Le trattative languono, la Ue si arena sui fondi di Mosca e i russi avanzano

Rimane molto scarsa la copertura mediatica di giornali e tv italiani circa le operazioni militari in Ucraina, dove il crescente successo russo non è solo dimostrato dal silenzio dei media e dalla caduta delle roccaforti di Pokrovsk e Kupyansk, ma anche dai dati diffusi da organizzazioni filo-ucraine come l’Istituto americano per lo studio della guerra (ISW), che riferisce come in novembre i russi abbiano conquistato 701 chilometri quadrati di territorio, il progresso mensile più consistente del 2025 ( nel novembre 2024 la superficie conquistata dalle truppe di Mosca fu di 725 chilometri quadrati, secondo la stessa fonte).
Alla fine di novembre gli uomini di Mosca occupavano il 19,3% del territorio ucraino. Circa il 7%, la Crimea e alcune zone del Donbass, erano già sotto il controllo di Mosca prima dell’inizio dell’invasione del febbraio 2022. Dall’inizio dell’anno, la Russia ha guadagnato quasi 5.400 chilometri quadrati di terreno in Ucraina, quasi 2.000 in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

I progressi meno rilevanti si sono registrati nella regione più contesa, quella di Donetsk, dove Mosca controlla l’81 per cento del territorio e ha guadagnato in novembre circa 130 chilometri quadrati contro i quasi 300 di ottobre.
La spiegazione è legata al fatto che a Donetsk la battaglia è stata concentrata intorno ai centri abitati adiacenti di Pokrovsk e Mirnograd, di fatto circondati da inizio novembre ma dove ancora oggi vi sono sacche di resistenza ucraine. Battaglie lunghe per conquistare importanti centri abitati dal valore strategico.

Il dibattito in corso tra gli annunci russi circa la caduta di Pokrovsk (e prima di Kupyansk) e le smentite ucraine lasciano il tempo che trovano e riguardano soprattutto la percezione dell’andamento della guerra che Kiev vuole imporre alla propria opinione pubblica e a quelle delle nazioni europee.
In termini militari sia Kupyansk che Pokrovsk avevano cessato di avere un valore per le forze di Kiev a inizio novembre quando i russi le avevano di fatto isolate. Da un mese quindi sacrificarvi inutilmente battaglioni è utile a Kiev solo ad affermare che in qualche quartiere vi sono ancora sacche di resistenza. Un significato politico e propagandistico, non certo militare.

A maggior ragione questa valutazione ha valore per Mirnograd, città profondamente incuneata nell’area circondata e occupata quasi completamente dai russi in cui la resistenza ucraina non costituisce un problema per le forze di Mosca che infatti hanno già cominciato a premere verso ovest da questo settore.
Il fronte di Donetsk
Il ministero della Difesa russo ha affermato il 2 dicembre che le sue forze hanno preso sotto il loro totale controllo la città di Pokrovsk, nella regione ucraina di Donetsk. “Le unità del Raggruppamento di Forze Centro hanno completato la liberazione della città di Krasnoarmeisk (Pokrovsk per gli ucraini)”, si legge in un comunicato del ministero.

Il comandante del Raggruppamento di Forze Centro, generale Valerij Solodchuk, aveva informato il presidente russo Vladimir Putin che la città era stata presa ed era in corso la ricerca e l’eliminazione di piccoli gruppi delle forze armate ucraine ancora presenti nell’abitato. Il 3 dicembre le autorità ucraine affermavano che combattimenti erano ancora in corso in città.
La battaglia dell’imbuto di Pokrovsk e Mirnograd ha oggi un valore solo simbolico poiché è stata perduta dagli ucraini almeno un mese or sono.

Blogger militari russi riferiscono che a Mirnograd gli scontri sono calati di intensità, i quartieri meridionali sono già stati sgomberati e solo il centro rimane sotto il controllo delle forze ucraine. L’esercito russo non sembra avere fretta di chiudere una partita senza storia, consapevole che alcune migliaia di ucraini sono circondati a corto di viveri e munizioni.
Oltre mille secondo una fonte militare ucraina citata da Bild. “La situazione, a dire il vero, è critica. La logistica viene gestita esclusivamente con droni e complessi robotici terrestri. Anche la consegna di cibo è problematica”, ha osservato uno dei soldati.

“Dobbiamo o evacuare il contingente da Mirnograd o garantire una logistica stabile. Fateci uscire di qui o prendetevi cura di noi! Altrimenti, i difensori della città rimarranno lì per sempre” ma da settimane la città è di fatto circondata e non vi sono vie di fuga, specie dopo la caduta di Pokrovsk, come ammette anche il Cansale Telegram ucraino DeepState.
I russi stanno del resto avanzando a ovest dell’imbuto, penetrando a Hryshine e più a nord lungo il bivio ferroviario a est di Dobropillya, nonostante alcuni contrattacchi ucraini a Rodynske che una fonte militare di Kiev ha definito di successo.
In tutta la regione di Donetsk le operazioni offensive russe continuano senza sosta. L’esercito di Mosca ha preso Dibrova e Ozyorny, avanzando tra Lyman, Yampol e Seversk minacciando la strada che unisce Lyman a Slovyansk, principale roccaforte ucraina nel Donbass.

Le forze russe sono già penetrate a Lyman da sud e da est e , più a sud, stanno prendendo d’assalto Seversk, da settimane circondata da tre lati

Le forze russe sono entrate prima a Seversk da sud, poi hanno preso le direzioni est, sud-est e nord-est, avanzando verso il centro di questa città chiave per la difesa del nemico, peraltro difesa da fortificazioni ben sviluppare, elemento che lascia qualche dubbio circa la capacità delle forze ucraine di resistere alla formidabile pressione militare russa.

Ancora più a sud si allarga la penetrazione russa nel centro abitato di Kostantynivka: di fatto le roccaforti ucraine di Kramatorsk e Slovyansk hanno “il nemico alle porte”, nelle altre i russi sono già presenti in forze all’interno dei centri urbani.

Il fronte di Zaporizhia
È invece nella regione di Zaporizhia che le forze russe hanno compiuto i maggiori progressi nel mese di novembre, conquistando 272 chilometri quadrati, pari al totale dei quattro mesi precedenti, mentre nella regione di Dnipropetrovsk hanno guadagnato quasi 200 chilometri quadrati di terreno. La penetrazione da est in queste due regioni in cui gli ucraini non dispongono di linee di difesa fortificate, rischia di far crollare il fronte ucraino a sud di Zaporizhia:
I russi sono già penetrati nei sobborghi di Gulyapole e con il lancio di volantini esortano la guarnigione della città ad arrendersi. La caduta di questa roccaforte comprometterebbe l’intero fronte meridionale ucraino costringendo le truppe di Kiev a ripiegare verso la città di Zaporizhia, sulle rive del Dnepr, che potrebbe costituire uno degli obiettivi strategici dei russi se la guerra dovesse continuare.

Nei giorni scorsi la situazione si è deteriorata per gli ucraini con la caduta di Zatyshshia, Vysoke e Zelenyi Hai e Vysoke: l’avanzata a sud di Zatyshshia minaccia la periferia nord-orientale di Gulyapole, dove fonti militari ucraine hanno rivelato che le forze d’assalto russe sono penetrate nella notte del 1° dicembre appoggiate da un “fuoco d’artiglieria quasi incessante”.

Più a nord i russi hanno preso il controllo della strada logistica utilizzata per rifornire Gulyapole a Dobropillia (da non confondere con l’omonima cittadina a nord ovest di Pokrovsk). La caduta di Dobropilla e Zelenij Gai avrebbe vuisto gli ucraini lasciare sul campo 260 caduti secondo fonti russef
La guarnigione di Gulyapole può quindi contare su un’unica via di rifornimento, da ovest, che corre parallela alle linee russe che si trovano a distanze comprese tra i 2 e i 5 chilometri. Questo significa che la strada è sotto il tiro costate di droni e artiglieria.

Invece di sacrificare inutilmente uomini e mezzi per difendere Gulyapole, il buon senso dovrebbe indurre i comandi ucraini a ripiegare su una linea più corta, meglio difendibile e meno esposta che da Orkhiv e Mala Tokmachka potrebbe correre a nord fino a Omelnyk e a Liubytske, anche per evitare che una repentina avanzata russa verso quest’ultima cittadina permetta a Mosca di tagliare fuori diverse brigate ucraine schierate sul fronte meridionale della regione di Zaporizhia.
In assenza di ritirate strategiche il settore di Gulyapole rischia di diventare quello in cui più alto è il rischio di tracollo delle forze di Kiev, prive di linee di difesa strutturate a est e impegnate contro un esercito russo che gode di una spaventosa superiorità di truppe, armi e munizioni.
Il fronte di Kharkiv
Benché il presidente ucraino VolodymyrZelensky sia arrivata ad affermare a Parigi che nella roccaforte di Kupyansk, nella regione di Kharkiv, non solo che la città non è in mano ai russi ma persino che è stata quasi completamente liberata dalle forze russe.
Un distacco tra la realtà e le affermazioni dei vertici ucraini che mira a tranquillizzare l’Occidente ma che non può mutare la natura delle cose e c’è da augurarsi che i leader europei smettano di credere alla loro stessa propaganda, oltre a quella degli ucraini, per concedersi un bagno di realismo.

Persino osservando le mappe di un centro studi filo-ucraino come di più non si può come l’ISW risulya evidente da settimane quale sia la situazione sul terreno.
L’insediamento rurale di Kupyansk-Uzlovoi (nella mappa qui sotto), a sud della città sarà occupato completamente dalle forze russe entro pochi giorni, valutava il 3 dicembre il presidente russo Vladimir Putin. “Penso che prenderemo l’insediamento di Kupyansk-Uzlovoi nel giro di qualche giorno”, ha affermato Putin, che ha continuato spiegando che 650 dei circa 2mila edifici presenti nel centro abitato sarebbero già sotto controllo dell’esercito russo.

Il controllo del sobborgo agricolo di Kupyansk-Uzlovoi permetterà ai russi di completare l’accerchiamento delle truppe ucraine schierate intorno al fiume Oskol, stimate da Mosca in circa 15 battaglioni, non certo a pieno organico, una forza quindi stimabile in alcune migliaia di militari.
Il 1° dicembre il capo di stato maggiore russo, il generale dell’esercito Valery Gerasimov e il ministro della difesa russo Andrei Belousov hanno affermato che elementi della 128a brigata di fucilieri motorizzata , della 72a divisione di fucilieri motorizzata incluso il suo 30° reggimento di fucilieri motorizzati; e la 69a divisione di fucilieri motorizzata inclusi i suoi 82° e 1009° reggimento di fucilieri motorizzati, hanno conquistato la città di Vovchansk.

Il centro abitato a ridosso del confine russo era conteso da molti mesi e il crollo ucraino diopo una lunfa resistenza permette ai russi di consolidare quella “fascia di sicurezza” istituita in territorio ucraino a protezione del confine ma al tempo stesso permette ai russi di costituire una solida base logistica per alimentare un’offensiva verso la città di Kharki, seconda città dell’Ucraina, situa a circa 25 chilometri di distanza.

Alle operazioni russe hanno partecipato, secondo blogger militari russi, elementi del battaglione ceceno Zapad-Akhmat (ministero dell’Interno ceceno) e della 116a brigata speciale Rosgvardia: un dato che se confermato potrebbe indicare che queste unità garantiranno la sicurezza in città dove evidentemente sono rimasti diversi civili che attendevano la vittoria russa, oppure è previsto un loro rientro dal vicino territorio russo di Belgorod.

Le stese fonti riferiscono che le forze russe sono avanzate a sud di Vovchansk, nel centro di Vilcha e lungo l’autostrada T-2104 Vovchansk-Chuhunivka
Le difficili trattative
Difficile dire quali potranno essere gli esiti dei negoziati in corso guidati dagli Stati Uniti. La sensazione è che le vicende legate allo scandalo della corruzione ai vertici di Kiev siano arrivate a lambire Zelensky con le dimissioni del consigliere Andriy Yermak.
Poiché Trump ha messo in campo l’FBI per indagare sulla malversazione dei soldi dei contribuenti americani da parte di esponenti del governo ucraino, non si può escludere che la pressione delle indagini abbia l’obiettivo di indurre Zelensky ad accettare le condizioni del piano di pace statunitense. Peraltro, tutta la macchina della corruzione ucraina non avrebbe potuto svilupparsi senza appoggi esterni, probabilmente in Europa.

Circa le trattative l’unica certezza è che gli europei vengono tenuti ben lontani dal tavolo dei negoziati poiché il loro sostegno all’Ucraina mira a far continuare la guerra, non a concluderla. Una linea peraltro condivisa anche negli Stati Uniti da molti esponenti politici democratici e repubblicani che vorrebbero evitare di assegnare una vittoria a Mosca con un accordo di pace che ne recepisca tutte le condizioni da imporre a Kiev.
Una narrazione che nega l’evidenza
A supporto della continuazione della guerra si sta muovendo pesantemente una narrazione propagandistica che da un lato costituisce la continuazione di quella degli ultimi quasi quattro anni (che i fatti hanno destituito di ogni fondamento) e dall’altro nega la vittoria russa e rivendica per Kiev ampie possibilità di conseguire la vittoria finale.

Negli ultimi giorni questa narrazione ha persino cambiato la posizione di Pokrovsk, che da hub logistico per tutta la linea di fortificazioni ucraine schierate più a est nella regione di Donetsk, viene indicata ora da alcuni come un avamposto insignificante di una munitissima linea difensiva ucraina situata a ovest della città e di cui peraltro non vi è mai stata traccia.
Anzi, semmai in molti in Ucraina avevano evidenziato il rischio che lo sfondamento russo a Pokrovsk lasciasse gli ucraini senza linee di difesa fortificate, come è accaduto nella regione di Dnipropetrovsk dove, nonostante i molti milioni di euro stanziati per erigere linee di difesa, le truppe di Kiev lamentano l’assenza di fortificazioni.
Una narrazione falsa ma messa a punto ad hoc, apparsa da quando ha preso piede il piano di pace statunitense su diversi media in Italia e in Europa (casualmente, soprattutto quelli che hanno goduto in questi anni del miliardo di euro stanziato da Commissione e Parlamento Ue per sostenere le politiche dell’Unione) e da opinionisti vicini a centri studi statunitensi o di area NATO apertamente schierati con l’Ucraina e ostili a qualsiasi concessione alla Russia.

Basti pensare che mentre i russi avanzano quotidianamente e molte fonti mettono in luce le carenze di truppe, armi e munizioni degli ucraini il già citato ISW sostiene che “la realtà sul campo di battaglia indica che una vittoria russa è tutt’altro che certa,
Il tasso di avanzamento nella regione del Donetsk non indica che le forze russe conquisteranno subito il resto della regione. Le forze russe hanno dato la priorità a completare la presa di Pokrovsk e della vicina (più a est) Myrnograd, ma procedono in modo lento e le forze ucraine hanno rallentato la loro avanzata”.
Di fatto la solita narrazione di parte a cui l’ISW ci ha abituato da molti anni e che non può essere attribuita solo alla giovane età e all’inesperienza di teatri operativi dei suoi analisti.
Kiev d’altra parte continua a mentire sulle sconfitte subite, come ha sempre fatto. Nega la caduta di Pokrovsk, Kupyansk e Vovchansk come aveva negato in passato la caduta di Soledar, Bakhmut e Avdiivka: incredibile come in Europa si dia ancora credito alle dichiarazioni dei vertici ucraini anche se la loro sorte pare legata a doppio filo a quella dei vertici europei. La sconfitta di Kiev sarà infatti anche la sconfitta dell’Europa e soprattutto di molti suoi leader, specie ora che Trump ha sfilato gli USA dal conflitto lasciando noi europei col “cerino in mano”.

Interessanti in proposito le valutazioni del presidente serbo Aleksandar Vucic che ha affermato che i progressi delle forze russe stanno aumentando l’ansia tra i vertici della NATO. Secondo Vucic, i potenziali piani dell’Alleanza per attacchi preventivi contro la Russia rappresentano una seria minaccia, capace di innescare una risposta estremamente dura da parte di Mosca.
“I progressi delle forze russe in prima linea, riconosciuti anche dal segretario generale della NATO, sono evidenti”, ha dichiarato Vucic, citando le avanzate russe a Krasnoarmeysk, Krasny Liman, Kupyansk, Volchansk, Gulyaipole e nei pressi di Seversk e Konstantinovka.
“Se si osserva come si sta sviluppando la situazione, diventa chiaro che l’ansia sta crescendo e l’unica domanda è come andranno le cose a lungo termine?”.
Il bivio
La scelta oggi è tra una pace che darà la vittoria alla Russia ma assicurerà un futuro all’Ucraina e ripristinerà le relazioni tra europei o russi o una guerra che, continuando, darà nel 2026 ai russi in trionfo con l’annessione di territori ucraini ben più ampi di quelli pretesi oggi da Putin.

Curioso che proprio nell’Europa in crisi energetica, economica e finanziaria sfuggano i termini della questione. Anche dopo che la BCE ha respinto le illusioni di alcuni di poter sequestrare i beni russi congelati e consegnarli all’Ucraina.
La Banca centrale europea ha stabilito che la proposta della Commissione Ue violava il suo mandato. Nel dettaglio, il piano prevede che i Paesi Ue forniscano garanzie statali per assicurare la condivisione del rischio di rimborso del prestito di 140 miliardi di euro all’Ucraina.
Dal momento che però la Commissione in caso di emergenza non sarebbe stata in grado di raccogliere rapidamente il denaro necessario – un’eventualità che avrebbe potuto mettere sotto pressione i mercati – i funzionari hanno chiesto alla Bce di fungere da prestatore di ultima istanza per Euroclear Bank, al fine di evitare una crisi di liquidità.
La BCE ha bocciato la proposta, affermando che equivale a fornire finanziamenti diretti ai governi. La banca centrale avrebbe infatti dovuto coprire gli obblighi finanziari degli Stati membri, violando “probabilmente il trattato Ue che vieta il finanziamento monetario”.
L’Ue ha congelato attività russe per un valore di circa 210 miliardi di euro e anche il Belgio si era opposto al prestito a Kiev: per lo Stato, nel caso in cui le attività russe fossero sbloccate e Mosca fosse in grado di rivendicarle, Euroclear non sarebbe in grado di rimborsare immediatamente il denaro.

Nonostante tutti gli organismi tecnici e giuridici definiscano illegittimo il sequestro degli asset russi, la Commissione europea non demorde. Ieri ha reso noto che il cosiddetto prestito di riparazione che vorrebbe erogare all’Ucraina utilizzando i beni congelati alla Banca centrale della Federazione Russa potrà contare su una liquidità pari a circa 165 miliardi di euro, sufficienti a soddisfare il fabbisogno finanziario di Kiev nei prossimi due anni (stimato dal Fondo Monetario Internazionale in 135,7 mld di euro, dei quali 83,4 mld per spese militari, 52,3 mld per altre necessità finanziarie dello Stato).
Il totale dei beni sovrani russi congelati nell’Ue ammonta a 210 mld, che è l’ammontare massimo teorico del prestito progettato, ma di questi 45 miliardi, hanno spiegato alti funzionari Ue, verranno accantonati come riserva al servizio dei prestiti esistenti Era (Extraordinary Revenue Acceleration), concordati nel G7. Restano 165 mld di euro, di proprietà della Russia, che verranno impiegati per nuovi prestiti all’Ucraina, se il progetto della Commissione avrà successo.

Le istituzioni finanziarie che detengono il contante appartenente ai russi (come la belga Euroclear, ma non solo) saranno obbligate, se il progetto andrà in porto, ad utilizzarlo per investire in un contratto di debito Ue.
Sono previste garanzie con meccanismi di liquidità per proteggere questo debito; queste garanzie coprirebbero anche i rischi nel caso in cui venisse ordinata l’escussione nei confronti di uno Stato Ue di un credito legato al prestito. I soldi verrebbero erogati a Kiev non tutti insieme, ma in tranches annue da 45 miliardi. Le garanzie ammonterebbero a 105 mld di euro, in due anni.
Se proprio vogliamo fare i conti, facciamoli bene. Meglio allora ricordare che i 140 miliardi in discussione sono poco più dei 120 miliardi di dollari che l’Ucraina ha chiesto nel luglio scorso all’Europa, solo per le spese militari e solo per il 2026.
Foto: TASS e Ministero Difesa Ucraino
Mappe: ISW e RVvoenkor
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.








