La Cina converte centinaia di vecchi caccia in droni armati

I vecchi aerei da combattimento Shenyang J-6 e Chengdu J-7, rispettivamente versioni su licenza dei caccia sovietici MiG-19 e MiG-21, hanno rappresentato per decenni due colonne portanti dell’Aviazione cinese (PLAAF). Entrambi però costituiscono generazioni di caccia ampiamente superate: il J-6 è stato ritirato già da tempo dal servizio mentre i J-7 sono stati ufficialmente radiati alla fine del 2023, sostituiti da caccia moderni come il J-10, il J-16 e il J-20 di quinta generazione.
Tuttavia, invece di rottamare centinaia di cellule ancora disponibili, la Cina ha scelto una strada alternativa: riconvertirle in droni.
Un’ulteriore conferma pubblica è arrivata in occasione del recente Changchun Air Show del 2025, dove è stato esposto per la prima volta un J-6W, versione drone del vecchio caccia supersonico. Le immagini mostrano la rimozione del seggiolino eiettabile, modifiche alla cabina e una targa identificativa con la nuova designazione.
Stessa sorte per i J-7; Analisi Difesa ha sottolineato a suo tempo come la dismissione del MiG-21 cinese, iniziata nel 2018, abbia lasciato in servizio circa 300 esemplari fino al 2023. Anche questi caccia sono destinati a diventare droni con missioni simili a quelle assegnate al J-6W: esche, saturazione delle difese aeree, ricognizione o attacco in scenari ad alto rischio.
Si tratta di velivoli che mantengono da 7 a 10 punti d’attacco e potrebbero impiegare più che armamento aria-aria, bombe a caduta libera o razzi non guidati. Uno studio del Mitchell Institute for Aerospace Studies citato dal portale The Aviationist ritiene che solo nella base di Lushan, tra il 2018 e il 2022, siano stati parcheggiati e probabilmente convertiti in droni centinaia di J-6 e J-7.
A inizio 2022 il totale dei J-6W già pronti poteva avvicinarsi alle 580 unità. Al contempo, diverse basi nello Stretto di Taiwan (Fujian e Guangdong) sono state individuate con rifugi rinforzati, depositi e infrastrutture adatte a sostenere operazioni con sciami di droni.
La logica alla base della conversione è chiara: economicità rispetto alla costruzione di UAV/UCAV avanzati di ultima generazione, sfruttamento di un notevole numero di cellule esistenti ancora in buone condizioni e non ultimo capacità di effettuare missioni a rischio elevato quali saturazione aerea, attacco a bassa probabilità di sopravvivenza, etc. (sulla falsariga di quanto accaduto nell’ultima guerra tra Azerbaigian e Armenia).
Inoltre questi velivoli rappresentano una soluzione intermedia di transizione: realizzare un sistema ampiamente collaudato di programmi operativi di volo al fine di rendere più agevole l’accesso ai moderni droni cinesi (come il futuro GJ-11) per missioni di alto valore.
Non ultimo, in un ipotetico binomio vetusto-moderno, i vecchi caccia J-6W e J-7W UCAV risulterebbero bersagli sacrificabili in gran quantità per saturare e logorare le difese avversarie e creare a quel punto un contesto favorevole per l’impiego degli stessi droni stealth avanzati come il GJ-11 “Sharp Sword” o dei caccia di quinta generazione Chengdu J-20 e Shenyang J-35.
In conclusione ciò che era stato progettato come caccia di prima linea negli anni ’60 e ’70 oggi rientra in servizio sotto nuova veste, in un ruolo certo di “pedina sacrificabile” ma pur sempre operativo.
La Cina dimostra così una strategia su due livelli differenti ma complementari: quantità e saturazione da un lato ma al contempo qualità e tecnologia stealth dall’altro. Una combinazione che, nel caso di un conflitto (ad esempio nello Stretto di Taiwan), potrebbe complicare non poco la vita alle difese aeree avversarie.
Foto PLAAF
Maurizio SparacinoVedi tutti gli articoli
Nato a Catania nel 1978 e laureato all'Università di Parma in Scienze della Comunicazione, ha collaborato dal 1998 con Rivista Aeronautica e occasionalmente con JP4 e Aerei nella Storia. Dal 2003 collabora con Analisi Difesa occupandosi di aeronautica e industria aerospaziale. Nel 2013 è ospite dell'Istituto Italiano di Cultura a Mosca per discutere la propria tesi di laurea dedicata a Roberto Bartini e per argomentare il libro di Giuseppe Ciampaglia che dalla stessa tesi trae numerosi spunti. Dall'aprile 2016 cura il canale Telegram "Aviazione russa - Analisi Difesa" integrando le notizie del sito con informazioni esclusive e contenuti extra provenienti dalla Russia e da altri paesi.