Parate e paradossi: la crociata della UE per gli 80 anni dalla caduta del nazismo

Non paga degli errori madornali compiuti nel corso del conflitto in Ucraina e del disastro, in termini politici, economici e di sicurezza, in cui sta facendo affondare il Vecchio Continente, la Commissione Europea si è lanciata in una nuova crociata.
Questa volta, sotto tiro della compagine guidata da Ursula von der Leyen, non ci sono atleti o artisti russi da bandire dal sacro suolo dell’Unione, né giornalisti, intellettuali o cittadini da ostracizzare perché si ostinano a non assecondare il bellicismo russofobo blustellato sulla pelle degli ucraini al grido di “Slava Ukraina”.
Approfittando degli 80 anni dalla caduta del Terzo Reich, la UE si sta mobilitando contro chi intende celebrare la ricorrenza alla tradizionale cerimonia di Mosca del 9 maggio, oppure anche solo contro chi intende invitare delegazioni russe a cerimonie e commemorazioni.
Al centro del mirino europeo ci sono i capi di Stato e di governo che oseranno recarsi a Mosca per la Parata della Vittoria nella Seconda guerra mondiale, che i russi chiamano Grande Guerra Patriottica.
Certo, in Europa dovremmo forse occuparci di temi ben più seri e impellenti, come ad esempio far finire la guerra in atto oggi, invece di scatenare polemiche sui conflitti conclusi da 80 anni. Ma questo è quello che passa il “convento” europeo.
“La Russia sta usando la commemorazione della fine della Seconda guerra mondiale per giustificare la sua guerra di aggressione contro l’Ucraina. Quindi questo è il contesto. E da parte nostra è importante non dare legittimità a tutto questo partecipando a eventi come questa parata. In realtà esiste anche una decisione del Consiglio in merito. Gli Stati membri, inclusa la Slovacchia, hanno concordato nel 2022 di rifiutare tali inviti“, aveva detto il 16 aprile la portavoce del Servizio per l’azione esterna dell’UE, Anitta Hipper.
“Qualsiasi partecipazione alla parata o alla celebrazione del 9 maggio a Mosca non sarà presa alla leggera dalla parte europea, dato che la Russia sta davvero conducendo una grande guerra in Europa“, ha affermato l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Kaja Kallas, aggiungendo che i ministri degli Esteri dell’UE hanno discusso dei potenziali Stati membri che prenderanno parte alla cerimonia.
Jonatan Vseviov, segretario generale del Ministero degli Affari Esteri estone, ha aggiunto che è necessario garantire che coloro che desiderano prendere parte alla parata di Mosca comprendano che “certe decisioni hanno un prezzo“. Di fatto, la UE ha minacciato le ormai note “liste di proscrizione” con un ricatto che lascia intravedere rappresaglie contro Stati membri o Paesi che hanno chiesto di entrare nell’Unione
Le ultime dichiarazioni di questo tenore risalgono al 24 aprile, quando un portavoce della Commissione Europea, Guillaume Mercier, ha dichiarato che, se il presidente Aleksandar Vučić parteciperà alla celebrazione del Giorno della Vittoria il 9 maggio a Mosca, potrebbero esserci conseguenze per la Serbia.
“L’UE considera questa visita parte della propaganda russa finalizzata a giustificare l’invasione dell’Ucraina. Non si può affermare che non ci saranno conseguenze. Desideriamo poter contare su questo Paese come partner in materia di sicurezza e progresso, ed è essenziale che i Paesi partner seguano gli orientamenti strategici dell’Unione“, ha affermato.
Affermazione curiosa, poiché nessun trattato UE prevede che la Commissione possa sindacare le decisioni degli Stati sovrani, membri o meno, in merito a politica estera e partecipazione a eventi e cerimonie.
Rendendo ancora più gravi le sue affermazioni, il portavoce ha precisato che né i Paesi candidati, come la Serbia, né gli Stati membri dell’UE possono avere normali rapporti con il regime del presidente russo Vladimir Putin, alla luce della “guerra di aggressione non provocata e ingiustificata che la Russia conduce contro l’Ucraina”.
Un diktat che, insieme a quanto è accaduto recentemente in Romania, Francia e Germania, ben si attaglia a ritrarre un’Unione Europea che sembra ormai così impegnata a difendere la democrazia da dimenticarsi di applicarla e rispettarla.
Le minacce della UE non sembrano però impressionare nessuno. Il presidente serbo Vučić ha dichiarato che il 9 maggio parteciperà alla parata militare a Mosca, insieme al premier slovacco Robert Fico e al presidente della Repubblica Srpska (entità serba della Bosnia-Erzegovina), Milorad Dodik.
“Rappresenterò con orgoglio la Serbia nell’80° anniversario della vittoria sul nazismo. Ho detto otto mesi fa che sarei andato a Mosca e ci andrò, probabilmente da solo. Non voglio che il governo di Djuro Macut ne paghi il prezzo e che l’opportunità di collaborare con l’Unione Europea venga compromessa“, ha dichiarato Vučić il 24 aprile, ospite dell’emittente Pink.
Vučić ha aggiunto inoltre che avrà “molto lavoro da fare” a Mosca e che parlerà con il presidente russo Vladimir Putin del nuovo accordo sul gas.
Robert Fico sveva risposto già il 16 aprile: “Il 9 maggio andrò a Mosca. L’avvertimento della signora Kallas è una forma di ricatto o un avviso che sarò punito al mio ritorno da Mosca? Non lo so. Ma so che siamo nel 2025, non nel 1939. Vorrei informarla che sono il legittimo Primo ministro della Slovacchia, un Paese sovrano.
Nessuno può impormi dove posso o non posso viaggiare. Andrò a Mosca per rendere omaggio alle migliaia di soldati dell’Armata Rossa caduti per liberare la Slovacchia, così come ai milioni di altre vittime delle atrocità naziste. Così come ho reso omaggio alle vittime dello sbarco in Normandia, nel Pacifico, o come chinerò il capo per onorare i piloti della RAF”.
Le minacciose quanto imbarazzanti parole di Kaja Kallas confermano che, prima di giudicare la Storia cercando di riscriverla o cancellarla, sarebbe utile studiarla. Tutti i leader dei Paesi dell’Est Europa si sono recati tradizionalmente a Mosca per celebrare la vittoria sulla Germania nazista non tanto per omaggiare Putin o i suoi predecessori, ma perché quelle nazioni, incluse Slovacchia e Serbia (un tempo Cecoslovacchia e Jugoslavia), vennero liberate nel 1945 dalle forze sovietiche.
Pur volendo evitare ogni partigianeria o valutazione di tipo morale, appare evidente che ridimensionare, oscurare o cancellare il ruolo dell’URSS nella sconfitta del Terzo Reich contribuisce solo a far perdere ulteriore credibilità e autorevolezza all’Europa, specie oggi che si intravedono possibili spiragli per far cessare il conflitto in Ucraina.
Quanto a “legittimare” Vladimir Putin – compito che in realtà spetta ai russi e non alla Commissione Europea – pare evidente che abbiano già provveduto il mondo intero esterno all’Occidente, che non ha mai isolato la Russia, e più recentemente, in Occidente, Donald Trump, avviando negoziati diretti tra Washington e Mosca.
Anche la motivazione di evitare che Putin possa utilizzare le celebrazioni per “giustificare la sua guerra di aggressione contro l’Ucraina” è discutibile. Anzi, si può affermare che proprio l’ostracismo nei confronti della parata di Mosca abbia dato il destro al portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, per denunciare come una “rinascita dell’euro-nazismo” la volontà di Bruxelles di negare l’adesione della Serbia alla UE se Vučić presenzierà alla Parata della Vittoria a Mosca. “Se è così, allora l’euro-nazismo rivive sotto i nostri occhi“, ha sottolineato Zakharova.
Al di là delle polemiche e dei reciproci battibecchi, resta tuttavia il dubbio che tutto questo polverone per celebrazione e parata sulla Piazza Rossa per gli 80 anni della vittoria sul nazismo metta a disagio molti in Europa Orientale.
Arduo dimenticare infatti che Estonia, Lettonia, Lituania, Finlandia insieme all’Ucraina filo-nazista, guidata nel 1941 e poi nel 1944 da Stepan Bandera, furono alleate del Terzo Reich (al pari di Ungheria, Bulgaria, Croazia di Ante Pavelic, Romania e Italia che offrirono truppe per l’invasione dell’URSS), al fianco del quale combatterono fino alla vittoria sovietica e anche negli anni successivi come raccontò nel 2004 lo splendido libro di Alberto Rosselli “La resistenza antisovietica e anticomunista in Europa orientale 1944-1956”.
Opera che narra la storia dei movimenti di resistenza anti sovietici composti per lo più da ex militari delle forze dell’Asse e che si protrasse per molti anni nelle Repubbliche Baltiche e fino al 1956 in Ucraina.
Certo, Putin ha attualizzato lo scontro contro il nazismo alla guerra in atto in Ucraina, che vorrebbe “denazificare”, ma è altrettanto vero che le dure prese di posizione contro i leader che parteciperanno a quella cerimonia inducono a riflettere su come baltici e ucraini vedano nella contrapposizione alla Russia la rivincita di quella sconfitta che fu loro come del Terzo Reich.
Un contesto un tantino imbarazzante per tutta l’Europa, tenuto conto che celebrazioni e proclami contro il nazifascismo cozzano brutalmente con oltre tre anni di strettissima alleanza con l’Ucraina, che riconosce come padre della patria (celebrato da statue, film, canzoni e piazze intitolate) quello Stepan Bandera, che arrivò a contestare ai nazisti che la pura razza ariana era quella ucraina, non quella tedesca.
Nonostante dal 2014 siano state modificate ed edulcorate migliaia di pagine web per rendere più presentabile Bandera, resta difficile non associarlo, insieme all’UPA (l’esercito insurrezionale ucraino filo-nazista) e ai reparti di SS ucraini, alle deportazioni degli ebrei e allo sterminio di donne e bambini polacchi. Questione che Varsavia non ha certo dimenticato, anche se molti di questi atti vennero compiuti dai nazionalisti ucraini mentre Bandera era prigioniero dei tedeschi.
D’altra parte il tema del ritorno delle nostalgie naziste nell’Ucraina post Maidan è stato affrontato da Analisi Difesa fin dal marzo 2014 ed è stato al centro di molte inchieste su giornali e reti televisive in tutta Europa e in Italia, per divenire poi “tabù” dopo l’attacco russo del febbraio 2022.
Se a qualcuno può apparire eccessivo o da “filo-russi e putiniani”, definire l’Ucraina di oggi nazista, specie in occasione del 25 aprile dovremmo chiederci come verrebbe definita l’Italia se vi fossero statue, piazze e strade intitolate al Duce e a scuola si insegnassero ancora ai bambini canzoni inneggianti a Benito Mussolini. Oppure se tutto questo accadesse in Germania celebrando Adolf Hitler.
In Europa, le televisioni si sono ben guardate dal mostrare le immagini dei militari del reggimento Azov arresisi a Mariupol nel maggio 2022 e fatti quasi completamente denudare dai russi per mettere in mostra svastiche e persino frasi tratte da Mein Kampf tatuate sui corpi di quei combattenti ucraini.
Del resto, in questi ultimi tre anni qualche imbarazzo è stato suscitato anche nelle caserme tedesche dove venivano addestrate reclute ucraine, a cui è stato ricordato più volte che in Germania i simboli nazisti sono vietati.
Stupisce che a Berlino nessuno noti il paradosso tra il tentativo di mettere fuori legge Alternative fur Deutscheland, accusando il secondo partito tedesco (primo per consensi secondo i più recenti sondaggi) e alcuni suoi esponenti di “neo-nazismo”, e l’aver fornito (con un governo di sinistra) un numero di armi e munizioni (secondo solo alle forniture statunitensi) all’Ucraina che si riconosce in Stepan Bandera, che diede truppe ed SS al Terzo Reich che si macchiarono di eccidi e deportazioni.
A proposito di Germania, le celebrazioni per la fine della Seconda guerra mondiale che si concluderanno l’8 maggio suscitano polemiche anche a Berlino e dintorni.
Il 16 aprile, nel Land orientale del Brandeburgo, è stata ricordata la battaglia delle alture di Seelow, dove l’ultima esile linea difensiva tedesca posta a protezione di Berlino venne infranta da forze sovietiche dieci volte superiori ai pur tenaci difensori tedeschi: la battaglia vide la morte, tra il 16 e il 19 aprile 1945, di 35.000 soldati dell’Armata Rossa (2.000 erano polacchi) e 16.000 tedeschi.
Come ha riferito l’agenzia di stampa DPA, il Ministero degli Esteri tedesco ha inviato una comunicazione ai comuni e ai Länder chiedendo di non invitare rappresentanti della Federazione Russa e della Bielorussia alle giornate per il ricordo. L’obiettivo è impedire alla Russia di strumentalizzare la Seconda guerra mondiale per giustificare la sua guerra di aggressione contro l’Ucraina.
Per questo le istituzioni locali sono invitate a evitare che i rappresentanti “non graditi” prendano parte alle cerimonie.
Il messaggio ha riguardato anche l’iniziativa al memoriale della battaglia di Seelow e, nella città del Brandeburgo, non sono mancate le polemiche. Alla commemorazione si è infatti presentato Sergej Netschajew, ambasciatore russo a Berlino, intervistato dal quotidiano Berliner Zeitung.
Per tradizione, rappresentanti dell’ambasciata russa prendono parte ogni anno a questa celebrazione. La deputata del parlamento del Brandeburgo della SPD, Sina Schoenbrunn, ha definito “assurda” la comunicazione del ministero: “Tutto può essere strumentalizzato, ma oggi la nostra preoccupazione principale dovrebbe essere quella di ricordare i morti“, ha detto alla radio RBB.
Il 23 aprile, Sahra Wagenknecht (fondatrice del partito che porta il suo nome e che alle ultime elezioni politiche di febbraio non è entrata in parlamento per pochissimi voti) ha affermato che escludere i diplomatici russi dalle commemorazioni significherebbe dimenticare la storia.
“Chiunque non sappia o non voglia più sapere che l’esercito sovietico ha sostenuto il peso della guerra contro la Germania nazista e che 27 milioni di persone provenienti dall’Unione Sovietica, la maggior parte delle quali russe, sono state vittime della campagna di sterminio della Wehrmacht tedesca, è fuori posto nella politica tedesca“, ha dichiarato.
Wagenknecht, definita da alcuni “filo-russa” per la sua aperta contestazione del sostegno militare tedesco a Kiev, ha aggiunto che l’ostracismo verso la partecipazione di esponenti russi alle celebrazioni “danneggia la reputazione internazionale della Germania”, mettendo in guardia da un ”nuovo Zeitgeist tedesco che cerca di prepararci mentalmente alla prossima guerra contro la Russia”.
Lo stesso 23 aprile, il distretto berlinese di Treptow-Köpenick ha però deciso di non escludere i rappresentanti russi dalla cerimonia commemorativa che si terrà l’8 maggio al memoriale che sorge nel quartiere di Treptow.
‘‘Considerando il ruolo storico dell’Unione Sovietica nella liberazione della Germania e dell’Europa dal nazionalsocialismo, e in considerazione delle vittime dell’Armata Rossa nella Seconda guerra mondiale, l’ufficio distrettuale di Treptow-Köpenick non riterrebbe opportuno allontanare, in base al regolamento interno, i rappresentanti delle ambasciate russa o bielorussa, anche se non fossero invitati e dovessero presentarsi senza preavviso”, ha affermato la portavoce del distretto.
L’aspetto più grave è che un’Europa ormai avulsa dalla realtà discuta così animatamente dei morti di 80 anni fa e, al tempo stesso, faccia di tutto per impedire che si concluda la guerra che tante vittime sta mietendo oggi.
Foto: la Parata della Vittoria del 2022 (Presidenza Russa), Commissione Europea, Presidenza Serba, TASS e EPA
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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.