Netanyahu contro l’Occidente: il peso geopolitico di un discorso carico di rancore

 

L’intervento di Benjamin Netanyahu all’80ª Assemblea Generale dell’ONU è stato uno degli episodi più rivelatori del momento che attraversa Israele. La sala quasi vuota, con molti delegati che hanno lasciato l’aula prima che iniziasse a parlare, ha reso visibile l’isolamento internazionale di un Paese che fino a pochi anni fa era protetto da un’alleanza compatta con l’Occidente. Netanyahu, in tono di sfida, ha accusato Francia, Regno Unito, Australia, Canada e altri Paesi di aver ceduto alla “pressione di media di parte, circoscrizioni islamiste radicali e folle antisemite”.

Ma quel discorso, rivolto più al pubblico interno israeliano che alla platea internazionale, ha mostrato un premier arroccato, costretto a difendere la legittimità di una guerra che molti nel mondo considerano sproporzionata.

 

Lo Stato palestinese come frattura nell’Occidente

La decisione di diversi Stati occidentali di riconoscere ufficialmente la Palestina – mossa che fino a pochi anni fa sembrava impensabile – segna una crepa nella tradizionale coesione euro-atlantica su Israele. La scelta della Slovenia, che ha imposto anche un divieto di viaggio a Netanyahu e un embargo sulle armi, è l’emblema di un’Europa divisa: alcuni Paesi restano allineati a Washington e Tel Aviv, altri chiedono un riequilibrio politico e il rispetto delle risoluzioni ONU.

Questo cambiamento riflette non solo considerazioni etiche ma anche l’evidenza geopolitica che l’occupazione dei territori palestinesi e l’assedio a Gaza sono diventati fattori di instabilità per l’intero Mediterraneo.

La guerra a Gaza e l’impasse diplomatica

Netanyahu ha ribadito che Israele “finirà il lavoro a Gaza”, cioè l’annientamento di Hamas. Ha respinto le accuse di genocidio, affermando che il suo governo fa “di tutto per limitare le vittime civili”, ma le immagini di un anno di bombardamenti hanno indebolito questa narrativa.

Il premier israeliano ha persino ordinato l’installazione di altoparlanti al confine con Gaza per rivolgersi agli ostaggi, un gesto che ha avuto più il sapore di un’operazione simbolica che di un passo concreto verso la loro liberazione. Nel frattempo, Donald Trump – che pure difende Israele sul piano militare – ha avvertito che non permetterà l’annessione della Cisgiordania e ha lasciato intendere che un accordo di cessate il fuoco sarebbe “vicino”, senza tuttavia offrire dettagli. Un segnale che anche Washington vuole chiudere un conflitto che brucia credibilità all’alleato israeliano e consenso internazionale agli USA stessi.

Israele davanti al rischio di delegittimazione

La decisione della Corte penale internazionale di incriminare Netanyahu per crimini di guerra e il divieto di viaggio imposto da un Paese dell’UE come la Slovenia evidenziano una frattura giuridica oltre che politica: Israele rischia di essere sempre più percepito come uno Stato che rifiuta le regole internazionali.

Ciò indebolisce la sua capacità di deterrenza, che non è solo militare ma anche diplomatica ed economica. La campagna militare a Gaza, condotta con un alto costo umano, ha aggravato la frattura con l’opinione pubblica mondiale, generando pressioni anche sui governi tradizionalmente amici di Israele.

 

Il nodo strategico

Quello che emerge dal discorso di Netanyahu è l’assenza di un vero piano politico per il “dopo Hamas”. La promessa di distruggerne la leadership non risponde alla questione del futuro di Gaza, né a quella dei rapporti con un’Autorità Palestinese indebolita e con Stati arabi che osservano con crescente diffidenza.

La strategia israeliana resta centrata sulla forza militare, ma il logoramento diplomatico e il rischio di sanzioni future mostrano che il conflitto non si vince solo con i bombardamenti.

Foto: Governo Israeliano

 

Giuseppe GaglianoVedi tutti gli articoli

Nel 2011 ha fondato il Network internazionale Cestudec (Centro studi strategici Carlo de Cristoforis) con sede a Como, con la finalità di studiare in una ottica realistica le dinamiche conflittuali delle relazioni internazionali ponendo l'enfasi sulla dimensione della intelligence e della geopolitica alla luce delle riflessioni di Christian Harbulot fondatore e direttore della Scuola di guerra economica (Ege). Gagliano ha pubblicato quattro saggi in francese sulla guerra economica e dieci saggi in italiano sulla geopolitica.

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