Le guerre nell’epoca delle culle vuote

di Alessandro Leonardi e Edoardo Fontana*
a guerra russo-ucraina ha reso manifesto un cambiamento epocale nei conflitti odierni: il netto aumento dell’età media delle truppe combattenti a causa della crisi demografica in corso. Prima del crollo della natalità osservato negli ultimi decenni, gli eserciti erano composti principalmente da giovani ventenni e trentenni, ma, con l’invecchiamento della popolazione e la diminuzione delle nascite, l’età media dei soldati è aumentata progressivamente.
Il problema è occidentale, ma non solo. Nella guerra del Vietnam l’età media dei coscritti americani si aggirava sui 22 anni. Salì a quasi 27 anni durante la Guerra del Golfo. Per poi arrivare a 33,4 anni nel 2010, al culmine delle campagne militari in Iraq e in Afghanistan. Numeri comunque più sostenibili di quelli delle forze armate ucraine, che, fra il 2022 e il 2024, hanno registrato un’età media di 43 anni.
Cambia l’età, cambiano le guerre
La mancata mobilitazione degli ucraini della fascia d’età 18-24 anni ha ridotto i margini di manovra di Kiev nel corso della resistenza all’invasione russa, ma è stata determinata dalle condizioni che presenta la piramide demografica del Paese. Condizioni che hanno impedito l’utilizzo su larga scala degli individui più giovani, a meno di mettere seriamente a rischio il futuro demografico della nazione, specialmente con un tasso di fecondità totale così basso.
La fascia 18-24 è stata comunque corteggiata dal sistema di reclutamento, che, nel corso della guerra, ha offerto incentivi e contratti lucrativi per assicurarsi un certo livello di arruolamenti volontari. Risultato: pur essendo esentati dalla mobilitazione obbligatoria, i 18-24enni hanno rappresentato circa il 9,5% delle vittime militari ucraine.
Anche la Federazione Russa presenta gravi problematiche demografiche, ma può contare su una popolazione numericamente superiore all’Ucraina – un rapporto di quasi 5 a 1. In un violento conflitto d’attrito, come quello del 2022-25, questo ha conferito ai russi un notevole vantaggio in termini di manpower, permettendogli maggiori rotazioni di truppe in prima linea, una più alta tolleranza alle perdite sul lungo termine e un reclutamento di tipo diverso, basato estesamente su volontari, mercenari e carcerati.
Arruolando primariamente in maniera volontaria le truppe destinate all’uso in Ucraina, grazie all’offerta di generosi incentivi socio-economici, più galvanizzanti delle motivazioni ideologiche, il sistema russo ha minimizzato l’impatto della guerra sulla società causato dalle perdite subite. Diversamente dall’Ucraina, che è stata costretta a ricorrere ad estese e impopolari mobilitazioni obbligatorie. Non va tuttavia dimenticato come anche Mosca abbia fatto ricorso ad una mobilitazione parziale obbligatoria nell’autunno 2022, risultata nella coscrizione di circa trecentomila soldati.
Russia e Ucraina a confronto
Nel febbraio 2025, i mobilitati rappresentavano solo l’11% delle vittime militari russe confermate, la manodopera carceraria il 17%, con i rimanenti prevalentemente volontari e soldati a contratto già in servizio ad inizio invasione. Da parte russa, sostenere un conflitto convenzionale pluriennale su vasta scala con un fronte attivo di centinaia di chilometri e migliaia di perdite ogni mese, attingendo prevalentemente a un reclutamento volontario-mercenario, rappresenta un elemento di importante novità nella Storia bellica recente.
Questo dislivello a sfavore dell’Ucraina ha comportato notevoli ripercussioni sul piano militare, come i soldati impossibilitati a difendere in maniera ottimale l’intero fronte, l’aumento della sfiducia e della stanchezza, e un numero di perdite che ha minato l’efficacia delle azioni militari. L’analista e ricercatore Ivan Katchanovski stimava che, dall’inizio dell’invasione al dicembre 2024, l’Ucraina avesse circa 140.000 caduti e 560.000 feriti. Nello stesso periodo, le analisi basate su fonti aperte accertavano almeno 65mila decessi nell’esercito ucraino, ai quali andavano aggiunti 59mila dispersi. Numeri da prendere con le pinze per via della difficoltà a verificare le reali perdite, ma che potrebbero essere compatibili con la violenta guerra d’attrito in corso e le numerose osservazioni accumulate nel tempo.
Questa sistematica carenza di nuove reclute non potrebbe venire colmata in maniera efficace nemmeno con la mobilitazione dei più giovani, viste le problematiche poste dagli ultimi arruolamenti.
L’anemica fascia di 18-24enni ucraini offrirebbe relativamente pochi uomini per il fronte, anche perché il tasso di evasione della mobilitazione ha raggiunto livelli endemici: nel 2024, solamente quattro dei dieci milioni di uomini in età d’armi ucraini avevano risposto alla richiesta del governo di inserire i propri dati nel database delle forze armate; dal 2022 circa 500mila ucraini sono ricercati per avere evaso la mobilitazione dopo essere stati richiamati.
Quest’ultimo dato suggerirebbe che un ucraino su tre, di fronte al richiamo per la mobilitazione obbligatoria, abbia preferito darsi alla macchia.
I limiti posti dalla crisi demografica pluridecennale hanno impedito fin dall’inizio la mobilitazione totale della popolazione combattente, l’arruolamento delle forze più vitali, più dinamiche e fisicamente giovani, pregiudicando in parte le manovre militari.
Nel caso il conflitto dovesse perdurare nei prossimi anni, queste particolari problematiche si acuiranno sempre di più, incrementando le possibilità di ulteriori ritirate tattiche e strategiche a causa della mancanza di uomini, o addirittura un repentino crollo del fronte in più punti a favore delle forze militari russe. In tal caso, come già ventilato in passato da alcuni esponenti polacchi, l’Ucraina in extremis dovrebbe far ricorso in maniera coercitiva ai profughi dislocati nei Paesi europei (con tutte le conseguenze politiche a livello comunitario), agli individui più giovani rimasti nel Paese e/o al possibile aiuto di contingenti militari alleati. Ipotesi che, sebbene al momento remote, sollevano numerosi dilemmi e non sono da escludere in uno scenario bellico di lunga durata.
Il declino demografico e i conflitti futuri
L’inverno demografico che sta interessando decine di Paesi nel mondo sarà uno dei mega-trend più importanti a livello globale, con enormi impatti sui conflitti in corso e sulla competizione militare fra gli Stati. Le attuali dottrine belliche dovranno incorporare al loro interno questo cambiamento strutturale delle popolazioni delle società avanzate, che sta mostrando il suo pesante condizionamento nella guerra russo-ucraina.
In particolare, il conflitto ucraino sembra evidenziare una rinnovata importanza degli eserciti di massa, grazie anche alla notevole efficacia dimostrata da economiche formazioni di fanteria leggera armate con droni e armi spalleggiabili. Emerge, infine, un rischio mortale per le moderne società industrializzate alle prese con un conflitto convenzionale d‘attrito: la difficoltà nel convincere o imporre ai cittadini il servizio militare. Abbiamo già citato il caso russo, dove nonostante tre anni di guerra durissima l’apparato statale putiniano evita il più possibile il ricorso a mobilitazioni, preferendo metodi alternativi e poco ortodossi.
In Ucraina una narrazione spesso romanzata della volontà popolare di combattere l’invasore, nasconde la realtà di una guerra che non certo tutti sembrano disposti a combattere. Dal febbraio 2022 all’ottobre 2024, il governo ucraino ha dichiarato di aver mobilitato con successo 1,05 milioni di uomini, mentre in 500mila avrebbero evaso la mobilitazione.
Mettendo nel conto le forze regolari già esistenti, e l’afflusso di volontari, possiamo stimare che nei tre anni d’invasione russa meno del 15% dei maschi ucraini in età militare (10,5 milioni di 18-60enni al 2/2022, nei territori governativi) abbia servito in difesa del proprio Paese, di cui la maggioranza in maniera non volontaria, nonostante la costante necessità dell’esercito di espandere i propri effettivi.
Una percentuale che è interessante confrontare con altre lunghe guerre convenzionali, d’attrito o esistenziali: negli otto anni di guerra Iran-Iraq, servì nelle forze regolari o paramilitari più del 21% dei maschi iraniani dai 18 ai 60 anni – senza contare il largo impiego di Basiji minorenni – così come il ~65% dei maschi iracheni 18-60enni.
Le autorità comuniste del Vietnam del Nord mobilitarono nelle forze armate circa la metà della popolazione maschile in età lavorativa del Paese (15-64 anni) nel corso del quindicennio di guerra 1960-1975. Infine, nella Seconda guerra mondiale servirono nell’Armata Rossa 5,3 milioni di ucraini, ovvero circa il 60% della popolazione maschile ucraina in età militare.
Di fronte a queste dinamiche diviene essenziale valutare realisticamente quale parte della popolazione europea sarebbe oggi disposta all’arruolamento in caso di conflitto convenzionale. Laddove il declino demografico si interseca con le cosiddette società avanzate, individualiste e prive dei fervori ideologici del secolo scorso, è difficile immaginare mobilitazioni obbligatorie consistenti – che potrebbero essere imprescindibili in un conflitto terrestre con un avversario di livello e demograficamente superiore.
È più facile immaginare il ricorso al reclutamento mercenario, seguendo l’esempio russo, che è socialmente più accettabile ma difficilmente sufficiente visto lo scarso pool demografico a disposizione. Teoricamente potrebbe rivelarsi una risorsa l’ampio reclutamento di manodopera femminile – un qualcosa di tendenzialmente osteggiato dalle istituzioni militari, nonché ancora un tabù, come evidenzia il conflitto russo-ucraino.
Ogni politica estera europea dovrebbe, in primis, tenere a mente questa debolezza strutturale, evidente anche ad attori esterni: il rischio concreto è quello di ritrovarsi a combattere conflitti terrestri senza avere personale a sufficienza, o provocare sconvolgimenti sociali nel tentativo di reclutarlo.
Nei prossimi anni i Paesi europei dovranno elaborare tutta una serie di nuove strategie per conciliare la tenuta di un complesso apparato difensivo con il rapido invecchiamento della popolazione e il ridimensionamento numerico delle nuove generazioni Z e Alpha. In particolare l’Italia, che presenta alcuni dei peggiori parametri socio-demografici a livello mondiale, sarà al centro di questo inevitabile cambiamento che condizionerà le politiche delle istituzioni per tutto il XXI secolo.
Foto: TASS e Ministero Difesa Ucraino
Alessandro Leonardi Analista, ex giornalista e autore di analisi sul Sistema industriale-tecnologico e la tarda Modernità. Esperto di collassologia, si occupa di evoluzioni e crisi dei modelli di sviluppo, con al centro la crisi climatica e i piani di mitigazione/adattamento connessi ai sistemi complessi, alla geopolitica e ai cambiamenti socio-politici in corso. Scrive su testate giornalistiche e riviste nazionali come “La Svolta”, “Singola”, “Equilibri Magazine”, “Iconografie”, nonché per la Fondazione ENI Enrico Mattei.
Edoardo Fontana Analista militare. Fondatore di Acta Bellica.
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