C’era una volta il Consiglio NATO–Russia

 

Il rapporto tra NATO e Russia ha rappresentato a lungo una variabile centrale nell’equazione della sicurezza europea. Nei due decenni successivi alla fine della Guerra Fredda, entrambe le parti hanno sperimentato diversi formati di dialogo e cooperazione, alimentati talvolta dall’ambizione di costruire un nuovo ordine di sicurezza “oltre le linee di divisione”.

Tali sforzi, tuttavia, sono stati spesso messi alla prova da interessi strategici divergenti e da visioni concorrenti della sicurezza. Tra queste iniziative, la creazione del Consiglio NATO–Russia (NATO – Russia Council, NRC) nel 2002 si è distinta come il tentativo più ambizioso di istituzionalizzare la cooperazione tra Mosca e l’Alleanza. La sua storia, tuttavia, dall’ottimismo iniziale alla progressiva disillusione, riflette l’evoluzione più ampia delle relazioni NATO–Russia.

 

Le origini del partenariato NATO–Russia

Per comprendere il cammino del Consiglio NATO–Russia, è essenziale richiamare le origini stesse del partenariato. Le basi di questa relazione furono poste nell’immediato dopoguerra fredda, quando entrambe le parti cercavano di andare oltre il confronto e di esplorare il potenziale di cooperazione. Per la Russia, ciò significava ridefinire il proprio ruolo in un contesto di sicurezza in rapido cambiamento; per la NATO, si trattava di bilanciare la politica di allargamento con uno sforzo parallelo di coinvolgere Mosca in un dialogo costruttivo.

Una tappa fondamentale di questo processo fu l’Atto Fondativo NATO–Russia del 1997 su Relazioni Reciproche, Cooperazione e Sicurezza, che istituì il Consiglio Permanente Congiunto (Permanent Joint Council, PJC). Sebbene limitato nelle funzioni e privo di autorità decisionale, il PJC servì come meccanismo di consultazione e scambio di informazioni su questioni quali il controllo degli armamenti, il peacekeeping e la non proliferazione. Esso incarnava il riconoscimento che la sicurezza europea sarebbe stata incompleta senza una forma strutturata di dialogo con la Russia.

General view of the meeting

La relazione, tuttavia, rimaneva fragile. L’intervento della NATO in Kosovo nel 1999 fu duramente contestato da Mosca ed evidenziò i limiti della partnership. Eppure, gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 riaprirono una finestra di opportunità. La Russia espresse solidarietà agli Stati Uniti e facilitò il supporto logistico per le operazioni NATO in Afghanistan, segnalando la volontà di agire al fianco dell’Alleanza contro le nuove minacce globali.

Sulla scia di questo rinnovato slancio, il Vertice di Pratica di Mare del maggio 2002 inaugurò il Consiglio NATO–Russia (NRC), che sostituì il PJC con un quadro più ambizioso. A differenza del suo predecessore, il NRC fu concepito come un forum in cui Russia e membri NATO si sarebbero seduti “in 20”, formalmente su un piano di parità, per affrontare sfide comuni e avviare iniziative congiunte. Questo passo rappresentava l’apice dell’ottimismo nelle relazioni NATO–Russia, quando la prospettiva di un autentico partenariato strategico sembrava a portata di mano.

 

La visione

Il Consiglio NATO–Russia rappresentava più di un’innovazione istituzionale; esso simboleggiava una visione di responsabilità condivisa per la sicurezza europea e globale.

La formula del sedersi “in 20” era concepita per segnare una rottura con il modello gerarchico del PJC e per sottolineare l’uguaglianza nel dialogo. In teoria, la Russia non sarebbe stata semplicemente consultata, ma avrebbe partecipato alla definizione di posizioni comuni su vari temi, che andavano dal contrasto al terrorismo al controllo degli armamenti e alla gestione delle crisi.

Questa visione rifletteva il clima politico dei primi anni 2000, quando la convergenza di interessi nella lotta al terrorismo, nella stabilizzazione dell’Afghanistan e nell’affrontare nuove sfide transnazionali sembrava prevalere sulle persistenti divergenze.

Per la NATO, rappresentava un modo per integrare la Russia in un quadro di sicurezza cooperativa, pur continuando il processo di allargamento; per Mosca, offriva il riconoscimento del suo status di grande potenza con una voce legittima nella definizione della sicurezza europea.

Così il Consiglio NATO – Russia assumeva dunque una forte carica simbolica: non era solo uno strumento di dialogo, ma anche un banco di prova per verificare se NATO e Russia potessero realmente stabilire un partenariato strategico duraturo.

 

L’inizio del deterioramento

Tali premesse si scontrarono presto con la dura realtà rappresentata dalle priorità strategiche divergenti. Mentre lo spirito di Pratica di Mare era radicato nell’idea di interessi comuni, nella pratica questi si rivelarono difficili da sostenere. L’intervento a guida Statunitense in Iraq nel 2003, al quale la Russia si oppose fermamente, già mise in luce tutti i limiti della convergenza politica. Le differenti visioni si radicarono ulteriormente con il proseguire dell’allargamento NATO, percepito da Mosca non come un processo stabilizzante, ma come un’ingerenza nella propria tradizionale sfera di influenza.

Sebbene il NRC rimanesse attivo, le sue riunioni spesso mettevano in evidenza il disaccordo piuttosto che produrre consenso. Vennero portate avanti iniziative congiunte contro il terrorismo e per la non proliferazione, ma il loro ambito fu limitato e insufficiente a compensare la crescente sfiducia. Il conflitto in Georgia del 2008 rappresentò un punto di rottura: la NATO condannò le azioni russe, mentre Mosca accusò l’Alleanza di doppi standard e di sostenere le aspirazioni georgiane di adesione. Il NRC fu formalmente sospeso subito dopo, una decisione che evidenziava la fragilità del partenariato.

Anche quando il Consiglio riprese le attività nel 2009, l’atmosfera era ormai cambiata irreversibilmente. Invece di essere una piattaforma di cooperazione strategica genuina, il NRC divenne sempre più un forum per gestire i disaccordi e contenere le crisi. Quando la NATO adottò il nuovo Concetto Strategico a Lisbona nel 2010, la visione iniziale di un “vero partenariato strategico” con la Russia era di fatto già svanita, sostituita da un approccio più cauto e pragmatico.

 

Il Concetto Strategico 2010

La NATO adottò il nuovo Concetto Strategico al Vertice di Lisbona nel novembre 2010; il documento continuava a riconoscere le aspirazioni di partenariato con la Russia, ma con un tono molto più cauto rispetto ai primi anni 2000. Il testo affermava che “la NATO non rappresenta una minaccia per la Russia” e descriveva Mosca come un potenziale partner per la cooperazione su temi quali la difesa antimissile, il contrasto al terrorismo, la non proliferazione e la gestione delle crisi.

Tuttavia, il linguaggio rifletteva le lezioni del decennio precedente; il partenariato non era più dato per scontato, ma condizionato – dipendente dalla volontà della Russia di agire in uno spirito di reciprocità e nel rispetto delle norme internazionali. Il Vertice di Lisbona offrì un’opportunità più che altro simbolica per rivitalizzare la relazione, con l’impegno reciproco ad esplorare la cooperazione sulla difesa antimissile. Tuttavia, l’ottimismo di Pratica di Mare era in gran parte svanito.

Il Concetto Strategico proiettava un approccio duale: tendere ancora la mano alla cooperazione, ma al tempo stesso riaffermare i pilastri fondamentali della NATO – difesa collettiva, gestione delle crisi e sicurezza cooperativa.

Questo equilibrio rifletteva la realtà delle relazioni NATO–Russia del tempo. Sebbene il quadro istituzionale del NRC rimanesse in piedi, il suo potenziale strategico era sempre più vincolato da sfiducia e agende divergenti; la narrazione implicita che l’epoca del genuino ottimismo nelle relazioni NATO–Russia era già tramontata.

 

Il collasso e la Crimea

Le nuove basi gettate nel Vertice di Lisbona ebbero vita breve. Il fragile equilibrio tra cooperazione e diffidenza si sgretolò definitivamente nel 2014, quando dopo il rovesciamento del governo ucraino con l’insurrezione del Maidan sostenuta dagli Stati Uniti, l’annessione russa della Crimea e le azioni destabilizzanti nell’Ucraina orientale portarono le relazioni NATO–Russia a un punto di rottura. Tali eventi rappresentarono non solo una violazione dei principi dell’Atto Fondativo NATO–Russia, ma anche una sfida diretta all’ordine di sicurezza europeo del dopo Guerra Fredda.

In risposta, la NATO sospese ogni cooperazione pratica all’interno del Consiglio NATO–Russia, mantenendo unicamente i canali di dialogo politico a livello di ambasciatori. Questa distinzione era significativa: sebbene l’Alleanza non abolisse formalmente il NRC, il suo significato operativo fu di fatto annullato. L’istituzione che un tempo era stata concepita come simbolo di uguaglianza e partenariato strategico si ridusse drasticamente, rimanendo giusto un forum di gestione delle crisi, nella migliore delle ipotesi, e un relitto di aspettative tradite, nella peggiore.

 

Conseguenze strategiche

La rottura del 2014 costrinse la NATO a riorientare la propria postura strategica. L’assunto che la sicurezza cooperativa con la Russia potesse costituire un pilastro della stabilità europea fu sostituito da un rinnovato accento su deterrenza e difesa.

Al Vertice del Galles del settembre 2014, l’Alleanza adottò il Readiness Action Plan (RAP), che includeva la creazione della Very High Readiness Joint Task Force (VJTF) ed una presenza avanzata rafforzata in Europa orientale (Forward Presence). Queste misure erano concepite per rassicurare gli Alleati più esposti alle pressioni russe e per dimostrare la capacità della NATO di rispondere rapidamente a minacce emergenti.

Il successivo Vertice di Varsavia del 2016 consolidò questa traiettoria, confermando un adattamento a lungo termine della postura di forze NATO. Gruppi tattici multinazionali furono dispiegati nei Paesi baltici e in Polonia, simboleggiando il passaggio dell’Alleanza dalla partnership con la Russia alla deterrenza contro di essa. Allo stesso tempo, la NATO mantenne aperti i canali di dialogo con Mosca, ma solo come complemento – non come alternativa – a robuste misure di difesa.

Le conseguenze strategiche della Crimea furono quindi profonde: il NRC rimase un guscio vuoto, mentre il baricentro strategico della NATO tornava alla difesa collettiva. Il quadro di cooperazione immaginato nel 2002 era crollato, sostituito da una postura di vigilanza, rassicurazione e contenimento.

 

Lezioni apprese

La traiettoria del Consiglio NATO–Russia offre lezioni preziose per comprendere i limiti dei partenariati istituzionalizzati nella sicurezza internazionale. Il NRC fu istituito sulla premessa che il dialogo e l’uguaglianza potessero superare la diffidenza storica e creare le basi per un quadro di sicurezza condiviso.

Tuttavia, la storia del NRC rivela anche la fragilità strutturale di tali meccanismi, unita anche al gioco degli interessi e delle percezioni. Il Consiglio non fu immune alle più ampie dinamiche geopolitiche; quando gli interessi si sono trovati a divergere, gli strumenti istituzionali da soli si rivelarono insufficienti a prevenire il confronto.

Le crisi in Kosovo (1999), Georgia (2008) e Ucraina (2014) dimostrano che NATO e Russia non raggiunsero mai una comprensione comune della sicurezza europea. Mosca continuava a considerare l’allargamento della NATO una minaccia alla propria sfera di influenza, mentre l’Alleanza percepiva le azioni russe come un attentato al diritto internazionale e alla stabilità.

La lezione è duplice; in primis, i quadri di dialogo possono mitigare i rischi e fornire canali di comunicazione, ma non possono sostituire una reale convergenza di interessi strategici. In secundis, il fallimento del NRC evidenzia la persistente difficoltà di conciliare il mandato di difesa collettiva della NATO con le aspirazioni revisioniste della Russia. Il crollo del partenariato non fu quindi soltanto il risultato di una cattiva gestione diplomatica, ma il prodotto di incompatibilità più profonde, unite ad una scarsa volontà – da ambo le parti – di risolverle.

 

Conclusioni

La storia del Consiglio NATO–Russia è quella di una grande ambizione scontratasi con la cruda realtà. Concepite a Pratica di Mare nel 2002 come simbolo di uguaglianza e partenariato, le sue fondamenta incarnavano la speranza che Mosca e l’Alleanza potessero costruire un quadro cooperativo per il XXI secolo. Per un certo periodo, talune iniziative congiunte diedero sostanza a questa visione.

Eppure, come le crisi successive dimostrarono, il Consiglio non seppe resistere alle fratture più profonde che dividevano NATO e Russia. Interpretazioni divergenti della sicurezza europea, diffidenza reciproca e il ricorso della Russia alla coercizione finirono per erodere le basi stesse su cui era stato edificato il partenariato.

“C’era una volta un Consiglio NATO–Russia”; una frase che oggi suona quasi ironica. Quello che doveva essere un fondamento di cooperazione si è trasformato invece in un monito di fallimento strategico.

Il percorso di poco più di 10 anni dall’ottimismo al collasso sottolinea una lezione amara; le istituzioni possono facilitare il dialogo e gestire le tensioni, ma non possono risolvere incompatibilità fondamentali di interessi e visioni.

Il NRC resta un caso di scuola tanto delle possibilità quanto dei limiti dell’impegno con la Russia – un richiamo al fatto che le strutture di cooperazione devono poggiare su un reale allineamento strategico per poter durare. In ultima analisi, il Consiglio NATO–Russia è rimasto un esperimento effimero, un’occasione persa per consolidare la fiducia reciproca. Un mancato successo di cui entrambe le parti portano la responsabilità e che continua a proiettare le sue conseguenze nel presente.

Foto TASS e NATO

 

Il Gen. D. (aus.) Luca Fontana è un professionista con oltre 30 anni di esperienza in operazioni militari, sicurezza internazionale e pianificazione strategica. Ha ricoperto posizioni di alta responsabilità all'interno della NATO, delle Nazioni Unite e delle Forze Armate Italiane, inclusi Vice Capo di Stato Maggiore per il Supporto presso il comando NRDC-Italia della NATO e Capo dei Piani Strategici e Politiche di Difesa presso il Quartier Generale dell'Alleanza Atlantica a Bruxelles. Ha conseguito un Dottorato in Scienze Strategiche, Masters Universitari in Studi Strategici Internazionali e Geopolitica e ha maturato esperienze aziendali e di consulenza supportando progetti di difesa, sicurezza e logistica in Europa e Medio Oriente.

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