Trump cede le redini del negoziato a Erdogan e taglia fuori l’Europa

 

(Aggiornato alle ore 17,40)

Appuntamento domani a Istanbul per tentare di trovare una soluzione negoziata al conflitto in Ucraina. Molte le novità che hanno portato a questi colloqui.

Innanzitutto Kiev sembra disposta a mettere nel cassetto la legge del 2022 che vieta di negoziare con la Russia e al tempo stesso Mosca sembra pronta a rinunciare alla pregiudiziale nei confronti del presidente Volodymyr Zelensky il cui mandato è scaduto nel maggio 2024.

Non è ancora chiaro se Vladimir Putin, che ha invitato gli ucraini a colloqui bilaterali in Turchia raccogliendo l’adesione di Kiev, andrà a Istanbul o se la delegazione russa verrà guidata dal ministro degli Esteri Sergei Lavrov.

“Il Cremlino annuncerà chi rappresenterà la Russia nei negoziati con la parte ucraina a Istanbul non appena il presidente Vladimir Putin riterrà necessario annunciarlo“, ha detto ieri il portavoce del presidente russo Dmitry Peskov, aggiungendo che “la Russia è determinata a cercare seriamente soluzioni per raggiungere una soluzione pacifica a lungo termine“.

Per Peskov “gli obiettivi dei negoziati proposti con l’Ucraina sono l’eliminazione delle cause profonde del conflitto e la tutela degli interessi della Russia”.

”Sono pronto per un incontro con Putin. Finora non abbiamo elaborato o discusso altri formati”, ha detto Zelensky chiarendo che non sarà solo ai colloqui.

Il presidente ucraino ha detto che ad Ankara incontrerà il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, e con lui attenderà l’arrivo di Putin, ma se il presidente russo sceglierà Istanbul per tenere l’incontro, entrambi i leader si recheranno lì.

Zelensky ha inoltre sottolineato che il decreto ucraino che vieta i negoziati con la Russia “non si applica al presidente ucraino” e pertanto “è possibile un dialogo con il capo del Cremlino”. Zelensky ha spiegato di aver firmato il decreto in un momento in cui l’Ucraina riceveva numerosi ultimatum da Mosca. “Nessuno, eccetto me, può negoziare sulla sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina con il leader della Russia e di altri Paesi”.

 

L’intesa Trump-Erdogan?

In attesa di vedere se i colloqui si terranno e quali esiti potranno avere, l’aspetto più rilevante è che Donald Trump sembra pronto a cedere a Recep Tayyp Erdogan (e al suo ministro degli Esteri Hakan Fidan, a lungo alla testa dei servizi segreti di Ankara) le redini del negoziato tra Russia e Ucraina.

Le ragioni potrebbero essere tante: dallo smarcarsi da una situazione più complessa di quanto aveva previsto prima di entrare alla Casa Bianca, alla determinazione di non compromettere i buoni rapporti reinstaurati con Mosca e che stanno avendo un ruolo di rilievo nei successi conseguiti da Trump con i negoziati in corso con Teheran e l’intesa raggiunta con gli Houthi per lo stop agli attacchi delle milizie yemenite alle navi mercantili in transito tra l’Oceano Indiano e il Mar Rosso.

Successi a cui si aggiunge il compromesso sui dazi raggiunto con la Cina in cui è difficile non scorgere il ruolo rilevante assunto dalla distensione tra Washington e Mosca poiché Cina e Iran sono stretti alleati della Russia. Del resto è emerso ieri che sono previsti nuovi colloqui bilaterali tra Stati Uniti e Russia e in Turchia ci saranno gli inviati speciali Usa per il Medio Oriente e l’Ucraina, Steve Witkoff e Keith Kellogg, che con ogni probabilità incontreranno Lavrov.

Trump ha inoltra raggiunto l’obiettivo di ottenere il pieno controllo sulle risorse minerarie e sulle infrastrutture dell’Ucraina, con un accordo che pone il futuro economico di Kiev autonomo dagli Stati Uniti più o meno quanto quello di Porto Rico.

Il passaggio di consegne delle trattative per la pace in Ucraina tra Washington e Ankara evidenzia inoltre altri vantaggi per gli Stati Uniti. Trump sta valutando la possibilità di recarsi giovedì in Turchia per porre il suo cappello sui negoziati e affermare il successo della sua iniziativa di pace.

Una partecipazione che sarebbe molto gradita a Zelensky ma che costituirebbe anche il primo incontro faccia a faccia tra Trump e Putin, qualora il presidente russo decidesse di recarsi in Turchia.

Inoltre, con i colloqui di Istanbul la gestione delle trattative ritorna nella nazione che più si è spesa in questi tre anni per fungere da mediatore, dagli accordi per l’export di grano agli scambi di prigionieri senza dimenticare l’intesa raggiunta a fine marzo del 2022 da russi e ucraini grazie alla mediazione turca per concludere il conflitto, poi sabotata da statunitensi e britannici che hanno indotto Zelensky a continuare la guerra che avrebbe “logorato” la Russia.

E’ stato Putin a proporre negoziati diretti con gli ucraini in Turchia, e Volodymyr Zelensky ha accolto l’invito anche in assenza di un cessate il fuoco ma precisando (come molti leader europei) che se Putin non verrà è perché “non vuole la pace”.

Non si può escludere che Washington e Mosca abbiano deciso insieme di coinvolgere Erdogan. Putin ha infatti chiesto esplicitamente il sostegno diplomatico di Ankara: “Vorrei chiedere al presidente turco che conceda la possibilità di tenere questi colloqui in Turchia. Spero che confermi la sua volontà di contribuire alla ricerca della pace in Ucraina”. Dichiarazione a cui ha fatto seguito l’immediata reazione entusiastica di Trump.

 

L’Europa degli ultimatum

Soprattutto la gestione turca delle trattative permette ancora una volta a tutti i protagonisti di tagliare fuori dai tavoli che contano la UE e le nazioni europee, relegate (e auto-relegatesi) ai margini della politica internazionale.

Lo ha implicitamente ammesso oggi Mario Draghi. “Potrebbe essere troppo tardi per influenzare gli eventi a breve termine. Anche se abbiamo fornito circa la metà’ degli aiuti militari all’Ucraina, probabilmente saremo spettatori passivi in un negoziato di pace che riguarda il nostro futuro e i nostri valori”, ha detto Draghi nel suo intervento in occasione della sessione di chiusura del simposio Cotec 2025, a Coimbra in Portogallo.

La UE e il grippo dei “volenterosi” pretendevano che Putin cessasse le operazioni militari per 30 giorni prima del summit del 15 maggio, pena nuove sanzioni, sostenendo la medesima richiesta espressa da Zelensky, pressato dagli Stati Uniti ad accettare l’invito di Putin a negoziare.

Scaduto l’ultimatum i “volenterosi” europei hanno lo hanno rinnovato nel caso la Russia non accettasse un mese di tregua nei colloqui in Turchia.

Erdogan, nel fissare gli obiettivi del vertice del 15 maggio, ha indicato il cessate il fuoco e poi la pace permanente. Obiettivi quindi, non precondizioni. Per questo gli ultimatum europei su Mosca suonano fuori luogo e tradiscono l’ennesimo tentativo di sabotare i colloqui di pace. Gli ultimatum si pongono quando si ha la forza di imporre il proprio volere e l’Europa, per rubare le parole a Trump, “non ha le carte in mano per porre condizioni”.

“Questo linguaggio da ultimatum è inaccettabile per la Russia, non è adatto. Non si può parlare alla Russia con questo linguaggio”, ha risposto il 12 maggio il portavoce del Cremlino, Dmitrj Peskov, precisando che “negoziati diretti fra Russia e Ucraina sono necessari per trovare un modo per arrivare a una tregua” e aggiungendo che “un approccio semplicistico a questo fine è inappropriato” riferendosi alle pressioni europee.

 

Discutere in base alla situazione militare

Come è sempre stato evidente dall’inizio dei negoziati promossi dagli USA, la tregua non è una precondizione per trattare ma bensì sono le trattative che potranno portare alle condizioni per un cessate il fuoco che al momento è solo negli interessi di Kiev, le cui forze sui campi di battaglia sono sensibilmente provate.

Putin ha proposto i colloqui diretti con l’Ucraina ma questo non toglie il fatto che i russi stanno avanzando su tutti i fronti, certo lentamente ma nessuno ritiene oggi perché gli ucraini siano in grado di fermarli e riconquistare i territori perduti.

Per questo è immaginabile che Mosca chiederà di riconoscere la sovranità russa sulle 5 regioni totalmente o parzialmente occupate dai russi: Crimea e Lugansk per l’intera superficie, oltre a Kherson, Zaporizhia e Donetsk, oggi non completamente in mani russe.

Non si possono escludere altre pretese territoriali anche considerando la presenza militare russa in porzioni delle regioni di Kharkiv e Sumy, così come la Russia rinnoverà la pretesa di un’Ucraina fuori dalla NATO, priva di armi offensive e di truppe di nazioni aderenti alla NATO presenti a tempo pieno sul suo territorio.

Ieri il vice ministro degli Esteri Serghei Ryabkov ha ribadito che “nei negoziati per la fine del conflitto in Ucraina bisognerà discutere l’entrata nella Federazione russa dei nuovi territori”, vale a dire delle regioni ucraine che attualmente sono totalmente o parzialmente occupate dalle forze russe. Le trattative, ha sottolineato Ryabkov, devono “garantire il riconoscimento delle realtà che si sono create negli ultimi tempi”.

Pragmaticamente, se ci sarà un accordo su queste richieste che Mosca ribadisce da tempo sarà possibile una tregua di 30 giorni, necessari a mettere a punto i dettagli di un trattato di pace.

Del resto i russi hanno continuato ad attaccare su tutti i fronti (pur riducendo ieri ai minimi di quest’anno gli attacchi notturni in profondità sull’Ucraina) in vista dei colloqui in Turchia proprio per tenere sotto pressione gli ucraini e indurli ad accettare le loro condizioni.

Come si è sempre fatto in ogni conflitto giunto alla fase delle trattative, basti ricordare i pesanti bombardamenti statunitensi su Hanoi mentre a Parigi si trattava per raggiungere un accordo di pace in Vietnam.

Mosca inoltre porrà probabilmente condizioni stringenti affinché quei 30 giorni non vengano impiegati dagli ucraini per rafforzare le proprie linee di difesa e dagli europei per fornire ulteriori armi a Kiev, perché il cessate il fuoco avvantaggia sul piano militare esclusivamente gli ucraini.

 

La posta in gioco….per l’Europa

I russi lo sanno e anche i leader di Francia, Germania, Polonia, Regno Unito e Ucraina che hanno adottato la dichiarazione congiunta dopo l’incontro del 10 maggio a Kiev in cui si chiedeva a Mosca, come abbiamo ricordato, “da lunedì 12 maggio un cessate il fuoco completo e incondizionato per almeno 30 giorni per dare spazio alla diplomazia”.

Esattamente l’opposto di quanto chiede la Russia per trattare. Del resto la posizione degli europei riuniti nella fantomatica “coalizione dei volenterosi”, pur se dissociata dalla realtà, è comprensibile.

Se l’Ucraina accettasse le condizioni di Mosca sopravviverebbe come stato e potrebbe guardare al futuro ma uscirebbe senza dubbio sconfitta dalla guerra perdendo almeno il 21/25 per cento del suo territorio. Una sconfitta che ricadrebbe pesantemente sui suoi sponsor, cioè oggi sugli europei dopo che gli Stati Uniti di Trump si sono defilati e stanno normalizzando le relazioni con Mosca.

Per questo gli esponenti di spicco della Commissione Ue e i molti leader europei, traballanti nei consensi, cercano di evitare o almeno posticipare un accordo che sancirebbe la sconfitta dell’Ucraina ma che trascinerebbe a fondo anche loro.

@GianandreaGaiani

Foto: Anadolu e TASS

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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