L’Unione europea scommette (i nostri soldi) sulla sconfitta della Russia

 

La decisione di congelare a tempo indeterminato i beni finanziari russi in Europa e di procedere a un prestito comune da 90 miliardi di euro per finanziare l’Ucraina si presta a diverse valutazioni.

Senza voler ripetere i dettagli già ampiamente illustrati dall’articolo di Giacomo Gabellini, gli aspetti più rilevanti della vicenda sono almeno tre.

Il primo ha risvolti interni alla UE e alla tenuta della Commissione von der Leyen: è fallito il tentativo, reiterato per mesi da tutti i principali commissari europei e da molti leader nazionali, di sequestrare i beni russi per finanziare l’Ucraina giustificando l’atto illegale con il valore morale di sostenere Kiev col denaro del suo nemico russo.

Invece di lanciare proclami per mesi attribuendo patenti di “putiniani” a chiunque mettese in dubbio l’opportunità e la legalità del furto degli asset russi, i leader europei avrebbero risparmiato molte brutte figure rinunciando alle dichiarazioni pubbliche (molte sopra le righe) e chiudendosi in una stanza, anche per litigare, ma per uscirne poi con una decisione precisa e condivisa.

La conseguenza di questo dilettantesco pressapochismo è un compromesso in cui hanno vinto le posizioni prudenti espresse da cinque nazioni, tra cui Italia e Belgio, preoccupate di dover affrontare cause giudiziarie e del crollo di credibilità dell’intera Area Euro agli occhi degli investitori internazionali.

Un rischio mitigato ma non del tutto scongiurato, poiché la decisione di congelare senza scadenza i beni russi non indurrà nessuno ad avere fiducia nell’Europa né come partner politico-strategico né come partner finanziario.

Vince anche l’asse della Mitteleuropa composto da Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca, che si sono sottratti anche dall’impegno di finanziare il prestito di 90 miliardi di euro all’Ucraina ma vince anche Kiev che incassa un’ingente somma di denaro che potrà gestire come meglio crede nonostante la corruzione galoppante nel paese e che, come ha sottolineato il presidente Zelensky, verrà restituita agli europei solo quando la Russia avrà pagato le riparazioni di guerra.

A uscire sconfitta è quindi la Commissione von der Leyen, che deve rispondere a partner sempre più divisi tra loro, ma che ha però trovato il modo per rifornire l’Ucraina di ingenti somme che secondo alcuni osservatori saranno sufficienti a Kiev per resistere ancora un anno sui campi di battaglia nella speranza, coltivata invano ormai da 4 anni, che i russi si stanchino di combattere e l’economia di Mosca venga logorata dal conflitto.

 

Scommessa al buio

Il secondo aspetto, forse il più importante, è proprio questo: la Ue scommette (con i nostri soldi) sulla sconfitta di Mosca. Ci scommette da un lato sostenendo la guerra dell’Ucraina con un finanziamento la cui assenza (o il cui posticipo) avrebbe favorito l’accettazione da parte di Kiev del piano di pace statunitense che prevede la neutralità ucraina e la cessione di territori alla Russia che risultano peraltro già in buona parte occupati dalle forze di Mosca.

Dall’altro la Ue scommette sulla sconfitta russa anche nel valutare che saranno le riparazioni di guerra che Mosca dovrà pagare a Kiev a permettere all’Ucraina di restituire i soldi agli europei.

Valutazioni su cui è lecito esprimere seri dubbi. Innanzitutto la responsabilità politica assunta dalla UE di contrastare, forse in modo decisivo, il piano di pace di Donald Trump implica una belligeranza, per così dire “non combattente” dell’Europa che inevitabilmente porrebbe la Ue tra gli sconfitti nell’ipotesi non certo irrealistica che Kiev perda la guerra sui campi di battaglia.

Sostenere il piano statunitense avrebbe determinato la sconfitta ma impedito la disfatta dell’Ucraina. Averlo affossato, come ha fatto la Ue, rischia di comportare effetti disastrosi nei rapporti con gli USA (specie se Washington e Mosca rinsaldassero, come intendono fare, i legami bilaterali) soprattutto se nessuna nazione europea è disposta a inviare in Ucraina propri militari (e in gran numero) per evitare la sconfitta di Kiev.

Del resto anche l’attentato che ha assassinato a Mosca il generale Fanil Sarvarov, responsabile dell’addestramento operativo dell’esercito russo (in circostanze diverse lo chiameremmo “attentato terroristico”), sembra temporalmente cadere al momento giusto per ostacolare l’iniziativa negoziale di Donald Trump.

Il viceministro degli Esteri russo, Sergej Rjabkov, ha fatto notare che “naturalmente, una certa coincidenza tra gli eventi tragici e negativi e ciò che sta accadendo a livello politico e diplomatico suggerisce qualcosa“, ma non occorre essere filorussi per sospettarlo.

Che Ue e Ucraina cooperino strettamente per far fallire i negoziati e continuare la guerra è quindi molto più di un’ipotesi, anche se è difficile coglierne il senso.

Oggi non esiste nessun elemento concreto che gli ucraini possano riconquistare i territori perduti né che possano impedire ai russi di conquistarne altri. Anzi, a giudicare dalla rapida caduta in mani russe di roccaforti quali Seversk (completamente conquistata da diversi giorni) e Gulyapole (ormai in gran parte in mano ai russi), sembra che le capacità di resistenza delle truppe ucraine si stiamo progressivamente indebolendo sempre di più.

In questo contesto non basteranno i denari, ammesso che non vengano sperperati dalla dirigenza di Kiev in ville in Florida (o sul Mar Rosso) e in water d’oro, a cambiare le cose sul campo di battaglia. Ci vorrebbero armi e munizioni (che l’Europa fornisce in numero costantemente in calo come ha evidenziato il Kiel Institute) e soprattutto truppe ben addestrate, di cui Kiev ha una carenza sempre più evidente.

Inoltre, in termini finanziari, contare sul fatto che Mosca paghi riparazioni di guerra all’Ucraina è un azzardo esattamente come credere che i russi vengano sconfitti. Le riparazioni le paga chi perde le guerre e oggi non vi sono elementi concreti per ritenere che i russi usciranno sconfitti e quindi neppure che i 90 miliardi prestati a Kiev verranno rimborsati alle nazioni europee.

Che colpire l’Europa fosse tra gli obiettivi statunitensi e che questa guerra vedesse fin dal suo inizio il Vecchio Continente sconfitto era evidente fin dal 2022, almeno a chiunque non volesse guardare alla crisi e poi alla guerra russo-ucraina con paraocchi ideologici.

Non era però prevedibile che la Ue facesse di tutto per ingigantire le dimensioni dei suoi errori e del suo disastro economico, energetico e strategico che ha perseguito e continua a perseguire con determinazione suicida.

Sarebbe stato consigliabile, in base agli interessi europei, chiudere il conflitto ora sostenendo il Piano Trump e consigliando a Kiev di accettare perdite territoriali in cambio della ricostruzione e del prossimo ingresso nella Ue.

 

Fondi insufficienti?

Il terzo aspetto, di cui si parla ben poco, è che i 90 miliardi messi in campo dalla Ue non saranno sufficienti a sostenere la spesa pubblica e bellica dell’Ucraina nel 2026. Secondo il Fondo Monetario Internazionale il fabbisogno ucraino sarà di almeno 137 miliardi di dollari e del resto nel luglio scorso Kiev aveva chiesto all’Europa 120 miliardi di dollari solo per il sostegno militare allo sforzo bellico nel 2026.

La Ue esce quindi indebolita e divisa dal rinnovo del sostegno finanziario all’Ucraina che la pone sempre più in contrapposizione non solo alla Russia ma anche agli Stati Uniti.

Invece di rispondere degli errori compiuti negli ultimi quattro anni e di elaborare strategie alternative, la Commissione von der Leyen li reitera in nome dell’ardita scommessa che si verificherà prima il collasso della Russia di quello dell’Europa.

Foto: Commissione Europea, TASS e Presidenza Ucraina

 

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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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