Se la corruzione in Ucraina diventa l’alibi per rimuovere Zelensky

(Aggiornato alle ore 17,55)
Con una improvvisa capriola, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky sembra voler fare marcia indietro modificando la legge appena approvata dal Parlamento e da lui stesso firmata che di fatto sottraeva autonomia agli organismi anticorruzione.
Zelensky, ha presentato ieri al Parlamento ucraino un disegno di legge che “sostiene l’indipendenza di NABU e SAPO”, le agenzie anti-corruzione il cui ridimensionamento ha scatenato proteste e perplessità dei partner internazionali.
“Ho appena approvato il testo di una proposta di legge che garantisce un effettivo rafforzamento del sistema di polizia ucraino, l’indipendenza delle agenzie anticorruzione e una protezione affidabile del sistema di polizia da qualsiasi influenza o interferenza russa. Il testo è ben bilanciato“, ha scritto ieri su X.
“Ancora più importante, include strumenti concreti, esclude qualsiasi legame con la Russia e sostiene l’indipendenza di NABU e SAPO. La proposta di legge sarà presentata oggi alla Verkhovna Rada dell’Ucraina”, ha concluso il presidente.
Zelensky ha deciso di annullare repentinamente il provvedimento che ha scatenato numerose manifestazioni di protesta in dieci città ucraine e suscitato critiche e perplessità in Europa, dove Bruxelles ha ricordato che la lotta alla corruzione è uno degli elementi cardine per l’ingresso dell’Ucraina nella Ue.
Le manifestazioni, inizialmente concentrate a Leopoli, Rovno, Ternopol, Kharkov e Chmel’nyc’kyj, si sono allargate a Vinnitsa, Dnepr (ex Dnepropetrovsk), Nikolayev, Poltava e Zhitomir, secondo quanto riportato dai media ucraini Hromadske e Ukrinform mentre ieri a Kiev in piazza c’erano 9mila manifestanti secondo le autorità.
Zelensky aveva annunciato la volontà di tornare sui suoi passi dopo la telefonata con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che aveva chiesto spiegazioni rispetto a quanto accaduto. Il portavoce della Commissione, Guillaume Mercier, ha dichiarato a Politico che “la presidente von der Leyen ha espresso la sua forte preoccupazione per le conseguenze degli emendamenti e ha chiesto spiegazioni al governo ucraino. Il rispetto dello stato di diritto e la lotta alla corruzione sono elementi fondamentali dell’Unione Europea. In quanto Paese candidato, ci si aspetta che l’Ucraina rispetti pienamente questi standard. Non può esserci compromesso“.
Anche il premier britannico Keir Starmer, grande “sponsor” di Zelensky, aveva offerto al presidente ucraino la disponibilità a collaborare nella stesura del nuovo disegno di legge.
La nuova legge
il progetto di legge n. 13533 per salvaguardare l’indipendenza di NABU e SAP limiterebbe la capacità dell’Ufficio del procuratore generale di dare istruzioni ai procuratori del SAP e richiederebbe che il vice procuratore generale, che è anche il capo del SAP, approvi tutti gli ordini amministrativi scritti dell’Ufficio del procuratore generale riguardanti le attività del SAP stesso.
Il presidente del Parlamento ucraino, Ruslan Stefanchuk, ha reso noto oggi che l’assemblea si riunirà in sessione straordinaria giovedì 31 luglio per esaminare il disegno di legge presidenziale urgente. Stefanchuk ha affermato che proporrà ai deputati di approvare il disegno di legge sia in prima lettura che in via definitiva e di sostenerne l’immediata firma.
La vicepresidente del Comitato parlamentare per la politica anticorruzione, Olena Moshenets, ha dichiarato in tv che il testo presidenziale non è ancora stato esaminato dalla commissione competente, ma ha aggiunto che potrebbero essere valutati più progetti di legge e che si potrebbe arrivare a un testo unificato. Moshenets ha inoltre ricordato che in Parlamento è già stato presentato un disegno di legge parlamentare su NABU e SAPO.
Nel decreto presidenziale non mancano però le “zone d’ombra” e norme ritenute intimidatorie. La nuova legge infatti vieta la maggior parte dei viaggi all’estero per i dipendenti del NABU durante la legge marziale, autorizza la NABU a ricevere più casi da altri organi di polizia e consente alla SAP di trasferire i casi della NABU che potrebbero “compromettere l’obiettività della NABU ad altre agenzie”.
Il decreto autorizza i procuratori della SAPO a dare istruzioni scritte agli investigatori della NABU e a disciplinare gli investigatori della NABU che rifiutano tali ordini. Ma soprattutto il nuovo disegno di legge presentato ieri prevede che il personale di NABU, SAPO, Ufficio Investigativo di Stato, Ufficio per la Sicurezza Economica e polizia, “qualora abbiano accesso a segreti di Stato”, venga sottoposto al test della macchina della verità, sotto supervisione dell’SBU.
In una nazione che continua a reiterare la legge marziale (rinnovata oggi da Zelensky dopo il voto del Parlamento del 15 luglio insieme alla mobilitazione generale fino al 15 novembre) quasi tutto è “segreto di Stato” e di certo lo saranno i temi trattati da ministri ed esponenti di governo che venissero coinvolti in inchieste circa la corruzione. Di conseguenza una legge che obblighi investigatori e inquirenti a venire esaminati dalla macchina della verità presso la SBU costituisce già di per sé un grave atto intimidatorio.
Basti immaginare cosa accadrebbe al malcapitato funzionario anti corruzione se la macchina registrasse reazioni specifiche a domande circa collusioni con la Russia.
I servizi di sicurezza interna (SBU) si sono occupati di tutti i lavori più sporchi in questa guerra (che è anche un conflitto civile tra ucraini filo-Kiev e ucraini filo-Mosca), dalla repressone del dissenso utilizzando l’acciso di complicità con la Russia all’eliminazione o l’arresto di civili con l’accusa di collaborazionismo col nemico nelle zone di guerra.
La certezza di dover affrontare un interrogatorio dall’SBU, per di più effettuato con la macchina della verità, è una prospettiva che scoraggerebbe chiunque dall’avviare indagini sulla corruzione tra i membri di governo e presidenza.
Del resto il 21 luglio i Servizi di Sicurezza interna ucraini (SBU) hanno effettuato circa 70 perquisizioni presso i funzionari dell’Ufficio nazionale anticorruzione dell’Ucraina (NABU) e hanno fatto irruzione nella sede della Procura specializzata anticorruzione (SAPO).
Azioni intimidatorie che hanno fatto seguito alle accuse di corruzione mosse contro Alexey Chernyshov, ex vice primo ministro, ministro dell’Unità Nazionale molto vicino a Zelensky, evento che ha determinato un’escalation nelle tensioni tra le autorità anticorruzione e la presidenza.
Le reazioni
Il giornale statunitense Politico ha scritto che la decisione di limitare l’indipendenza dell’agenzia anticorruzione adottata dai vertici ucraini sarebbe derivata dalla “consapevolezza che la NABU avrebbe continuato ad avvicinarsi ad altri membri della cerchia ristretta del governo”. Un governo che ha del resto appena subito un ampio rimpasto proprio per volontà di Zelensky mentre le piazze chiedono le dimissioni di Andrey Yermak, capo dell’ufficio presidenziale.
L’articolo di Jamie Dettmer evidenzia come in Ucraina si stia verificando un “arretramento democratico” basato su una nuova narrazione: “o stai con Zelensky o sei un agente russo”.
La giornalista ucraina Nataliya Gumenyuk ha spiegato al Guardian che “ciò che ha scioccato molti non è stato solo il contenuto della legge, ma anche la velocità e il modo in cui è stata approvata: nel giro di un giorno come un emendamento nascosto all’interno di riforme dell’applicazione della legge non correlate e poi firmata e pubblicata quasi immediatamente. Questa legge è diventata la cartina di tornasole per verificare se la fiducia del pubblico nel governo possa essere mantenuta. E, soprattutto, se il contratto sociale non scritto – tra cittadini e Stato – sia ancora valido”.
Più duro ancora The Telegraph che in un articolo arriva a scrivere che Zelensky “non è più parte della soluzione all’Ucraina, è parte del problema” accusando il presidente di “aver usato i poteri di emergenza in tempo di guerra per esiliare, indagare e incarcerare molti importanti oppositori e critici politici. I media dell’opposizione sono stati chiusi e migliaia di aziende sono state sequestrate dai compari di Zelensky con il pretesto di presunti legami con la Russia.
Diversi membri di alto livello del gabinetto sono stati licenziati – ma non perseguiti – per corruzione massiccia. E questa settimana, il partito di Zelensky ha ordinato l’acquisizione di due importanti agenzie anticorruzione che stavano indagando su centinaia di funzionari governativi, parlamentari e addetti ai lavori dell’amministrazione presidenziale”.
Il giornale britannico evidenzia che “per la prima volta dall’inizio della guerra, le strade di Kiev sono esplose con migliaia di giovani manifestanti. Un nuovo presidente ucraino segnerebbe un momento di reset, soprattutto se fosse pronto a proteggere i diritti dei russofoni in Ucraina, una richiesta chiave del Cremlino e, ironia della sorte, anche dell’UE. Zelensky ha svolto un ruolo epico nel salvare il suo Paese dalla distruzione. Ora c’è il pericolo che imiti i suoi predecessori corrotti, e dovrebbe farsi da parte, per il bene dell’Ucraina”.
Ma la svolta più evidente la si nota sul quotidiano Kyiv Independent, il giornale ucraino in lingua inglese nato nel novembre 2021, tre mesi prima dell’inizio della guerra e guidato da Olga Rudenko (che nel 2021 accettò l’offerta di una borsa di studio dello Stigler Center presso la Booth School of Business dell’Università di Chicago) e che ha ricevuto finanziamenti dal governo canadese, dall’European Endowment for Democracy e da USAID.
Non certo casualmente, Rudenko sta rilasciando interviste critiche nei confronti di Zelensky a diversi organi di stampa internazionali. in un editoriale sul suo giornale ha criticato le accuse contro l’attivista anti corruzione Vitaly Shabunin e al Corriere della Sera oggi in edicola ha detto
“Mi sono interrogata a lungo ed è stata una decisione sofferta. Sappiamo bene quali siano i rischi che comporta una posizione del genere tanto più che la maggior parte della nostra squadra vive e lavora in Ucraina. Ma a maggior ragione sarebbe stato immorale da parte nostra nascondere la questione sotto il tappeto e non denunciare il presidente per quello che sta facendo, ovvero minare la democrazia ucraina”.
E aggiunge: “Sebbene Zelensky abbia annunciato una nuova legge, credo che le proteste, anche qualora dovessero fermarsi, riprenderanno appena ci sarà un nuovo motivo. La gente è furibonda. Capisco che visto dall’estero Zelensky può sembrare l’eroe che combatte il male. Ma le persone non sono mai o tutte bianche o tutte nere. Inoltre, con l’avvento dell’amministrazione Trump, la leadership Ucraina ha pensato di non essere più sotto osservazione per la corruzione e di poterla fare franca. Ma hanno fatto male i loro conti”.
Con l’arrivo dell’Amministrazione Trump sembra essere cambiata rapidamente anche la narrazione di alcuni media. Di certo il fatto che Kiyv Independent, coccolato e finanziato da USA, Canada ed europei, accusi Zelensky di minare la democrazia in Ucraina è curioso e potrebbe significare che il presidente ucraino ha i giorni contati.
Del resto molti fanno in queste ore paragoni tra le folle che lo contestano e quelle dell’Euromaidan del 2014, aspetto che induce a sospettare che la narrazione che richiama quella rivoluzione (o colpo di stato) torni oggi in auge per conto delle stesse organizzazioni che misero in atto le proteste di 11 anni or sono. Come dichiarò con orgoglio l’ex sottosegretaria Victoria Nuland, gli Stati Uniti avevano investito 5 miliardi di dollari nell’operazione di cambio di regime a Kiev del 2014.
A rafforzare questi dubbi, ieri, durante un incontro con i parlamentari repubblicani alla Casa Bianca, il presidente Donald Trump ha messo in dubbio l’utilizzo da parte dell’Ucraina di miliardi di aiuti statunitensi. Ha affermato che gran parte degli aiuti americani forniti sotto la presidenza di Joe Biden potrebbe essere stata utilizzata in modo improprio o non interamente destinata alle esigenze di difesa.
Trump ha criticato Biden per aver “donato” ingenti somme senza un’adeguata rendicontazione, ribadendo la sua affermazione che gli aiuti hanno prodotto scarsi risultati. Ha inoltre sostenuto che l’Ucraina avrebbe dovuto acquistare i propri equipaggiamenti di difesa con i fondi, ma ha espresso dubbi sul fatto che ogni dollaro sia stato utilizzato come previsto.
Eppure…..
E’ curioso notare come oggi i principali media e la politica in Occidente comincino a scoprire improvvisamente che l’Ucraina evidenzia un forte deficit di democrazia e un gigantesco boom di corruzione e malversazione.
Eppure, come scrivemmo su Analisi Difesa a fine giugno 2022, tutti gli elementi per avere un quadro realistico della situazione nell’Ucraina di Zelensky circa democrazia, corruzione, diritti civili e trasparenza erano già ben noti prima dell’inizio della guerra che, come sempre accade, li ha aggravati.
Il Corruption Perceptions Index nel 2021 attribuiva all’Ucraina il 122° posto su 180 nazioni prese in esame, mentre lo Human Freedom Index pubblicato nel 2022 dal Cato Institute, il Fraser Institute e il Friedrich Naumann Foundation for Freedom vedeva l’Ucraina al 98° posto.
Nella classifica delle libertà economiche stilata dall’Economic Freedom Heritage Foundation l’Ucraina occupava il 130° posto, dietro a paesi tra i più poveri del mondo come Niger, Mauritania e Burkina Faso mentre -nella classifica della Libertà di Stampa redatta da Reporter Sans Frontiéres l’Ucraina era 106a, dietro a Gabon e Ciad ma davanti al Burundi.
Eppure ben 11 partiti di opposizione vennero messi fuori legge nel 2022 con l’accusa di essere “filo-russi”. Eppure il ministro della Difesa Oleksji Reznikov venne rimosso per corruzione nel settembre 2023 e mandato a fare la bella vita tra Londra e la Costa Azzurra senza aver subito nessuna inchiesta né processo.
Eppure fonti statunitensi già oltre tre anni or sono evidenziarono la scomparsa di armi e denaro forniti all’Ucraina per difendersi dalla Russia, come Analisi Difesa raccontò nel maggio 2022 citando fonti giornalistiche e alcuni centri studi statunitensi indipendenti dopo aver anticipato i rischi in tal senso ancor prima nel marzo di quell’anno, a guerra appena iniziata e aver riferito in giugno i report dell’Interpol.
Eppure fonti istituzionali di diverse nazioni segnalarono già nell’autunno 2022 che le armi occidentali fornite a Kiev stavano comparendo in diversi teatri bellici africani e asiatici (come raccontammo su Analisi Difesa il 27 dicembre di quell’anno).
Eppure da oltre due anni migliaia di mogli, madri e figli si riuniscono nelle piazze di tutta l’Ucraina chiedendo notizie dei propri cari arruolati e di cui non sono più state fornite notizie. Eppure da almeno un anno e mezzo i social media ucraini sono pieni di scene di violenti arruolamenti forzati computi nelle strade, nei bar, nelle case dai reclutatori ucraini: immagini riprese per strada da cittadini e famigliari.
Eppure è da oltre un anno che su diversi social media ucraini vengono denunciati numerosi casi di corruzione come quelli legati alla realizzazione di fortificazioni militari con opere mai o mal eseguite pagate milioni di dollari stanziati dai “paesi donatori”.
Eppure il mandato di Zelensky è scaduto da 14 mesi, nel maggio 2024 e non vuole saperne di indire elezioni. Eppure sono più di tre anni che la Verkhovna Rada è solo la caricatura di un parlamento come dimostra il fatto che il decreto di Zelensky che toglieva autonomia a NABU e SAPO è stato approvato con 223 voti a favore, 13 contrari e 13 astenuti.
Probabile che il nuovo decreto venga approvato nelle prossime ore con una maggioranza simile, a conferma di quale autonomia abbia l’assemblea parlamentare rispetto al governo e soprattutto dal presidente. Una totale e consolidata assenza anche della parvenza di garanzie democratiche che suggerisce come la domanda da porsi è quindi perché oggi sembrano accorgersi tutti che Zelensky è “parte del problema” e l’Ucraina non è una democrazia?
Prospettive
Meglio infatti ricordare che fino a oggi evidenziare in Europa tutti gli “eppure” sopracitati significava vedersi affibbiata l’etichetta di putiniano e filo-russo.
Sarà forse un caso che Zelensky venga messo apertamente in discussione due settimane dopo che Donald Trump ha detto chiaramente (e lo ha ribadito ieri) che le armi per l’Ucraina ci saranno solo se le pagherà l’Europa e solo delle tipologie che gli USA possono cedere e di cui non hanno riserve ormai a livello critico?
Infatti le ultime forniture approvate ieri riguardano cingolati M2 Bradley di cui l’US Army ha oltre 2mila esemplari nei magazzini e i missili antiaerei Hawk, armi ritirate dal servizio 25 anni or sono e ormai “scadute” per un totale di 322 milioni di dollari a carico degli alleati europei. I quali non hanno più armi e munizioni da cedere a Kiev se non in quantità irrisoria rispetto alle necessità belliche e in tempi biblici.
Non appare certo casuale che Zelensky subisca critiche e accuse dagli alleati europei e statunitensi mentre i pessimi segnali che giungono dal fronte (in buona parte occultati dai nostri media e ignorati dai politici europei almeno nei discorsi pubblici) indicano il rischio di un rapido tracollo delle deboli brigate ucraine, ormai così logorate in diversi settori da schierare in molti casi non più di mille soldati.
E mentre crescono a dismisura i disertori, i limitati arruolamenti ottenuti rastrellando con la forza uomini nelle strade e nelle case impongono di non congedare i veterani che combattono in molti casi da due o tre anni. O mentre le difese aeree ucraine sono ormai al collasso, incapaci di ostacolare droni e missili russi che colpiscono obiettivi militari e industriali in ogni regione dell’Ucraina, in profondità come nelle immediate retrovie del fronte.
Zelensky ha cambiato abbigliamento, veste in nero anche se spesso non utilizza le nuove uniformi, sempre nere, utilizzate da ministri e alti ranghi del governo (vedi foto che illustrano questo articolo), ma non la sua narrazione spesso dissociata dalla realtà.
Oggi ha affermato che “i russi non avanzano e non vogliono combattere” aggiungendo però che gli alleati della NATO hanno promesso solo 3 batterie di missili Patriot quando “ne riteniamo necessarie 10”, un numero che indicava il numero di batterie che l’Ucraina aveva ricevuto dagli alleati, Se oggi Kiev ne chiede altre 10 significa molto probabilmente che almeno una buona parte dei sistemi Patriot forniti sono stati distrutti dai russi.
Che Zelensky sia “al centro del mirino” dei suoi alleati sembra confermarlo anche il provvedimento della Commissione europea che oggi ha tagliato alcuni fondi diretti a Kiev per il mancato rispetto di 3 di 16 obiettivi previsti dal piano Ukraine Facility. Il portavoce Guillaume Mercier, ha precisato che “la Commissione ha valutato 13 riforme completate e propone al Consiglio di erogare 3,05 miliardi di euro come quarto pagamento nell’ambito del Piano Ucraina. Ma delle tre riforme in sospeso, una riguarda la selezione dei giudici dell’Alta Corte Anticorruzione” ha evidenziato Mercier.
Sarà certo una coincidenza che proprio in questi giorni in cui montano le critiche a Zelensky si diffondano sempre di più sui media ucraina (UNIAN e Nexta) e in Occidente (LB Life e DefenceMatters.eu) le dichiarazioni sul conflitto e la cooperazione tra Ucraina e NATO dal generale Valery Zaluzhny, ambasciatore ucraino nel Regno Unito ed ex capo delle forze armate ucraine, secondo molti osservatori candidato a diventare il prossimo presidente ucraino.
Se fino a ieri la guerra doveva continuare “fino alla vittoria dell’Ucraina” per salvare il posto a Zelensky e a diversi leader europei (von der Leyen., Macron, Merz, Starmer…..), oggi con un po’ di malizia verrebbe quasi da pensare che questi ultimi stanno valutando di salvare le proprie poltrone dal disastro dell’avventura militare contro la Russia scaricando il barile sul presidente ucraino, capro espiatorio perfetto.
Foto: VolodymyrZelensky/X , Forze Armate Ucraine, Kanal 13, UNIAN e Forze Armate Tedesche
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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.