Siamo qui per difendere la democrazia, non per applicarla

“Siamo qui per difendere la democrazia, non per applicarla”, ricordava il captain Franklin “Frank” Ramsey, (interpretato dal grande attore statunitense Gene Hackman) del sottomarino nucleare lanciamissili balistici USS Alabama al suo vice, il lieutenant commander Ronald “Ron” Hunter (Denzel Washington) nel film “Allarme rosso” (Crimson Tide) diretto da Tony Scott nel 1995 (nella foto sotto).
Una frase tratta da un vecchio film statunitense ma che ben si adatta alla tendenza che si sta consolidando in Europa.
Dopo le elezioni rumene annullate per non far vincere Calin Georgescu, dopo la sentenza che ha reso incandidabile in Francia all’Eliseo Marine Le Pen e dopo i moniti dell’allora commissario europeo, il francese Thierry Breton, che aveva definito la UE pronta ad annullare il voto in Germania del febbraio scorso in caso di “ingerenze russe” (cioè se le avesse vinte AfD), tocca ora alla Repubblica Ceca sperimentare il sincero spirito democratico che alberga nei cuori di molti leader europei.
Come ha ricordato un recente articolo di Politico.eu dal titolo “Babiš è sulla buona strada per tornare primo ministro ceco. Il presidente può dire no”, nelle prossime elezioni in Repubblica Ceca il candidato largamente favorito per ricevere l’incarico di primo ministro è il sovranista Andrj Babis, pronto a spodestare il premier attuale Petr Fiala, sempre più impopolare per le politiche filo-ucraine/UE/NATO e anti-russe.
Babiš, definito “populista” anche dal giornale on line statunitense, è già stato premier in Repubblica Ceca tra il 2017 e il 2021 ed è il grande favorito per la vittoria alle elezioni generali ceche del 3 e 4 ottobre ma, come scrive Politico, “non scommettete ancora sul suo ritorno come primo ministro. Il suo avversario politico, il presidente Petr Pavel, ha un’opzione costituzionale: non nominare Babiš alla carica di primo ministro, anche se dovesse vincere le elezioni”.
Curiosa la definizione del presidente Pavel, che dovrebbe essere super partes e garante della Costituzione e dei diritti civili e politici ma viene definito dal giornale come “avversario” di Babiš, ruolo che spetterebbe semmai a Fiala e ai leader dei partiti della coalizione che governano oggi a Praga.
“Per l’ex generale dell’esercito Pavel (nella foto sotto), ci sono due grossi problemi con il 71enne agitatore che potrebbero escluderlo: una potenziale condanna per il suo gigantesco impero agricolo e l’ambiguo rapporto del magnate con la NATO. Pavel afferma di stare consultando gli avvocati sulla questione se bloccare o meno Babiš”.
Il leader “populista”, più volte definito dai suoi oppositori “il Berlusconi ceco”, ha quindi anche il grave difetto di aver un “rapporto ambiguo con la NATO”, reato che però non sembra essere previsto dal codice penale ceco. A dire il vero il presidente statunitense Donald Trump ha un rapporto molto più ambiguo di quello di Babiš con la NATO.
Politico.eu riconosce che “il dibattito sull’idoneità di Babiš alla carica rivela in modo lampante l’imminente grattacapo strategico che potrebbe rappresentare per l’UE e la NATO se vincesse e si alleasse con altri populisti centroeuropei – Viktor Orbán in Ungheria e Robert Fico in Slovacchia – per opporsi al sostegno occidentale all’Ucraina”.
Non spiega però da quando il sostegno a Kiev o alla NATO è diventato un requisito per essere legittimati a governare una nazione della UE. In base a quale legge, norma o regola si può (continuare a) sovvertire il voto popolare o a pianificare di farlo?
Thierry Breton (nella foto sotto) avrebbe la risposta pronta se fosse ancora commissario Ue, incarico a cui ha rinunciato preferendo sedere nel Comitato consultivo di Bank of America.
Babiš è in attesa di una sentenza del tribunale distrettuale di Praga che stabilisca se abbia frodato l’UE per 2 milioni di euro affinché il suo grande impero commerciale Agrofert potesse ricevere sussidi destinati alle medie imprese.
Il caso si incentra sulla questione se l’azienda agricola “Nido della Cicogna” sia stata scorporata da Agrofert per farla apparire come un’azienda più piccola e indipendente. A meno che non vengano trovate nuove prove, il tribunale è obbligato a seguire l’esempio dell’Alta Corte di Praga, che a giugno ha annullato una precedente sentenza che scagionava Babiš da ogni illecito.
A giugno, quando a Pavel è stato chiesto se avrebbe nominato Babiš, ha risposto che sperava che ci sarebbe stata chiarezza giuridica sul caso del “Nido della cicogna” entro le elezioni, affermando che avrebbe “dovuto aspettare per scoprire come si concluderà il caso giudiziario”.
Anche Pavel, come il comandante Ramsay (che però comandava un sottomarino, non era presidente della repubblica) ha il compito di difendere la democrazia fino al punto ma non di applicarla?
L’ipotesi più probabile, a giudicare da quanto sta emergendo, è infatti che anche in Repubblica Ceca i vertici istituzionali cerchino appigli legali per confutare e annullare l’esito del voto popolare qualora risultasse sgradito agli apparati UE/NATO.
Parlando oggi all’Università di Harvard, Pavel ha dichiarato che sarebbe irresponsabile da parte sua dire che non c’è il pericolo di una “svolta populista” in Repubblica Ceca, perché “molto probabilmente avremo un governo diverso” dopo il voto”.
Il partito più forte nei sondaggi è “il movimento populista più o meno centrista di Andrej Babis”, ha affermato il capo dello Stato menzionando il partito Ano, come ha riportato l’Agenzia Nova.
Babis “non è contro l’UE o la NATO e capisce che l’unica strada per garantire la nostra sicurezza e prosperità è all’interno di queste organizzazioni”, ha precisato Pavel.
Poiché però le formazioni che compongono l’attuale maggioranza a Praga non hanno espresso la volontà di formare un governo con Babis, “restano i partiti che sono apertamente estremisti o quasi. Uno di questi ha riferito di volere un referendum sull’appartenenza alla NATO e all’UE.
Se entrano nell’esecutivo, è possibile che vedremo il corso attuale cambiare”, ha sostenuto Pavel riferendosi alla proposta del partito Libertà e Democrazia diretta.
“Spero che la gente capisca qual’è la posta in gioco. Non possiamo permetterci esperimenti e di mettere a rischio la nostra sicurezza con un referendum che potrebbe finire come quello della Brexit”, ha messo in guardia Pavel confermando d essere davvero avversario di Babis ma anche di tenere e disprezzare il voto popolare, da Londra a Praga, se a lui non gradito.
“Non possiamo sostenere qualcuno che è associato a Viktor Orban o al Partito della libertà austriaco a livello europeo. Non è una politica nell’interesse della Repubblica Ceca”, ha affermato l’attuale premier Petr Fiala.
Nulla di nuovo, basti pensare che la UE da anni esprime preoccupazione per possibili “svolte populiste” ogni volta che una nazione europea va al voto.
Del resto il presidente Pavel, già generale (nella foto a sinistra) capo di stato maggiore delle forze armate ceche e poi presidente del Comitato Militare della NATO, ha le idee chiare anche sulla deterrenza da esprimere nei confronti degli sconfinamenti (per ora solo supposti) di aerei e droni russi.
“Dobbiamo rispondere in modo appropriato, anche abbattendo eventualmente gli aerei russi così il Cremlino si renderà conto molto rapidamente di aver commesso un errore e di aver oltrepassato i limiti dell’accettabilità”.
Affermazione curiosa se si considera che nessun velivolo russo o ipoteticamente russo è sconfinato in Repubblica Ceca. Quindi quando dice “dobbiamo” a chi si riferisce esattamente il presidente ceco? Per essere chiari, chi dovrebbe a suo avviso attuare un atto di guerra contro la Russia?
Foto: NATO, Unione Europea, Casa Bianca, IDNES.cz e Andrj Babis/ X

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.