Sicurezza in Europa: NATO e UE sono ormai parte del problema

Zero pragmatismo, tanta ideologia, un pizzico abbondante di isteria e l’ormai consueto eccesso di aria fritta. E’ imbarazzante valutare le recenti esternazioni provenienti dal Parlamento Europeo e dal vertice politico della NATO, soprattutto per chi appartiene a una generazione cresciuta considerando questi due organismi sovranazionali i baluardi della nostra sicurezza e libertà.
Con una risoluzione approvata ieri dal Parlamento Europeo, gli eurodeputati hanno a larga maggioranza condannato fermamente le “azioni sconsiderate e inasprite” della Russia, consistenti nella violazione dello spazio aereo degli Stati membri dell’UE e della NATO, Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania e Romania.
Denunciano inoltre le incursioni deliberate di droni contro infrastrutture critiche in Danimarca, Svezia e Norvegia. Queste, affermano i deputati, fanno parte della “sistematica guerra militare e ibrida e delle provocazioni contro l’UE” e i suoi Stati membri. La Russia ha la piena e inequivocabile responsabilità delle azioni negli spazi aerei polacco, estone e rumeno.
Di fatto con 469 voti favorevoli, 97 contrari e 38 astensioni, il Parlamento Europeo ha accusato la Russia di violazioni che non è mai stata in grado di provare o che sono state involontarie, come i droni caduti oltre il confine rumeno ma che erano diretti contro obiettivi ucraini.
I droni esca Gerbera ritrovati nei campi e sui tetti di una coniglieria in Polonia rabberciati con il nastro isolante appaiono il frutto di un’operazione sotto falsa bandiera messa a punto dagli ucraini, probabilmente in accordo col governo di Varsavia, impegnato in tutti i modi insieme a baltici e nordici a mobilitare tutta Europa per l’inevitabile confronto armato con Mosca.
Se così non fosse Varsavia avrebbe accettato la cooperazione offerta dai russi per un’inchiesta congiunta utile a chiarire le circostanze, invece di rifiutarla. Le violazioni effettuate dai velivoli da combattimento e dagli aerei spia russi nei cieli di Estonia, Lettonia e Lituania non sono state dimostrate o, nel caso dell’Estonia, sono state marginali e dovute alla stretta aerovia che i russi possono percorrere sul Mar Baltico stretto dagli spazi aerei di nazioni aderenti alla NATO.
Nulla di “brutale” come aveva fatto sapere il governo estone spacciando il volo dei russi sul mare come una incursione sul territorio continentale. Ma soprattutto si è fatto un grande allarmismo per “violazioni” marginali, che avvengono regolarmente fin dagli anni ’50 e che effettuano anche i velivoli delle nazioni aderenti alla NATO, in più occasioni scortati dai caccia russi quando bordeggiano lo spazio aereo russo nel Baltico, nel Mare di Barents o e nel Mar Nero.
Se, come dicono diversi esponenti di alcuni governi europei, vogliamo evitare l’escalation, che senso ha ingigantire episodi che non costituiscono una reale minaccia. Come abbiamo illustrato su Analisi Difesa, i baltici hanno tutto l’interesse a denunciare drammatizzare le violazioni aeree russe ma solo perché sperano così di convincere Washington a non sospendere i finanziamenti militari previsti dalla Baltic Security Initiative che Trump e Pete Hegseth vogliono chiudere.
I droni fantasma’
Il Parlamento europeo, come diversi governi del Nord Europa, non ha perso l’occasione per denunciare “le incursioni deliberate di droni contro infrastrutture critiche in Danimarca, Svezia e Norvegia”.
Di quei droni tutti hanno parlato ma nessuno li ha visti. I danesi dicono che avevano le luci di posizione accesa, non proprio il massimo dell’occultamento per una missione segreta russa in profondità sul territorio della NATO.
Peraltro, tutti gli esperti (tutti putiniani di ferro?) hanno espresso la valutazione che si trattasse di droni a limitata autonomia, decollati da pochi chilometri di distanza dai luoghi dove sono stati avvistati. Quindi non sono decollati dalla Russia, non sono velivoli russi (o almeno nessuno lo ha dimostrato) né sono stati arrestati cittadini russi per questi eventi.
Eppure molti europarlamentari non hanno dubbi.
Verrebbe poi da chiedersi come mai nessuno di questi droni è stato seguito fino all’atterraggio o abbattuto. Certo tutto questo allarmismo porterà acqua al mulino di chi vuole “un muro di droni“ e di sistemi antidrone a difesa del Fianco Est dell’Europa, poiché il dibattito che si è aperto evidenzia che non si possono abbattere droni da poche migliaia di euro utilizzando costosissimi aerei da combattimento e missili aria-aria (che poi rischiano di colpire il tetto di una casa in Polonia).
In realtà basterebbero un po’ di memoria e di buona fede (ma sarebbe anche sufficiente chiedere ai militari) per scoprire che gli ucraini abbattono i droni anche impiegando economici aerei da addestramento o da trasporto leggero o persino aerei per le irrorazioni agricole utilizzando anche mitragliatrici e fucili di precisione. Lo fanno anche i russi con gli addestratori basici Yak-52B2.
Basterebbero meno isteria e più pragmatismo. Mentre la Germania valuta di autorizzare la polizia ad abbattere i droni, l’Aeronautica Militare Italiana già dopo i fatti dfell’11 settembre 2001 aveva adibito addestratori MB-339 ed elicotteri al contrasto agli “slow movers” tra i quali potremmo oggi inserire anche la gran parte dei droni che stanno invadendo l’Europa.
Abbatteteli!
La maggioranza degli europarlamentari sostiene che l’UE e gli Stati membri debbano intraprendere “azioni coordinate, unitarie e proporzionate contro tutte le violazioni del loro spazio aereo, incluso l’abbattimento delle minacce aeree”.
Un obiettivo che può perseguire solo chi auspica un’escalation “cinetica” del confronto con la Russia.
Sarebbe utile sapere quanto onorevoli europarlamentari hanno memoria e consapevolezza delle tensioni suscitate nel novembre 2015 dall’abbattimento di un Su-24 russo nel nord della Siria ad opera di un F-16 turco dopo che Ankara aveva denunciato una violazione del suo spazio areo per 17 secondi. La Turchia sperava forse, ma non ci riuscì, di suscitare una risposta russa così da coinvolgere la NATO nel conflitto siriano.
O dei rischi di escalation tra NATO e URSS innescati dall’abbattimento di un aereo spia statunitense Lockheed U-2, colpito il 1* maggio 1960 da un missile terra-aria sovietico nei pressi della città sovietica di Ekaterinenburg (all’epoca Sverdlovsk) mentre sorvolava da sud a nord tutto il territorio dell’URSS.
Indipendentemente che si abbattano oggi aerei russi, di nazioni aderenti alla NATO, o di entrambi gli schieramenti, gli europarlamentari e molti governanti europei sono davvero convinti sia una buona idea andare a caccia di guai nei cieli con la Russia?
La domanda va posta tenendo conto non solo dei rischi di escalation ma anche di un recente rapporto dell’Institut Français des Relations Internationales (IFRI) che evidenziò lo scorso febbraio che le forze aeree francesi (certo tra le meglio equipaggiate d’Europa) hanno scorte di missili aria-aria e aria-terra drammaticamente basse.
I Rafale sarebbero in grado di combattere a pieno regime per soli tre giorni, prima di ritrovarsi a corto di missili. Per alcune munizioni, come i missili aria-aria a lungo raggio Meteor, l’autonomia si ridurrebbe addirittura a un solo giorno di operazioni ad alta intensità. Le altre forze aeree europee sono in condizioni molto diverse?
Un ulteriore elemento che dovrebbe consigliare tutti a non cercare escalation aeree o militari con la Russia.
Terrorismo di Stato
Invece i nostri valorosi 469 eurodeputati hanno affermato ieri nella risoluzione parlamentare di ritenere che la gamma di attività di sabotaggio e di guerra ibrida condotte dalla Russia contro l’UE equivalga a “un terrorismo di Stato, pur non raggiungendo la soglia dell’attacco armato”.
Eppure per gli ultimi attacchi “ibridi” nel Nord Europa sono stati arrestati un britannico e tre tedeschi: nessun russo a quanto risulta.
Effettivamente, dall’inizio dell’attacco russo all’Ucraina, un clamoroso caso di terrorismo di Stato si è verificato ma si tratta della distruzione dei gasdotti Nord Stream nel Mar Baltico.
Possiamo tranquillamente definirlo il più grave attacco alla sicurezza della Germania (e dell’intera Europa) dalla fine della Seconda guerra mondiale e anche se per alcuni mesi la nostra propaganda e disinformazione lo ha attribuito alla Russia, tutte le indagini sembrano confermare che a compierlo siano stati gli ucraini con forti complicità in Polonia.
La complessità di quell’atto terroristico e diversi indizi e inchieste porterebbero a considerare un ruolo attivo di Stati Uniti e Gran Bretagna ma, dopo tre anni, gli inquirenti tedeschi ritengono che i responsabili siano ucraini mentre le indagini danesi e svedesi sono state stranamente chiuse, cosa che non sarebbe certo accaduta se ci fosse stata l’opportunità di incolpare Mosca.
Il 7 ottobre però il primo ministro polacco Donald Tusk ha dichiarato in una conferenza stampa che non è nell’interesse della Polonia consegnare un cittadino ucraino ricercato dalla Germania per sospetto coinvolgimento nelle esplosioni che hanno danneggiato i gasdotti Nord Stream.
“Il problema dell’Europa, il problema dell’Ucraina, il problema della Lituania e della Polonia non è che il Nord Stream 2 sia stato fatto saltare in aria, ma che sia stato costruito. Non è certamente nell’interesse della Polonia consegnare questo cittadino a un paese straniero”.
Meglio forse guardarsi da alleati così invece di cercare rogne con i russi. Meglio soprattutto guardarsi dalla leadership sostanziale esercitata sull’Europa da baltici e scandinavi, tema sollevato recentemente dall’ex cancelliere Angela Merkel.
E a proposito di “terrorismo di Stato” qualcuno ricorda che gli Stati Uniti invasero l’Afghanistan nell’ottobre 2001 perché i Talebani si rifiutavano di consegnare a Washington Osama bin Laden, ricercato per gli attacchi dell’11/9?
Sanzioni, sanzioni, sanzioni
In attesa che una “Coalizione di volenterosi” sanzioni e poi invada l’Ucraina accusandola di terrorismo e la Polonia per il sostegno offerto al terrorismo, il Parlamento Europeo ieri è riuscito a chiedere a Consiglio e Commissione di aumentare l’efficacia e l’impatto delle sanzioni contro la Russia, per indebolire definitivamente la capacità del Paese di continuare a condurre la sua brutale guerra di aggressione contro l’Ucraina.
Dichiarazione che ricorda quella di Mario Draghi che tre anni or sono ci assicurava che le nostre sanzioni stavano mettendo in ginocchio la macchina bellica e l’economia russa.
Gli euro-onorevoli hanno aggiunto che le misure punitive dovrebbero estendersi a tutti gli Stati che consentono le azioni della Russia, come Bielorussia, Iran, Corea del Nord e “le entità cinesi” che forniscono beni a duplice uso e materiali militari, essenziali per la produzione di droni e missili.
Abbiamo davvero interesse ad allargare la lista dei “nemici” anche alla Cina come stanno facendo da un paio d’anni la UE (vedi dichiarazioni di Ursula von der Leyen e Kaja Kallas) e la NATO?
In base allo stesso principio dovremmo chiederci cosa accadrebbe se tutte le nazioni che mantengono rapporti commerciali, politici, energetici con la Russia decidessero di sanzionare l’Europa perché sostiene l’Ucraina (o Israele).
Chiaramente non possiamo dimenticarci che ”l’Europa è un giardino e fuori c’è la giungla”, come sosteneva Josep Borrell quando ricopriva l’incarico di Alto commissario per la politica estera e di sicurezza della UE, ma qualcuno si è accorto che il giardino contiene sempre meno rose e crescenti quantità di concime?
Rutte a Roma
Anche la NATO, almeno nella sua alta componente politica, non brilla per realismo e oggettività. Mark Rutte, degno erede del suo predecessore Jens Stoltenberg, è venuto a Roma nei giorni scorsi per ricordarci che “Vladimir Putin è la principale minaccia di lungo periodo”.
Rutte ha spiegato in un’intervista al TG1 RAI che “siamo tutti in pericolo. I più avanzati missili russi potrebbero colpire Roma, Amsterdam o Londra a cinque volte la velocità del suono. Non possono essere intercettati con i nostri sistemi anti-missile tradizionali. Perciò sono un gravissimo pericolo. Significa che siamo tutti sul fronte orientale, non solo l’Estonia, la Polonia o la Romania, ma anche l’Italia.
Dobbiamo stare estremamente attenti con Putin. È già il nostro principale avversario, la principale minaccia nel lungo periodo, ma dal punto dell’incremento delle sue capacità militari potrebbe effettivamente rappresentare una minaccia credibile contro la NATO, come hanno sottolineato alcuni colleghi europei“, ha aggiunto.
Non c’è dubbio che i missili ipersonici Kinzhal non siano intercettabili da nessun sistema di difesa aerea. Strano però che nessuna fonte della NATO abbia mai smentito la propaganda ucraina che vantava fantastici abbattimenti di Kinzhal con i missili Patriot e persino con gli F-16.
E’ altrettanto indubbio che l’Europa abbia scarse capacità di difesa dai missili balistici. anche non ipersonici, e una quantità limitata di missili per la difesa aerea. Questo ci espone l’attacco di ogni nazione che possieda armi del genere con un’autonomia sufficiente a raggiungerci, non solo a un attacco russo.
Questo però non significa che siamo tutti sul fronte orientale ma, al contrario, che dovremmo puntare a dotarci di sistemi di difesa adeguati, che oggi non siamo in grado di sostenere una guerra e che dovremmo cercare accordi invece di puntare all’escalation.
Del resto non esistono o non sono stati resi noti studi militari che indichino piani russi per colpire o invadere l’Europa a parte le solite isteriche e non disinteressate dichiarazioni di ministri, premier, leader politici e qualche generale che ipotizzano un attacco russo tra sue, tre, quattro o cinque anni. In base a quali oggettive considerazioni? Non è dato saperlo.
Il buon senso e qualche valutazione strettamente militare sull’impegno militare russo in Ucraina (oltre 700 mila militari) induce a ritenere che Mosca sia già abbastanza indaffarata in una guerra di logoramento contro Kiev da non avere alcun interesse ad aprire un secondo fronte, per giunta contro la NATO.
Semmai è vero il contrario: è l’Occidente che da tre anni cerca di far aprire un secondo fronte contro la Russia mobilitando la Moldavia (ex repubblica sovietica dove vengono messi fuori legge partiti perché “filo-russi”) o destabilizzando la Georgia.
Del resto già nel 2008 la NATO aveva annunciato al Vertice di Bucarest di voler accogliere Ucraina e Georgia nell’alleanza e non certo con l’obiettivo di rafforzare la sicurezza della Russia.
A ben guardare oggi la NATO lancia l’allarme per la minaccia russa esattamente come i leader di Mosca ripetono ormai ogni giorno che la NATO minaccia la Federazione Russa. Con una differenza però: nessuna arma russa ha mai colpito il territorio europeo o nazioni della NATO, mentre molte armi e munizioni fornite dalle nazioni aderenti all’Alleanza Atlantica hanno colpito il territorio russo.
E’ vero che finora i missili da crociera Storm Shadow e SCALP e i missili balistici ATACMS forniti da Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti hanno avuto un impiego limitato a colpire le forze russe nell’Ucraina occupata e che gli attacchi in profondità sul territorio russo vengono effettuati con droni costruiti in Ucraina.
Ma negli attacchi alle regioni russe di Kursk e Belgorod gli ucraini hanno impiegato moltissime armi, mezzi e munizioni fornite dai Paesi della NATO, inclusi i razzi degli HIMARS e i missili da difesa aerea.
Vale inoltre la pena ricordare anche i tanti combattenti di nazioni della NATO che hanno operato a Kursk indossando l’uniforme ucraina, come mostrato da diversi video. Ufficialmente volontari della Legione Internazionale, ma tutti chiaramente militari o ex militari occidentali.
Foto: Parlamento Europeo, Forze Aeree Olandesi, NATO, Ministero Difesa Russo, PAP, RCVoenkor

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.