In Russia record di riserve valutarie tra sfida all’Occidente e fragilità nascoste

 

Mentre le sanzioni occidentali congelano centinaia di miliardi e il conflitto in Ucraina divora risorse, la Russia segna un primato inatteso: riserve valutarie e auree ai massimi da sempre. È il volto brillante di una strategia che sposta il baricentro economico verso la Cina, l’India e il BRICS allargato. Ma sotto la superficie, il progressivo logoramento del National Wealth Fund e la dipendenza da partner extra-occidentali disegnano uno scenario più fragile di quanto dicano i numeri.

All’inizio dell’estate 2025, un dato ha spiazzato più di un osservatore: le riserve valutarie e auree della Federazione Russa hanno raggiunto 688,73 miliardi di dollari a giugno, il massimo storico da quando esistono le rilevazioni della Banca centrale russa. È un valore in crescita rispetto ai 680,38 miliardi di maggio (circa 624 miliardi di euro) e quasi il doppio della media storica: 326,45 miliardi dal 1995 a oggi, su per giù 300 miliardi di euro.

Per dare la misura del salto, nel gennaio 1995 Mosca disponeva di appena 4,63 miliardi. A confermare i dati è il portale statistico indipendente The Global Economy: “Il valore più recente è di 688,73 miliardi di dollari statunitensi a giugno 2025, in aumento rispetto al valore precedente di 680,38 miliardi di dollari. Storicamente, la media per la Russia da gennaio 1995 a giugno 2025 è di 326,45 miliardi di dollari statunitensi. Il minimo, pari a 4,63 miliardi di dollari, è stato registrato nel gennaio 1995”.

Questo dato colpisce perché racconta una contraddizione quasi provocatoria: nel pieno di una guerra logorante, con tre anni di sanzioni occidentali senza precedenti sulle spalle – capaci di congelare circa 300 miliardi di dollari (ben 275 miliardi di euro) di asset russi all’estero e di colpire al cuore finanza, difesa ed energia – Mosca non solo regge l’urto, ma segna un massimo storico.

La Russia ha reagito ridisegnando la geografia del proprio export, spostandolo verso Asia e Medio Oriente, e intensificando i rapporti con Cina, India e con i membri del BRICS allargato. Come evidenziano i ricercatori del Carnegie Endowment for International Peace nell’analisi ‘BRICS Expansion and the Future of World Order’ (L’espansione dei BRICS e il futuro dell’ordine mondiale), condotta nel marzo scorso, questo riorientamento commerciale non è solo una strategia di sopravvivenza alle restrizioni, ma un tassello di un più ampio progetto geopolitico che mira a consolidare nuove alleanze economiche e politiche al di fuori dell’orbita occidentale.

Le forniture energetiche russe si sono progressivamente ricalibrate verso la Cina, con una quota crescente di gas convogliata attraverso il gasdotto Power of Siberia – destinato a toccare i 38 miliardi di metri cubi annui entro il 2025, consolidando Mosca come principale fornitore di Pechino – e sotto forma di GNL (Gas Naturale Liquefatto), la cui esportazione è aumentata del 3,3% nel 2024 fino a raggiungere 8,3 milioni di tonnellate, posizionando la Russia al terzo posto tra i fornitori di Pechino, dopo Australia e Qatar.

Le tensioni geopolitiche – in particolare il conflitto Israele-Iran – hanno spinto Pechino a riconsiderare l’espansione del gasdotto Power of Siberia-2. Nella primavera 2025, secondo Reuters, Mosca e Pechino dichiaravano di trovarsi in una fase di “trattative attive”, senza però una data certa per la firma, mentre divergenze su prezzo e finanziamento continuavano a rallentare il dossier.

A luglio 2025 le trattative restavano in stallo: Gazprom, insieme al suo principale partner, la China National Petroleum Corporation (CNPC), confermava l’assenza di un’intesa definitiva. Entrambe le parti ribadivano però la volontà di proseguire il negoziato, mantenendo un fitto calendario di incontri ad alto livello per cercare di sbloccare le divergenze e definire i termini contrattuali.

Parallelamente, l’India continua ad acquistare petrolio russo a prezzo scontato, pagandolo sempre più spesso in rupie o in dirham emiratini per eludere il dollaro e i canali SWIFT. Con Emirati Arabi Uniti e Iran, Mosca ha siglato contratti energetici a lungo termine e sviluppato nuove rotte commerciali, ricorrendo a valute alternative. Con Teheran, in particolare, è in fase avanzata l’integrazione dei rispettivi sistemi di pagamento e messaggistica finanziaria (SPFS russo e Shetab/Mir iraniano) per operare fuori dallo SWIFT.

Nonostante il cambio di governo in Iran, l’agenda non ha subito rallentamenti:

  • il 17 gennaio 2025 è stato firmato un trattato strategico ventennale che prevede regolamenti in valute nazionali e cooperazione bancaria diretta;
  • il 13 maggio 2025 è stata completata la seconda fase dell’integrazione, con la possibilità per i cittadini russi di pagare in Iran tramite l’app Mir Pay;
  • la terza fase, prevista entro dicembre 2025, consentirà anche agli iraniani di utilizzare le proprie carte e app di pagamento in Russia.

L’uso di valute diverse dal dollaro (yuan, rublo, rupia) è ormai la norma: tra il 2022 e il 2023 la quota di esportazioni russe saldate in moneta nazionale è salita dal 10% a oltre il 40% – stando all’analisi condotta dagli esperti del Carnegie Endowment for International Peace – e, nel commercio con la Cina, più del 90% delle transazioni avviene ormai in rubli o yuan. A completare la strategia, la Russia ha rafforzato il proprio sistema di pagamenti interno SPFS, progressivamente interconnesso con India, Cina e Iran per garantire resilienza finanziaria.

Dietro la solidità apparente delle riserve si cela un’altra tendenza meno rassicurante: il National Wealth Fund, il fondo sovrano della Federazione Russa, creato nel 2008 come erede dello Stabilization Fund e concepito per garantire la stabilità del sistema pensionistico e finanziare progetti strategici, si sta assottigliando.

A maggio 2025 il suo valore era sceso a circa 144 miliardi di dollari, complice l’uso sempre più frequente per coprire i costi della guerra in Ucraina e tamponare il calo delle entrate fiscali. Alimentato in larga parte dagli introiti di petrolio e gas, il fondo era nato come cuscinetto di lungo periodo; oggi, però, parte delle sue risorse viene assorbita dal bilancio corrente, con il rischio di ridurre la capacità di Mosca di sostenere investimenti interni e di mantenere la propria resilienza economica negli anni a venire.

Il 2025 è anche l’anno in cui il BRICS, ora esteso a dieci membri, accelera i progetti di de-dollarizzazione. Alla riunione dei ministri dell’Energia in Brasile si è parlato di una “rete energetica comune” e di sistemi di pagamento in valute locali. Per Mosca, questa piattaforma è un’ancora strategica: garantisce mercati alternativi, investimenti infrastrutturali e una narrazione di “resilienza” utile tanto all’estero quanto all’interno.

Le riserve record di Mosca, lontane dal collasso evocato in alcune dichiarazioni occidentali, sono il risultato di un riassetto economico che sfrutta nuovi partner e mercati alternativi. Ma la resilienza finanziaria non è infinita: il logoramento del National Wealth Fund e la dipendenza crescente dal BRICS come rete di salvataggio rivelano fragilità che potrebbero emergere nei prossimi anni. L’Europa, nel frattempo, prova a colmare il divario con piani di spesa militare ambiziosi ma di lungo respiro, mentre la partita vera si gioca già sul terreno dell’influenza economica e della guerra ibrida.

Foto TASS

 

Giornalista e analista geopolitica specializzata in Russia e Repubbliche dell'ex blocco sovietico. Esperta in comunicazione. Traduttrice, ghostwriter e docente di storytelling. Laureata in Lingua e Letteratura Russa presso l'Università "Maxim Gorkij" di Mosca, in giornalismo presso la Facoltà di Giornalismo della MGU di Mosca e poi in Lingue e Letterature Straniere e in Scienze della Comunicazione presso l'Università degli Studi di Torino, ha collaborato o collabora con numerose testate italiane e straniere tra cui Panorama, La Voce, Gazzetta Torino, VoceNews, Literaturnaja Gazeta e Junost.

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