Inseguendo la pace giusta verso la disfatta ineluttabile

L’impasse nello sviluppo dei negoziati per la pace in Ucraina, al netto delle dichiarazioni ottimistiche provenienti da Mosca e Washington, appare sempre più evidentemente legato alla frattura ogni giorno più larga che separa gli alleati occidentali sulle due sponde dell’Atlantico.
Frattura già emersa chiaramente con la messa a punto della Coalizione dei Volenterosi composta da Francia, Gran Bretagna e forse Germania che dovrebbe schierare in Ucraina dopo gli accordi di pace una “Forza di rassicurazione” che dovrebbe, appunto, rassicurare Kiev ma non è però compatibile con le condizioni poste dalla Russia per accettare l’accordo che prevedono l’assenza di truppe di nazioni aderenti sul suolo ucraino.
Come abbiamo sottolineato in un precedente editoriale, la manovra delle potenze europee persegue quindi lo scopo di ostacolare e in prospettiva impedire all’Amministrazione Trump di concludere con un negoziato il conflitto in Ucraina. Le due potenze atomiche europee, al pari dei Dem statunitensi, vogliono quindi che la guerra continui. Di fatto, parafrasando un detto molto diffuso, fanno i bellicosi con la pelle degli altri, in questo caso degli ucraini.
Non mancano del resto altri indizi del tentativo, che unisce la Coalizione dei Volenterosi europei con gli ambienti dell’opposizione statunitense del Partito Democratico, di ridicolizzare l’iniziativa diplomatica di Trump definendola, come ha fatto il Washington Post, dilettantesca o addirittura “filorussa”.
Il giornale statunitense ha raccolto testimonianze di analisti europei e statunitensi, tutti convinti che il processo negoziale sia sbilanciato a favore del Cremlino e che esprimono dubbi sull’imparzialità e la competenza della squadra americana scelta da Trump al punto da citare Lawrence Freedman, professore al centro studi sulla guerra del King’s College di Londra, che parlando dell’inviato statunitense Steve Witkoff ha detto che “sembra più un inviato di Putin presso Trump che il contrario”.
Molti osservatori non hanno perdonato a Witkoff di aver affermato che nelle regioni secessioniste fin dal 2014 di Donetsk e Lugansk e in quelle occupate non completamente dai russi ma annesse con i referendum del settembre 2022 (non riconosciuti dalla comunità internazionale) di Zaporizhia e Kherson, la gran parte della popolazione voglia essere russa.
Affermazione difficile da smentire anche tenendo conto che con i russi combattono oltre 100 mila militari arruolati in quelle regioni ma che cozza con tre anni di propaganda ucraina sostenuta da USA/NATO/UE tesa comprensibilmente a negare che il conflitto in atto sia anche una guerra civile.
Piuttosto, dai primi round dei negoziati è apparso chiaro che la priorità per Washington è ripristinare le relazioni a tutto campo con Mosca con l’obiettivo che abbiamo evidenziato su Analisi Difesa di avere il supporto di Vladimir Putin nei negoziati che Trump vorrà e dovrà gestire con Iran, Cina e Cora del Nord, oggi stretti alleati della Russia. In questo contesto trovare l’intesa per chiudere la guerra in Ucraina è più uno strumento, certo necessario, che un fine per l’Amministrazione statunitense.
L’obiettivo di screditare il negoziato voluto da Trump e di farlo fallire, così come le crepe sempre più larghe tra Stati Uniti ed Europa (complici anche le vicende commerciali legate i dazi americani), appare confermato da alcune constatazioni ma pure da diverse contraddizioni.
Constatazioni
La prima constatazione è che i capi di stato maggiore delle forze armate di Francia e Regno Unito, il generale Thierry Burckhardt e l’ammiraglio Anthony Radakin (nelle foto sopra e qui sotto a lato), hanno incontrato il 5 aprile a Kiev il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e i vertici militari dell’Ucraina.
Lo ha riferito Burkhardt in un post su X. “Kiev. Incontro con il presidente Volodymyr Zelensky, il ministro della Difesa Rustem Umerov e il comandante in capo delle forze armate ucraine Oleksandr Syrsky, insieme al mio collega Anthony Radakin”, ha scritto il generale francese.
Secondo Burkhardt, lo scopo degli incontri della delegazione franco-britannica durante la visita in Ucraina è quello di “mantenere un risoluto sostegno alle Forze armate dell’Ucraina, che consenta loro di continuare a combattere, definire una strategia a lungo termine per il ripristino e la trasformazione del modello di esercito“, che è la principale garanzia della sicurezza del Paese, nonché “discutere le opzioni per le garanzie di sicurezza sviluppate da Francia e Regno Unito nel quadro della coalizione internazionale a sostegno dell’Ucraina dopo l’attuazione del cessate il fuoco. Insieme ci impegniamo per garantire una pace stabile e duratura in Ucraina, condizione necessaria per la sicurezza del continente europeo”, ha aggiunto Burkhardt.
Gli anglo-francesi puntano quindi a dare sostanza visibile al progetto che, con la motivazione di offrire garanzie di sicurezza all’Ucraina punta a far fallire i negoziati. Zelensky sembra puntare su Londra e Parigi per restare in sella continuando la guerra e ha riferito di progressi nelle trattative per l’invio di truppe in Ucraina anticipando che il primo contingente ad arrivare sarà quello francese.
La seconda constatazione, forse la più eclatante, è la decisione del segretario alla Difesa Pete Hegseth di non partecipare alla riunione dell’Ukraine Defense Contact Group (UDCG) presso la base aerea di Ramstein, il prossimo 11 aprile. Un appuntamento periodico che riunisce una cinquantina di nazioni impegnate a fornire aiuti a Kiev.
Se per la prima volta il vertice del Pentagono non vi parteciperà il significato appare chiaro, anche perché gli Stati Uniti avevano presieduto 25 vertici ed Hegseth aveva partecipato all’ultima riunione dell’UDCG in febbraio rinunciando a presiederla mentre nel prossimo incontro la presidenza sarà di Germania e Regno Unito.
Secondo Defense News, che aveva rivelato il 3 aprile l’assenza di Hegseth al summit citando fonti a conoscenza della vicenda, gli Stati Uniti stanno ancora valutando in che forma partecipare ai vari forum a sostegno dell’Ucraina, compresi quelli relativi alla fornitura di armi e all’addestramento delle truppe ucraine.
Un funzionario statunitense che ha chiesto l’anonimato, ha riferito che Hegseth non solo non sarà fisicamente presente a Ramstein ma neppure in collegamento video. Si tratta quindi di un gesto di chiaro distacco dalla “causa” ucraina che secondo le fonti rende improbabile che il Pentagono invii altri rappresentanti di alto livello al vertice.
Al di là delle rivelazioni a Defense News è possibile che Hegseth voglia in questo modo far comprendere a al presidente ucraino che se non accetterò le condizioni poste da Mosca (per chiudere il conflitto (o se non firmerà al più presto l’accordo che metterà in mano agli americani infrastrutture e risorse minerarie ucraine) non potrà comunque contare sul supporto militare statunitense.
A rincarare la dose di sospetti di un rapido e progressivo sganciamento degli Stati Uniti dall’Europa ha contribuito l’8 aprile la notizia rivelata da NBC News che il Pentagono sta valutando una proposta per il ritiro di 10 mila militari americani dall’Europa orientale, soprattutto da Polonia e Romania.
NBC News cita sei diverse fonti americane e europee sottolineando la preoccupazione suscitata dal rischio che questa iniziativa possa rafforzare Mosca. Le unità che potrebbero essere ritirate infatti fanno parte del contingente di 22mila militari che l’amministrazione Biden inviò nel 2022 nei Paesi della NATO confinanti o nei pressi dell’Ucraina dopo l’invasione russa. Si stanno ancora discutendo i numeri precisi, riferiscono le fonti, ma la proposta potrebbe portare al ritiro di metà delle forze inviate dall’Amministrazione Biden.
Al di là degli allarmismi, si tratterebbe quindi non della riduzione delle forze USA in Europa ma del dimezzamento dei rinforzi inviati con l’inizio della guerra e che ora Trump con i negoziati con Mosca in corso, ritiene forse superflui o il cui ritiro si valuta possa favorire le trattative.
A questo proposito va sottolineata una terza constatazione: Zelensky il 3 aprile ha affermato che per l’Ucraina “la pace sarà giusta quando tutti i territori conquistati dalla Russia saranno restituiti dall’occupazione.
Altri aspetti geopolitici sono il non riconoscimento dei territori occupati dalla Russia come russi. Si tratta in ogni caso di territori ucraini. Questa è una delle principali linee rosse per noi”, ha detto Zelensky. ”Se si può trovare un compromesso in modo che la restituzione di questi territori possa avvenire nel tempo attraverso la diplomazia, penso che probabilmente per alcuni territori questa sarà l’unica via. Quindi faremo di tutto per garantire il ripristino dell’integrità territoriale dell’Ucraina”.
Nei fatti quindi il presidente ucraino nega ogni margine di trattativa con Mosca (in Ucraina peraltro i negoziati con i russi sono vietati da una legge approvata dal Parlamento di Kiev) con un atteggiamento che sarebbe giustificato solo se le forze di Kiev stessero riconquistando terreno e vincendo la guerra ricacciando i russi oltre frontiera.
Invece è vero il contrario: gli ucraini perdono terreno e capacità militari ogni giorno. Solo nelle ultime ore persino le mappe dell’Institute for the Study of the war, think-tank statunitense di ispirazione neocon e totalmente allineato alle posizioni pro-Kiev e anti-Mosca, riconosce nelle sue accurate mappe i progressi effettuati solo nelle ultime 24 ore dalle truppe russe in quasi tutti i settori degli oltre mille chilometri di fronte.
Quasi del tutto cacciati dalla regione russa di Kursk Nella mappa sopra) i militari di Kiev sono penetrati per poche centinaia di metri e a prezzo di gravi perdite in quella di Belgorod (nella mappa qui sotto).
I russi contrattaccano lungo il confine e sono ormai penetrati saldamente nelle regioni di Sumy e Kharkiv e in quest’ultima avanzano anche da est. Le brigate ucraine perdono terreno anche in tutti i settori nella regione di Donetsk (nelle mappe qui sotto).
La situazione non è migli0re per le truppe di Kiev nella regione si Zaporizhia (nella mappa qui sotto), dove i russi avanzano ancora preparando forse il terreno a una massiccia offensiva prevista anche dal comando ucraino.
Parlare di ritiro russo oltre i confini ucraini, come insiste a fare Zelensky, significa quindi non avere il senso della realtà e condannare l’Ucraina a continuare a combattere col rischio concreto di perdere altri territori oltre al 20 per cento dell’estensione nazionale già in mano a Mosca (nella mappa qui sotto del Ministero della Difesa britannico).
Non esiste un solo settore del fronte in cui gli ucraini non perdano terreno o si dimostrino in grado di arginare l’iniziativa offensiva russa, se si esclude il fronte di Kherson dove i belligeranti restano separati dal fiume Dnepr.
Una situazione in cui la propaganda britannica, sempre molta attenta a spacciare per “rapporto d’intelligence” le sue operazioni di psicologiche (Psy-Ops tese a influenzare l’opinione pubblica) ha evidenziato che da novembre 2024 a marzo i russi hanno rallentato la loro avanzata in Ucraina passando da oltre 700 miglia quadrate (1.130 kmq) conquistate nel novembre dello scorso anno a 143 miglia quadrate (230 kmq) nei primi tre mesi del 2025.
Valutazioni che non tengono conto dei territori riconquistati dai russi nella regione di Kursk in marzo con un’operazione a lungo ritardata ma divenuta imperativa per Mosca dopo l’avvio delle trattative per impedire a Kiev di utilizzare la presenza delle sue truppe in territorio russo come merce di scambio nei negoziati.
Inoltre Mosca continua a puntare sull’annientamento delle capacità belliche del nemico, imbottigliandone le forze in “calderoni” senza speranza, più che a conquistare nell’immediato ampi territori.
In questo contesto è chiaro che la disponibilità ucraina ad accettare una tregua di 30 giorno punta solo a tirare il fiato e rafforzare le linee difensive congelando l’iniziativa militare russa. Un cessate il fuoco temporaneo che Mosca in queste condizioni non ha alcun interesse a concedere. Trump ha più volte apostrofato Zelensky ricordandogli che “non ha le carte per dettare condizioni” mas, evidentemente, il presidente ucraino punta sul sostegno europeo per prolungare il conflitto.
Non a caso per Mosca restano “un numero enorme” di questioni da risolvere per raggiungere un accordo di cessate il fuoco con l’Ucraina, poiché i colloqui avviati da Washington faticano a produrre risultati concreti.
“Il presidente Putin sostiene un accordo di cessate il fuoco, ma prima di allora restano delle domande senza risposta (…) Ciò è legato all’incapacità del regime di Kiev di controllare diversi gruppi estremisti (…) e ai piani per un’ulteriore militarizzazione” dell’Ucraina, ha dichiarato oggi il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov.
Le contraddizioni
In questo scenario la prima evidente contraddizione è che né Francia né Gran Bretagna né tantomeno gli altri partners UE/NATO hanno i mezzi per sostenere in armi le già deboli forze ucraine. Londra e Parigi non hanno neppure i “numeri” per schierare per tempi prolungati in Ucraina una forza combattente di dimensioni e con capacità credibili.
Al di là dei proclami agli europei è rimasto ben poco da offrire agli ucraini in termini di armi e munizioni tenuto conto che gran parte degli aiuti militari promessi negli ultimi tempi devono ancora uscire dalle fabbriche.
Se l’Occidente non è riuscito ad assicurare la vittoria (o quanto meno il “pareggio”) all’Ucraina con il consistente supporto degli Stati Uniti, potrà riuscirci oggi con il solo contributo di un’Europa in crisi economica ed energetica, in preda a una profonda instabilità politica, militarmente più debole del 2021 e con un piano di riarmo da barzelletta che non convince molti governi europee e che, nella migliore delle ipotesi, potrebbe portare solo tra diversi anni a un rafforzamento militare reale?
La seconda contraddizione è rilevabile contrapponendo il bellicismo di facciata di Bruxelles sostenuto da Londra, Parigi e forse Berlino con le reali capacità militari europee e le crescenti potenzialità militari russe.
Il generale Christopher Cavoli, comandante supremo delle forze alleate in Europa (SACEUR), ha affermato il 3 aprile in un’audizione al Comitato per i servizi armati del Senato statunitense che “la Russia sta espandendo le sue forze armate più velocemente di quanto previsto dagli analisti e sta sostituendo equipaggiamento militare e munizioni a un ritmo senza precedenti”.
Cavoli ha commentato la notizia che l’Amministrazione Trump starebbe considerando di rinunciare a ricoprire il ruolo di SACEUR, carica ricoperta da un generale statunitense sin dalla sua istituzione negli anni ’50. Pur riconoscendo che alla fine sarà una decisione politica dell’Amministrazione, Cavoli ha sostenuto che farlo creerebbe problemi all’ombrello nucleare degli Stati Uniti in Europa.
La rinuncia alla guida delle forze NATO, ancor più dell’assenza di Hegseth dal vertice sugli aiuti militari all’Ucraina, confermerebbe il disimpegno militare di Washington dalla difesa dell’Europa, che suonerebbe come una campana a morto per l’Alleanza Atlantica confermando il disprezzo dell’Amministrazione Trump per gli alleati europei già trapelato dalle rivelazioni emerse dal cosiddetto Signalgate.
Del resto una deterrenza della NATO a protezione dell’Ucraina è fuori discussione senza gli Stati Uniti e Washington ha già detto che non intende offrire nessuna garanzia. La Ue non ha i mezzi militari né l’unità politica per poter sfidare Mosca e anche un’ipotetica missione di peacekeeping dell’ONU dovrebbe venire approvata dal Consiglio di Sicurezza in cui la Russia ha diritto di veto.
A tal proposito non tranquillizzano le dichiarazioni del segretario di Stato Marco Rubio che l 3 aprile ha detto di vedere ”dell’isteria sui media, gli Stati Uniti resteranno nella NATO e anzi sono più attivi che mai”. A patto però si spenda di più e che ci sia “un percorso credibile” verso il 5% del Pil devoluto alla Difesa, che peraltro obbligherà “anche Washington” ad aumentare il bilancio del Pentagono.
Parole poco credibili perché se è certo il pressing degli USA sull’Europa affinché portino al 5 per cento del PIL le spese militari, è altrettanto vero che l’Amministrazione Trump ha pianificato una riduzione delle spese militari pari al 30 per cento in 4 amni, con un taglio di almeno 90 mila militari negli USA che oggi spendono il 3,3 per cento del PIL per la Difesa.
“Capisco che ci sono delle esigenze politiche interne, le abbiamo pure noi, e non dovrete aumentare gli investimenti entro un anno o due”, ha affermato Rubio valutando che “Trump non è contro la NATO, è contro una Nato che non ha le capacità necessarie per adempiere agli obblighi previsti dal suo trattato”.
La contraddizione più evidente in questi ultimi giorni riguarda la contrapposizione tra le ultime dichiarazioni del Segretario generale della NATO Mark Rutte e quanto dichiarato da Trump e da Mosca circa l’ingresso dell’Ucraina nella traballante Alleanza Atlantica.
Il presidente statunitense ha in più occasioni riconosciuto che la promessa di adesione di Kiev all’a NATO è inattuabile, è una delle ragioni che hanno indotto Mosca ad attaccare l’Ucraina ed è stato un grave errore dell’Amministrazione Biden.
Ciò nonostante Rutte ha sostenuto il 3 aprile alla riunione dei ministri degli Esteri dell’Alleanza a Bruxelles che “abbiamo deciso a Washington che il percorso dell’Ucraina verso la NATO è irreversibile. Stiamo costruendo il ponte con tutto ciò che stiamo facendo con l’Ucraina, rendendo l’Ucraina il più possibile interoperabile con la NATO ma non è mai stato promesso a Kiev che l’adesione faccia parte di un accordo di pace”.
Affermazione che apre un grave interrogativo. Quando dice “noi abbiamo deciso” a Washington a chi si riferisce? Non risulta che i partner NATO siano stati interpellati e abbiano dato luce verde all’Ucraina nella NATO. Sarebbe utile che tali dichiarazioni venissero rintuzzate e criticate in Italia e negli altri stati membri dell’alleanza che non intendono sottoscriverle.
Anche perché la dichiarazione di Rutte rende impossibile un accordo negoziale con la Federazione Russa che tra le condizioni poste per fermare il conflitto include la rinuncia dell’Ucraina ad entrare nella NATO e a ospitare truppe e basi dell’alleanza sul suo territorio.
Di fatto quindi la NATO si unisce alla UE e a Gran Bretagna, Francia nel tentativo di sabotare l’accordo di pace che Trump cerca di portare a compimento.
Rutte ha poi aggiunto che “la palla sul cessate il fuoco in Ucraina è in campo russo: vedremo come si sviluppa ma non voglio interferire in quei colloqui con i miei commenti da Bruxelles”, per poi però interferire in modo rilevante affermando che “la Russia resta una minaccia a lungo termine anche se finisce la guerra in Ucraina”.
Affermazione discutibile poiché i russi hanno chiesto per4 accettare la tregua di 30 giorni che NATO e Ue sospendessero gli aiuti all’Ucraina nel periodo del cessate il fuoco. Ipotesi di fatto respinta da Kiev e alleati, a conferma che il loro obiettivo è far fallire il negoziato.
Rispondendo alle domande dei giornalisti, Rutte ha poi negato che esista una “discrepanza” tra la posizione della NATO e l’amministrazione americana ” aprendo però di fatto un nuovo fronte con la Cina (già espresso dal suo predecessore Jens Stoltenberg).
“Sappiamo che la Cina aiuta e supporta la Russia nel conflitto, ad esempio con l’aggiramento di risoluzioni internazionali. Quindi è parte integrante del conflitto”.
Definire belligerante la Cina è oggettivamente un errore grossolano poiché con il medesimo metro di misura la stessa definizione varrebbe per tutti i membri della NATO, schierati in termini politici, militari ed economici al fianco dell’Ucraina in modo ben più evidente e massiccio di quanto non sia allineata Pechino con Mosca.
Oltre a contribuire a complicare i negoziati voluti da Trump, Rutte ha di conseguenza definito indirettamente anche gli alleati della NATO parte integrante del conflitto e ha allargato la rosa dei nemici a Pechino. Tutto questo ovviamente gioverà ben poco alle trattative di pace ma favorirà probabilmente intese russo-americane che scavalchino gli europei e gli ucraini.
Del resto Kirill Dmitriev, amministratore delegato del Fondo russo per gli investimenti diretti, negli Stati Uniti su mandato di Putin., ha definito l’ingresso dell’Ucraina nella NATO “completamente impossibile” ricordando che Putin ha affermato più di una volta che la pace in Ucraina è possibile solo dopo la sua “smilitarizzazione” mentre il ministro degli Esteri Serghei Lavrov ha “categoricamente” respinto la possibilità della presenza di truppe dei Paesi della NATO in Ucraina al di là della formula con cui si presenteranno (forza europea, di peacekeeping o Coalizione).
I paradossi
Da un lato è naturale che Mosca ponga le sue condizioni dal momento che sta vincendo la guerra e ogni mese che passa si rinforza militarmente e allarga il territorio ucraino sotto il suo controllo.
Il “fattore tempo” quindi non gioca a favore di Kiev e Zelensky, che Trump potrebbe cercare di rimuovere dal potere per facilitare la firma degli accordi su risorse minerarie e fine del conflitto. L’Ucraina del resto vorrebbe ottenere garanzie militari in cambio della cessione delle sue risorse minerarie mentre Trump sembra voler solo incassare il lauto rimborso dei soldi spesi in Ucraina dall’amministrazione Biden.
Il tempo non gioca neanche a favore dell’Europa, che ha bisogno della pace per rimettere in sesto la sua economia e stabilizzare il mercato energetico. Nonostante i piani di riarmo e l’allarme per la minaccia russa di invasione dell’Europa, la UE nel 2024 ha importato dalla Russia quasi il 20 per cento del suo fabbisogno di gas, come ha detto pochi giorni or sono il commissario europeo per l’Energia e le Politiche abitative Dan Jorgensen.
Peraltro si tratta soprattutto di GNL, gas liquido trasportato via nave (dal costo ben più alto rispetto a quello fornito via tubo) di cui il maggior importatore europeo dalla Russia è la Francia, pronta a schierare truppe in Ucraina contro i russi.
Paradossalmente il tempo non gioca neppure a favore di Trump, che ha bisogno di un successo per suggellare il suo trionfale ritorno alla Casa Bianca. Un successo che gli europei, orfani dell’Amministrazione Biden e minacciati da disimpegno militare e dall’aggressiva politica commerciale statunitensi, sembrano volergli negare mentre i russi sono disposti a concederlo solo a condizioni considerate inaccettabili da europei ed ucraini.
Per questi ultimi i rischi sono molti elevati a causa degli errori commessi e reiterati nel tempo. Oggi la pretesa di ottenere l’utopica e un po’ infantile pace giusta (termine che fotografa perfettamente lo spessore medio della classe dirigente della UE) rischia di portare ucraini ed europei, anche se in modi diversi, verso l’ineluttabile disfatta.
Foto: NATO, X, TASS e Ministero Difesa francese
Mappe: ISW e UK MOD
Vignetta Alberto Scafella

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.