Strane coincidenze e pericolosi “alleati” minacciano l’Europa

(aggiornato alle ore 11,25)
Mentre si rafforzano le sanzioni di Stati Uniti e Unione Europea contro le società energetiche russe, strani incidenti hanno colpito in rapida sequenza tre raffinerie in Europa Orientale che raffinano ancora gas russo.
La sera del 20 ottobre si sono verificate esplosioni nella raffineria di Ploiesti, in Romania, di proprietà della filiale locale della compagnia petrolifera russa Lukoil. Si registrano un operaio ferito e danni alle strutture produttive.

Poche ore dopo un incendio è divampato nella raffineria ungherese di petrolio a Szazhalombatta (nella foto d’apertura) , sul Danubio a meno di 20 chilometri da Budapest. La società energetica ungherese MOL sta indagando sulle cause dell’incendio.
“La fornitura di carburanti all’Ungheria è sicura. Indagheremo le circostanze dell’incendio quanto più rigorosamente possibile“, ha dichiarato il capo del governo, Viktor Orban. L’analista di Erste Investment Tamas Pletser ha riferito che, sulla base delle riprese dell’incendio, il 40 per cento della capacità di raffinazione del sito potrebbe restare indisponibile per mesi. L’impianto in cui è scoppiato l’incendio ha una capacità di raffinazione annua di tre milioni di tonnellate ed è il più grande dei tre presenti nel sito di raffinazione.
Infine (per ora) il 22 ottobre un incendio è divampato in una raffineria di Bratislava (Slovacchia) dove viene lavorato il petrolio proveniente dall’oleodotto Druzhba che trasporta greggio russo in Europa attraverso l’Ucraina.

Le tre raffinerie hanno in comune che raffinano petrolio di fornitura russa e, ulteriore coincidenza, hanno registrato incidenti (o subito attacchi) in una fase in cui i droni ucraini colpiscono raffinerie in Russia.
Per chi crede alle coincidenze questi incidenti si sono registrati in rapida sequenza nei giorni in cui l’Unione Europea ha deciso la rinuncia totale e definitiva all’energia di fonte russa e imposto nuove sanzioni alle società energetiche russe.
Sanzioni annunciate ieri anche dagli Stati Uniti che hanno avuto l’immediato effetto di innalzare i costi del greggio sui mercati internazionali vicino a 62 dollari al barile.
Sempre a favore di quanti ritengono credibile una concatenazione di coincidenze, vale la pena sottolineare che, benché Donald Trump abbia sempre sostenuto pubblicamente la necessità di abbassare i costi energetici, in realtà sotto i 60/65 dollari/barile le costose estrazioni statunitensi effettuate con la fratturazione idraulica (fracking) non sono più convenienti.

Secondo Bloomberg, che definisce la decisione di applicare queste sanzioni “rischiosa”, l’Amministrazione Biden aveva preso in considerazione una simile iniziativa ma vi aveva rinunciato temendo la destabilizzazione del mercato globale.
Thomas Graham, esperto del Council on Foreign Relations, ritiene che sia improbabile che le misure portino a cambiamenti nella politica del Cremlino. “Se la Casa Bianca pensa che questo cambierà radicalmente il comportamento di Putin, si sta ingannando. Le sanzioni funzionano lentamente e il Cremlino è bravo ad aggirarle”, ha affermato.
Per gli europei, che il petrolio non lo estraggono ma lo importano, l’aumento delle quotazioni del greggio costituirà l’ennesima mazzata che penalizzerà la nostra economia e favorirà la de-industrializzazione già in atto.
Non a caso, rialzi nel prezzo del carburante vengono già da oggi rilevati anche in Italia.
Tornando agli strani incidenti a catena alle raffinerie slovacche, rumene e ungheresi che ancora osano raffinare greggio russo, occorre chiedersi se non stia prendendo piede quella che potremmo definire la “Dottrina Tusk-Sikorski”, dal nome del primo ministro e del ministro degli Esteri polacchi che hanno di fatto sdoganato la legittimità degli attacchi terroristici a infrastrutture che rappresentino anche indirettamente interessi russi in Europa.
Difendendo la distruzione dei gasdotti sottomarini Nord Stream al punto da celebrarli e dal negare l’estradizione in Germania dei cittadini ucraini indiziati come responsabili di quell’atto terroristico ai danni di Berlino e dell’intera Europa, il governo di Varsavia sembra infatti voler legittimare ulteriori attentati e sabotaggi effettuati dagli ucraini o da qualche alleato di Kiev contro infrastrutture in Europa che rappresentino interessi russi, oltre a quelli delle nazioni appartenenti a UE e NATO che non hanno ancora rinunciato alle forniture energetiche di Mosca.

Sono in tal senso esplicative le dichiarazioni di Donald Tusk (nella foto sopra): “Il problema con Nord Stream 2 non è che sia stato fatto saltare in aria. Il problema è che è stato costruito“ mentre l’estradizione in Germania del sospettato “non è nell’interesse della Polonia”.
Oppure le dichiarazioni di Radoslaw Sikorski, che nel settembre 2022 scrisse su X “Grazie Stati Uniti” dopo l’esplosione dei Nord Stream ma poi cancellò il tweet e che nei giorni scorsi ha pubblicamente incoraggiato gli ucraini a distruggere l’oleodotto Druzhba che trasporta il petrolio russo in Europa attraverso l’Ucraina.
Nell’acceso dibattito con l’esecutivo ungherese, Sikorski ha affermato che il suo governo “non può garantire che un tribunale polacco indipendente” non ordinerebbe l’arresto di Vladimir Putin se sorvolasse la Polonia per partecipare al vertice con Donald Trump a Budapest, poi per il momento annullato.
In risposta, il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó (nella foto sotto) ha chiesto sarcasticamente se si tratterebbe dello stesso tipo di “tribunale indipendente che, su ordine del primo ministro polacco Donald Tusk, ha rifiutato di estradare il terrorista che ha fatto esplodere il gasdotto Nord Stream”.

La replica di Sikorski è stata disarmante annunciando di essere “orgoglioso del tribunale polacco che ha stabilito che sabotare un invasore non è un crimine”.
Occorre fare attenzione perché “l’invasore” in questo caso ha invaso l’Ucraina, non la Polonia né l’Ungheria. Se l’astruso principio giuridico su cui sembra fondarsi la “Dottrina Tusk-Sikorski” si basa sulla legittimazione di azioni terroristiche contro invasori di altre nazioni, allora Varsavia sta legittimando il caos.
A proposito di estradizioni, ricordiamo che l’invasione dell’Afghanistan, iniziata il 7 ottobre 2001, venne giustificata dagli Stati Uniti e dai loro alleati con il rifiuto del governo talebano di Kabul di consegnare a Washington Osama bin Laden e l’intero staff di comando di al-Qaeda accusati di aver compiuto gli attentati dell’11/9.
In base ai leader polacchi sarebbe quindi legittimo colpire ovunque gli interessi di ogni nazione accusata da altre di aver invaso porzioni di territorio altrui?
Per estensione, la “Dottrina Tusk-Sikorski” rende quindi legittimo colpire anche Israele, Stati Uniti e quasi tutti gli stati membri della NATO, che sono stati tutti accusati da qualcuno di aver invaso o attaccato territori di altre nazioni. Forse a Varsavia l’hanno dimenticato ma truppe polacche hanno “invaso” qualche anno or sono Iraq e Afghanistan insieme agli anglo-americani e alla NATO?
Sarebbe quindi legittimo, per punire gli invasori, far esplodere il gasdotto che trasferisce in Polonia il gas norvegese, inaugurato nel Mar Baltico casualmente (quante coincidenze!) lo stesso 22 settembre 2022 in cui esplosero i Nord Stream?
Anche gli attentati islamici a Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna a partire dall’11 settembre 2001 sono da considerare giusti e legittimi poiché hanno fatto seguito alla presenza e alle invasioni delle truppe delle tre potenze occidentali in diverse nazioni arabe o islamiche?

Perché l’affermazione di principio espressa da Sikorski (nella foto sopra) “sabotare un invasore non è un crimine” non dovrebbe valere anche per Osama bin Laden e Abu Bakr al-Baghdadi, che muovevano guerra ai “crociati” (cioè i militari dell’Occidente) perché avevano invaso il suolo dell’Islam?
Per restare nel campo delle ipotesi messe a confronto con la “Dottrina Tusk-Sikorski”, se domani l’intera Libia fosse sotto l’influenza di Mosca (che già oggi si estende su gran parte della nostra ex colonia nei territori controllati dalle forze del generale Khalifa Haftar), l’Italia dovrebbe temere che polacchi, o ucraini con la “benedizione” polacca, facciano esplodere il gasdotto Green Stream che da Melitha convoglia in Sicilia il gas libico?
Per estensione tale dottrina potrebbe forse avere anche un valore preventivo, ad esempio legittimando attentati a infrastrutture o interessi cinesi perché Pechino minaccia di invadere Taiwan?
In fondo, vale la pena ricordarlo, sia il presidente Joe Biden sia il sottosegretario del Dipartimento di Stato Victoria Nuland avevano preannunciato la distruzione dei Nord Stream. Un pesante indizio di pianificazione di un atto terroristico di cui nessuno dei due ha mai dovuto rispondere.
Domande retoriche e paradossi a parte, affermazioni come quelle espresse dai leader di Varsavia sono pericolose perché alimentano, sostengono, giustificano e finanche beatificano il terrorismo, se di matrice ucraina o filo-ucraina, oltre a seminare discordie e divisioni in Europa.
Ma soprattutto sono pericolose perché, in prospettiva, anticipano le possibili azioni terroristiche che potrebbero colpire l’Europa, punita perché “colpevole” di non aver impedito la sconfitta di Kiev nella guerra con la Russia.
Anche se la Germania ha deciso di essere il miglior alleato e sponsor militare e finanziario di chi ha distrutto la sua sicurezza energetica (cioè del suo carnefice), è forse il caso di fare qualche valutazione circa gli “alleati” con cui abbiamo a che fare, pronti a sacrificare anche gli interessi altrui (inclusi i nostri) alla “guerra santa” contro i russi.
I quali oggi non sembrano essere certo gli unici “nemici” con cui dover fare i conti. A meno che non si voglia farci credere che gli incendi nelle tre raffinerie sono “coincidenze” volute da Mosca, a cui per mesi nell’autunno 2022 la nostra propaganda (anche in Italia) attribuì la responsabilità della distruzione dei gasdotti Nord Stream.
Foto: budapestkornyeke.hu, “The Politics of the Country”, Liber Tatea, X e Casa Bianca
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.








