Dal nuovo libro di Giuseppe Gagliano un atlante per la guerra invisibile del nostro tempo

Nel panorama sempre più rarefatto della saggistica geopolitica che sappia coniugare rigore teorico e concretezza analitica, il libro di Giuseppe Gagliano, “Guerra economica e nuovo disordine globale: teorie, conflitti e strategie”, rappresenta un contributo di assoluto rilievo. Il volume è un’arma intellettuale puntata contro l’ingenuità con cui l’Europa, e in particolare l’Italia, continuano a sottovalutare le logiche del potere economico che oggi regolano i rapporti internazionali.
Gagliano, da anni impegnato nello studio della guerra economica e formatosi nell’alveo dell’École de Guerre Économique di Christian Harbulot, non si limita a tracciare un’analisi accademica. Piuttosto, costruisce un’opera militante nel senso più alto del termine: denuncia, illustra, documenta e interpella. La sua non è una teoria per addetti ai lavori, ma un grido d’allarme informato, che mira a risvegliare una consapevolezza geopolitica ormai sopita sotto la coltre dell’europeismo ingenuo e della fiducia mal riposta nel “mercato autoregolante”.
Il cuore teorico del volume, esposto nel primo capitolo, è un inquadramento sistemico della guerra economica come prosecuzione della politica con mezzi economici, sulla falsariga della nota formula clausewitziana.
L’intuizione di Harbulot, a cui Gagliano rende giustamente ampio tributo, è che oggi le armi non sono più solo i carri armati o le testate nucleari, ma anche i brevetti, i dazi, le acquisizioni, le campagne mediatiche. È una guerra a bassa intensità ma ad alta pervasività, e proprio per questo pericolosamente invisibile. Il suo teatro non è il campo di battaglia, ma la catena di produzione, le borse valori, i media digitali.
Il secondo capitolo è una carrellata di casi esemplari. Qui Gagliano brilla per chiarezza espositiva e profondità analitica: dallo scontro Airbus-Boeing alla questione del gas russo, dall’acquisizione di Piaggio Aerospace da parte dei turchi di Baykar al caso UniCredit–Commerzbank, ogni dossier è una finestra aperta su un campo di battaglia dove l’Europa si presenta troppo spesso disarmata. La tesi è limpida: l’Unione Europea, per mancanza di cultura del potere e di strumenti di difesa economica, è il ventre molle di un sistema internazionale in cui vige la legge del più forte, non quella del più virtuoso.
Il terzo capitolo allarga l’orizzonte alla crisi dell’ordine mondiale e alla metamorfosi della guerra tradizionale in guerra ibrida. L’autore legge con occhio strategico eventi che la stampa spesso liquida come cronaca estera: l’operazione Condor, il golpe iraniano del 1953, la guerra in Ucraina. Tutti esempi di come la dimensione economica e quella militare si intreccino e si sovrappongano, in un mondo dove le sfere d’influenza non si conquistano solo con i soldati, ma anche con i contratti e le fusioni transfrontaliere. Le guerre del futuro – e forse già del presente – sono guerre sistemiche, in cui l’arma più potente è la vulnerabilità economica del nemico.
Il quarto capitolo, infine, è un viaggio nella geopolitica della mente: Mahan, Spykman, Mazarin, Xi Jinping, Tharoor. L’autore dimostra che la strategia non è solo tecnica, ma visione del mondo. Non si può capire la guerra economica se non si conoscono le dottrine, le mappe mentali, le ambizioni profonde degli attori globali. In questo senso, il volume è anche un invito allo studio, alla formazione, alla costruzione di una classe dirigente capace di pensare in termini di lungo periodo.
Gagliano non risparmia critiche all’Europa, e in particolare all’Italia. La svendita di asset strategici, la mancanza di un’intelligence economica efficace, l’assenza di una politica industriale coerente sono i sintomi di una malattia profonda: la rinuncia alla sovranità economica in nome di un globalismo astratto che non tiene conto della realtà dei rapporti di forza. È un’accusa durissima, ma fondata. E proprio per questo, necessaria.
Il libro individua anche le responsabilità culturali: la lunga egemonia del pensiero liberale ha portato alla rimozione del concetto di conflitto economico. L’ideologia della competizione “win-win” ha lasciato campo libero a chi, come la Cina o gli Stati Uniti, ha continuato a ragionare in termini di potenza. L’Europa, priva di realismo strategico, si è illusa che il libero mercato fosse uno spazio neutrale, e si è svegliata solo quando era troppo tardi, con le aziende in mani straniere, i dati personali custoditi da server d’oltreoceano e la dipendenza energetica come tallone d’Achille.
Lo stile è sobrio, documentato, serrato. Ogni affermazione è sostenuta da esempi, dati, riferimenti. Ma ciò che più colpisce è l’intento pedagogico: Gagliano non si accontenta di descrivere, vuole formare. Il suo lettore ideale non è il funzionario ministeriale o l’esperto di think tank, ma il cittadino colto che vuole capire perché l’Europa arretra, perché le aziende chiudono, perché la politica estera sembra sempre più un gioco di altri.
C’è, nel libro, un forte richiamo all’urgenza: non è più tempo di seminari accademici e dichiarazioni di principio. Serve agire. E agire significa dotarsi di strumenti di intelligence economica, riscrivere le regole della concorrenza, difendere i settori strategici, smettere di considerare la diplomazia economica come una cortesia secondaria. Significa soprattutto, come sottolinea Harbulot, uscire dall’ipocrisia di non chiamare “guerra” ciò che è, nei fatti, una guerra non dichiarata.
In definitiva, Guerra economica e nuovo disordine globale è un testo necessario. Non solo perché spiega il mondo, ma perché spiega come difendersi da un mondo sempre più predatorio. È un manuale di resistenza strategica, che dovrebbe entrare nei programmi universitari, nei corsi per diplomatici, nei tavoli delle redazioni. Perché oggi, come ieri, chi controlla l’informazione, l’economia e la tecnologia, controlla il mondo. E chi non lo capisce, lo subisce.
Il libro può essere scaricato gratuitamente a questo link.

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