Dai dividendi della pace al riarmo europeo

 

Ricordate il 9 novembre del 1989? Il giorno in cui tra la sorpresa e la gioia di tutti noi cadde il muro di Berlino?
Momenti magici, in cui l’Europa recuperò – in alcuni suoi paesi dopo più di quaranta sofferti anni – la possibilità di tornare ad essere una sola.

Fu chiaro allora, sin da subito, come la contrapposizione armata dei due blocchi che aveva preso il nome di guerra fredda fosse almeno per il momento terminata e come, con uno sforzo di buona volontà, avremmo forse potuto sperare tutti in un futuro più sereno, contrassegnato magari da quella fine della storia, o almeno della storia militare, che molti dei nostri studiosi preconizzavano.

In quelle nuove condizioni si cominciò a pensare quasi immediatamente come divenissero superflui i grandi apparati militari che, nell’ambito della NATO da un lato e del Patto di Varsavia dall’altro, si erano contrapposti dai due lati della medesima frontiera.

Si poteva quindi ragionevolmente pensare ad un loro alleggerimento ad un livello tale da permetterci di percepire, quale prima gradevolissima conseguenza del radicale cambio di situazione, un vero e proprio “dividendo della pace“.
Detto e fatto, anche se ci vollero tempi diversi da paese a paese per riuscire da un lato a ridurre le dimensioni umane degli apparati, mentre dall’altro notevolissime economie venivano realizzate anche nel settore dei materiali e del munizionamento, nonché in quello delle infrastrutture.

Per noi italiani questo “dividendo della pace“ ci mise più o meno una decina d’anni a concretizzarsi ma all’inizio di questo millennio esso condusse all’abolizione della leva, un istituto che era esistito ininterrottamente dai tempi napoleonici, nonché alla trasformazione delle Forze Armate in uno strumento che attingeva soltanto dal volontariato e professionismo.

INferio0re alle aspettative, almeno apparentemente, fu quanto riuscimmo a risparmiare nel settore finanziario.
Anche se avevamo ridotto a meno del 50% del preesistente l’insieme dei Reparti, delle navi e delle basi aeree, il costo dei militari professionisti, ben superiore a quello dei giovani di leva, fini infatti col costringerci a mantenere quasi inalterato il livello della spesa militare.

Una situazione che migliorò solo parzialmente con la vendita delle infrastrutture (ed erano tante!) divenute superflue.
Nel complesso comunque il “dividendo della pace“ italiano fu alla fine percepito appieno e nel susseguirsi di missioni che ufficialmente erano sempre e solo “missioni di pace” o al massimo “di gestione delle crisi“, il nostro paese si adagiò, insieme a molti altri paesi europei, nell’idea di poter vivere in una ininterrotta situazione di pace destinata non solo a durare in eterno ma altresì a coinvolgere progressivamente anche molti degli Stati a noi vicini.
Si è in ogni caso trattato di una terribile illusione.

Quello  che sta attualmente avvenendo alla nostra frontiera di nord est, nonché a sud, in una grande area del Medio Oriente a noi prossima, ci riporta così oggi – o almeno dovrebbe riportarci , anche se non è detto che ciò avvenga – alla consapevolezza del fatto che a volte esistono nodi gordiani tanto complessi che la diplomazia nulla può fare per scioglierli.

Si ritorna così, ed è quanto è avvenuto anche in paesi che sino a ieri consideravamo diversi, a considerare la violenza bellica come lo strumento più efficace per imporre la propria volontà , imputando tra l’altro sempre all’avversario del momento il primo passo compiuto per sostituire la forza al diritto.

È un mondo nuovo, o perlomeno del tutto inedito, per le generazioni di europee cresciute nell’idilliaca illusione che la pace in cui vivevamo non fosse altro che un bene cui avevamo diritto. Oltretutto un bene quasi del tutto gratuito, considerate le risorse minime che impegnavamo in tale settore.

Non è più così, anche ammesso e non concesso che l’orizzonte sia mai stato questo!
Stiamo infatti avviandoci verso un mondo in cui le relazioni reciproche saranno in primo luogo condizionate dai rapporti di forza fra gli interlocutori.

Se vogliamo poter continuare a prosperare in un ambiente competitivo del genere dobbiamo quindi accettare per prima cosa l’idea che la sicurezza del nostro continente deve essere gestita in maniera quantitativamente e qualitativamente adeguata, permettendoci per lo meno di far fronte ai rischi ed alle minacce che potremmo incontrare sulla nostra strada .
Per tornare a livello si tratterà, in pratica, di dover restituire, se le cose ci andranno molto bene, almeno parte di quel “dividendo della pace “ che avevamo a suo tempo percepito. Non è e non può assolutamente trattarsi di una idea gradevole: nessuno ama infatti rinunciare a ciò che da tempo considerava come definitivamente acquisito.

Nell’intera operazione sarà comunque di grande aiuto la coscienza del fatto che un buon equilibrio raggiunto sul piano finanziario potrà rivelarsi prezioso nel momento in cui una ulteriore apertura del vaso di Pandora dovesse indurci a riconsiderare anche i vantaggi, come l’abolizione della leva, percepiti a suo tempo  sul piano umano!

Foto Difesa.it

 

Giuseppe CucchiVedi tutti gli articoli

Entrato alla Scuola Militare di Napoli nel 1955, il Generale Cucchi ha avuto una lunghissima carriera conclusa nel 2008 come Direttore Generale dell'Intelligence Nazionale. Dopo il definitivo pensionamento ha lavorato due anni per le Nazioni Unite come esperto nell'ambito della crisi del Mali/Sahel. Ha insegnato management alla Università LUISS di Roma ed alla Business School della Università di Bologna.

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