potente» formato da Germania, Polonia, Paesi baltici e scandinavi con il supporto della Commissione Europea, è andata irrigidendosi a fronte del pronunciamento di Fitch.

La nota agenzia di rating ha infatti collocato Euroclear in credit watch negativo proprio in virtù dei  del «potenziale aumento dei rischi legali e di liquidità» che sarebbero derivati dall’approvazione della proposta concepita dalla Commissione Europea. Secondo Fitch, «il rischio di contenzioso potrebbe aumentare significativamente qualora non adeguatamente compensato dalle tutele legali comprese nella struttura del “prestito di riparazione”».

L’allarme lanciato da Fitch ha avvalorato i timori espressi dalla “fronda” interna all’Unione Europea guidata dall’Italia, che assieme ad Austria e Germania figura nel novero dei Paesi europei detentori del volume più consistente di asset in Russia e, di conseguenza, maggiormente esposti alle ritorsioni del Cremlino.

 

La risposta di Mosca

La Bank of Russia, dal canto suo, ha già citato Euroclear in giudizio presso il Tribunale arbitrale di Mosca richiedendo un risarcimento di 18,2 trilioni di rubli (circa 200 miliardi di euro) in conseguenza del «furto di proprietà» consumato con il voto del Consiglio d’Europa del 12 dicembre, in linea con le dichiarazioni formulate sul punto.

Nel comunicato stampa diffuso dalla Bank of Russia a margine del voto del 12 dicembre si legge che «le soluzioni proposte, che prevedono l’utilizzo diretto o indiretto degli asset della Banca di Russia o qualsiasi altra forma di utilizzo non autorizzato degli asset della Banca di Russia, sono illegali e contraddicono il diritto internazionale, anche per quanto riguarda l’immunità degli asset sovrani».

Inoltre, «la pubblicazione e l’attuazione delle proposte annunciate sul sito web della Commissione Europea spingeranno sicuramente la Bank of Russia a contestare qualsiasi attività diretta o indiretta che possa comportare l’utilizzo non autorizzato degli asset, a intentare azioni legali presso tutti gli organi competenti disponibili, inclusi tribunali nazionali, autorità giudiziarie di Stati esteri e organizzazioni internazionali, tribunali commerciali e altre autorità giudiziarie internazionali, e a richiedere l’esecuzione delle decisioni giudiziarie negli Stati membri delle Nazioni Unite».

La Bank of Russia «si riserva il diritto, senza ulteriore preavviso, di applicare tutti i rimedi e le tutele disponibili qualora le iniziative proposte dall’Unione Europea vengano accolte o attuate».

L’iniziativa legale della Banca Centrale si configura tuttavia soltanto come la prima di una lunga serie di cause che sarebbero scattate pressoché in automatico qualora il Consiglio d’Europa avesse approvato il piano della Commissione Europea, aggiungendosi a quelle già aperte da aziende e privati cittadini russi presso i tribunali preposti alla risoluzione delle controversie tra investitori e Stati.

Quello legale non è tuttavia l’unico ambito in cui si sarebbe dispiegata la rappresaglia di Mosca. Secondo i calcoli del Kyiv School of Economics Institute (Ksei), le aziende occidentali detenevano in Russia almeno 127 miliardi di dollari di asset, parte dei quali è già stato sottoposto a sequestro dal Cremlino causando perdite stimate dall’istituto in almeno 57 miliardi di dollari.

Sebbene 1.903 aziende straniere si siano ritirate dalla Russia o abbiano ridimensionato significativamente le loro attività nel Paese dal febbraio 2022, ben 2.315 vi operano ancora.

Tra cui i complessi produttivi di Volkswagen e Siemens, i supermercati di Auchan e le filiali di Raiffeisen e UniCredit, che hanno generato ingenti profitti non rimpatriabili per effetto del divieto di distribuzione dei dividendi. Stando ai calcoli del Ksei, nel solo 2024 le aziende straniere hanno generato profitti in Russia per 19,5 miliardi di dollari.

Mosca può ancora procedere al sequestro di filiali, dividendi e investimenti occidentali attualmente sottoposti a congelamento, ai sensi di un decreto firmato dal presidente Putin lo scorso settembre che istituisce una corsia preferenziale per espletare con la dovuta rapidità i procedimenti di nazionalizzazione in risposta ad atti ostili come quelli che erano stati messi in cantiere dall’Unione Europea.

 

Le reazioni in Europa

«Come si può pensare che rubare di fatto il denaro di un altro Paese non porterà a un ulteriore disastro? La prima conseguenza è che la Russia si sentirà libera di confiscare tutti i beni esteri», ha dichiarato il senatore della Lega Claudio Borghi (nella foto sotto) al Financial Times.

Lo stesso presidente Putin ha ventilato «conseguenze davvero dure. Non importa cosa rubino, prima o poi dovranno restituirlo e, cosa più importante, andremo in Tribunale per proteggere i nostri interessi. Faremo del nostro meglio per trovare una giurisdizione indipendente dal contesto politico».

I Paesi membri dell’Unione Europea, ha aggiunto il leader del Cremlino, si sarebbero esposti a conseguenze ancor più gravi: «non soltanto un duro colpo alla loro immagine, ma anche una perdita di fiducia nell’eurozona. Oltre alla Russia, molti altri Paesi conservano le proprie riserve auree e valutarie in Europa, così come quelli che dispongono di risorse libere».

Questo genere di prospettive hanno indubbiamente contribuito a spostare massa critica a favore della posizione disallineata assunta dalla “fronda” interna all’Unione Europea, al pari delle forti pressioni esercitate dall’amministrazione Trump, perfettamente consapevole che l’utilizzo dei beni russi avrebbe affossato irrimediabilmente le trattative tuttora in corso.

Secondo la premier Giorgia Meloni, «ha prevalso il buon senso». Per Orban, invece l’intesa sul credito da 90 miliardi di euro rappresenta un passo avanti verso il baratro. Il primo ministro ungherese sottolinea che «il rimborso non è legato alla crescita economica o alla stabilizzazione, ma alla vittoria militare. Per recuperare questo denaro, la Russia dovrebbe essere sconfitta».

Questa «non è la logica della pace, ma quella della guerra. Un prestito di guerra rende inevitabilmente i suoi finanziatori interessati alla continuazione e all’escalation del conflitto, perché una sconfitta significherebbe anche una perdita finanziaria. D’ora in poi, non si parla più solo di decisioni politiche o morali, ma di rigidi vincoli finanziari che spingono l’Europa in una sola direzione: verso la guerra. La logica bellica di Bruxelles si sta quindi intensificando. Non sta rallentando, ma si sta istituzionalizzando. Il rischio oggi è maggiore che mai, perché la continuazione della guerra è ora associata a un interesse finanziario».

L’Ungheria «sceglie consapevolmente di non intraprendere questa pericolosa strada. Non prendiamo parte a iniziative che suscitino l’interesse dei partecipanti a prolungare la guerra. Non cerchiamo una scorciatoia verso la guerra, ma un’uscita verso la pace.

Non si tratta di «isolazionismo, ma di sobrietà strategica. Di agire nell’interesse dell’Ungheria e, a lungo termine, anche dell’Europa».

La riflessione formulata da Orban ha trovato istantaneamente riscontro nella presa di posizione del presidente Zelensky, secondo cui lo stanziamento di 90 miliardi di euro da parte dell’Europa rappresenta «una decisione senza precedenti che produrrà un impatto anche sui negoziati di pace. L’Ucraina si troverà in una posizione più forte».

I fondi «sono destinati al periodo 2026-2027 e contiamo di utilizzare tutti i 210 miliardi dei beni russi. Ci rendiamo conto che il prestito senza interessi sarà rimborsato dall’Ucraina soltanto a condizione che la Russia paghi le riparazioni all’Ucraina. Si tratta quindi di una vittoria importante, tangibile e significativa, e non solo dal punto di vista finanziario».

Sotto il profilo «geopolitico e politico, i leader europei hanno dimostrato la loro forza e hanno avuto l’integrità necessaria per prendere una decisione del genere» ha aggiunto Zelensky,

Foto: X, Presidenza Ucraina, TASS e Commissione Europea

 

Giacomo GabelliniVedi tutti gli articoli

Analista economico e geopolitico, saggista, gestore del canale YouTube "Il Contesto | Analisi economica a geopolitica" e dell'omonimo sito web. Ha all'attivo numerose collaborazioni con testate sia italiane che straniere, tra cui le riviste "La Fionda" e "Krisis" e il quotidiano cinese "Global Times". È autore di numerosi volumi, tra cui Krisis. Genesi, formazione e sgretolamento dell'ordine economico statunitense (Mimesis, 2021), Ucraina. Il mondo al bivio (Arianna, 2022), Dottrina Monroe. L'egemonia statunitense sull'emisfero occidentale (Diarkos, 2022), Taiwan. L'isola nello scacchiere asiatico e mondiale (LAD, 2022), Dedollarizzazione. Il declino della supremazia monetaria americana (Diarkos, 2023), Scricchiolio. Le fragili fondamenta di Israele (Il Cerchio, 2025).

Login

Benvenuto! Accedi al tuo account

Ricordami Hai perso la password?

Lost Password

Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy: