La pace (quasi impossibile) in Ucraina

Pur di difendere il suo negoziato per raggiungere la pace in Ucraina, Donald Trump utilizza da giorni toni morbidi e il linguaggio cauto della diplomazia. Parla di obiettivo quasi raggiunto dopo aver incontrato Volodymyr Zelensky nella sua residenza a Mar-a-lago anche se deve ammettere che resta lo scoglio non proprio irrilevante delle cessioni territoriali che Kiev deve accettare per fermare l’offensiva russa.
Nelle ultime 72 ore Zelensky non ha fatto molto per favorire il successo del negoziato. Ha ribadito che la presenza di truppe straniere in Ucraina è una parte necessaria delle garanzie di sicurezza che l’Occidente deve offrire all’Ucraina e che per Kiev dovrebbero avere una validità estesa fino a “30, 40 o 50 anni” contro i 15 anni offerti da Trump.
Richiesta che cozza con la posizione russa che ha sempre preteso l’assenza sul territorio ucraino di truppe e armi di paesi aderenti alla NATO per negoziare la pace.

Benché 850 mila maschi ucraini in età d’arruolamento si nascondano per non essere reclutati, 650 mila restino all’estero e almeno 300 mila abbiano disertato solo nel 2025, Zelensky sostiene che la gran parte della popolazione è contraria al ritiro dal Donbass.
“La gente vuole la pace”, ha spiegato in un’intervista a Fox News. “Ho visto un sondaggio che dice che l’87% degli ucraini vogliono la pace ma allo stesso tempo l’85% è contrario al ritiro delle truppe dal Donbass. Tutti vogliono la pace, ma una pace giusta“, ha dichiarato Zelensky.
Giusto per assestare un altro colpo al piano di pace di Trump, Zelensky, che a Natale ha augurato la morte a Putin, sembra voler fare di tutto per uccidere il presidente russo, o quanto meno per provocarlo, come dimostrerebbe l’attacco condotto nelle prime ore di ieri con 91 droni contro la residenza di Stato di Putin nella regione di Novgorod. Kiev ha negato di averlo effettuato e accusa Mosca di inventare pretesti per abbandonare i negoziati.
I russi non l’hanno presa bene. E neppure Trump, che già aveva criticato gli attentati ucraini a Mosca e che ieri ha detto di essere “molto arrabbiato” per la notizia dell’attacco alla residenza del presidente russo che nessuna fonte neutrale sembra in grado di confermare o negare.

Kiev accusa Mosca di aver inventato l’attacco per avere un pretesto per sfilarsi dal negoziato ma i russi avevano già molti motivi per non essere soddisfatti della posizione ucraina nelle trattative: dal rifiuto delle concessioni territoriali alla pretesa di avere truppe di paesi NATO presenti sul territorio nazionale come garanzia di sicurezza.
Non a caso, forte dei recenti successi militari, Putin aveva affermato il 27 dicembre che “se le autorità’ di Kiev non vogliono risolvere la questione pacificamente, risolveremo tutti i problemi che ci attendono con l’operazione militare speciale e con mezzi militari”.
Nessuna tregua
L’aspetto forse più rilevante emerso dagli ultimi incontri e contatti con Zelensky e Putin è che Trump ha ribadito che “non ci sarà un cessate il fuoco”, cioè che non viene presa in considerazione la proposta caldeggiata da Kiev e dagli europei di stabilire un’intesa per fermare le operazioni militari “congelando” la linea del fronte sulle posizioni attuali per poi dare vita a un negoziato di pace.

Ipotesi peraltro sempre respinta da Mosca pronta a negoziare solo un accordo complessivo e definitivo che ponga fine al conflitto. Del resto un cessate il fuoco aiuterebbe solo l’Ucraina a prendere fiato in un momento in cui le sue truppe arretrano o vengono sconfitte su tutti i fronti.
Trump ha inoltre assicurato che la Russia vuole davvero la pace dopo l’ultima telefonata con Vladimir Putin anche se lo stesso presidente russo ha affermato il 27 gennaio che “ l’interesse della Russia nel ritiro delle formazioni ucraine dai territori occupati si riduce a zero a causa dei ritmi dell’offensiva dell’esercito russo”.
A precisare che per il Cremlino il tempo delle trattative si sta esaurendo, ha provveduto il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov affermando ieri che la posizione negoziale della Russia sarà riconsiderata alla luce del tentato attacco di Kiev alla residenza di Vladimir Putin nella regione di Novgorod.
Parlando ai giornalisti Lavrov ha detto che “considerando la completa trasformazione del regime criminale di Kiev, che è passato alla politica del terrorismo di Stato, la posizione negoziale della Russia sarà riconsiderata”.

Lavrov ha poi aggiunto che la Russia ha determinato gli obiettivi e il momento della rappresaglia. “Gli obiettivi per i colpi di rappresaglia e il momento in cui verranno inferti dalle forze armate russe sono stati definiti”.
Le priorità di Trump e Putin
In questo contesto anche l’ultima telefonata tra Trump e Putin sembra confermare che la priorità per le due potenze è riprendere profonde relazioni bilaterali. Trump sostiene che “l’Ucraina ha combattuto valorosamente ma è tempo di chiudere il conflitto” e per esercitare pressioni in tal senso l’Amministrazione statunitense sembra puntare sulla vicenda della corruzione nei palazzi del potere a Kiev.
Le ultime indagini degli uffici anticorruzione ucraini, sostenuti dall’FBI, hanno visto perquisizioni nel cuore dei palazzi governativi e parlamentari di Kiev con 5 deputati vicini a Zelensky finiti sotto accusa. Il tutto peraltro è avvenuto mentre il presidente ucraino si trovava in Canada e negli Stati Uniti.

L’Ufficio Nazionale Anticorruzione dell’Ucraina (NABU) e la Procura Anticorruzione Specializzata (SAPO) hanno annunciato l’incriminazione dei membri di un’organizzazione che operava all’interno della Verkhovna Rada (il Parlamento), facilitando l’erogazione di tangenti a deputati in cambio di voti.
Gli investigatori affermano che la rete aveva una struttura gerarchica con ruoli chiaramente assegnati e includeva parlamentari in carica e funzionari dell’amministrazione della Rada. Un parlamentare avrebbe coordinato l’operazione. L’acquisto di voti è stato organizzato tramite un gruppo WhatsApp dedicato, dove i membri diffondevano istruzioni e numeri di progetti di legge.
I media ucraini hanno precedentemente riferito che le notifiche di sospetto sono state consegnate a Yuriy Kisel, descritto come vicino a Zelensky, insieme ai parlamentari Yevhen Pivovarov, Mykhailo Laba, Ihor Nehulevskyi e Olha Savchenko, tutti del partito di Zelensky, Servo del Popolo.
Zaluzhny scalda i motori
Sarà un caso ma poche ore dopo i media ucraini hanno riferito che l’ambasciatore ucraino in Gran Bretagna, il generale Valery Zaluzhny, intende lasciare il suo incarico a Londra all’inizio di gennaio per rientrare a Kiev.
L’ex comandante in capo delle Forze armate ucraine avrebbe discusso con Zelensky del suo desiderio di lasciare il suo incarico diplomatico diverse settimane fa. Durante quell’incontro, sono state discusse possibili opzioni per il suo futuro impiego, tra cui la carica di primo ministro o di capo dell’ufficio presidenziale, ma Zaluzhny non avrebbe espresso interesse al momento.
Secondo fonti dei media ucraini, Zaluzhny potrebbe presentarsi alle prossime elezioni presidenziali considerato anche che il mandato di Zelensky è scaduto da un anno e mezzo.
Il siluro di Tulsi Gabbard ai “guerrafondai”
Le pressioni di Washington non hanno risparmiato neppure l’Europa che con la decisione di finanziare Kiev con altri 90 miliardi di euro si è posizionata chiaramente a favore della continuazione della guerra suscitando non poca irritazione alla Casa Bianca.

Non è un caso che il capo delle agenzie d’intelligence statunitense, Tulsi Gabbard, la scorsa settimana ha definito “una bugia e propaganda” un report della Reuters in cui sei esponenti anonimi dell’intelligence sostenevano che Putin intende impossessarsi di tutta l’Ucraina e reclamare parti dell’Europa.
“Questa è una bugia e propaganda che Reuters sta volontariamente promuovendo per conto dei guerrafondai che vogliono indebolire gli instancabili sforzi del presidente Trump per porre fine a questa sanguinosa guerra che ha causato oltre un milione di vittime da entrambe le parti.
Pericolosamente, state promuovendo questa falsa narrativa per bloccare gli sforzi di pace del presidente Trump e fomentare isteria e paura tra la gente per indurla a sostenere l’escalation bellica, che è ciò che la NATO e l’UE vogliono realmente per trascinare gli Stati Uniti direttamente in guerra con la Russia.
La verità è che l’intelligence statunitense ha informato i responsabili politici che “la Russia cerca di evitare una guerra più grande con la NATO”.
Nelle ultime ore qualcosa di simile l’ha dichiarata il Direttore Generale del Servizio di Intelligence Estero dell’Estonia, Kaupo Rõivas (nella foto sotto). “La Russia attualmente non ha intenzione di attaccare nessuno dei paesi baltici o la NATO nel suo complesso e ‘rispetta la NATO'” ha affermato in netta controtendenza rispetto a quanto sostengono quotidianamente i governi baltici e di gran parte d’Europa.

Gabbard ha puntato il dito sul “deep state” statunitense filo-dem ma anche sulle nazioni europee che tentano di sabotare il piano cdi pace di Trump e incoraggiare l’Ucraina a continuare a combattere. In questo contesto non si può escludere che la guerra iniziata con l’asse USA/Europa/Ucraina contrapposto alla Russia si concluda con ucraini ed europei schiacciati dall’intesa tra Mosca e Washington.
Uno scenario che dovrebbe preoccupare la Ue e le nazioni d’Europa. Invece, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen sembra interessata non a fermare il conflitto ma a sostenerlo, con il prestito (che Kiev non potrà mai risarcire) da 90 miliardi di euro varato nei giorni scorsi e soprattutto puntando a far entrare l’Ucraina nell’Unione.

“La prosperità dello stato ucraino libero risiede nell’adesione all’Ue. È anche di per sé una garanzia fondamentale per la sicurezza e la ricostruzione. L’adesione non avvantaggia solo i Paesi che aderiscono; come dimostrano le successive ondate di allargamento, ne beneficia l’intera Europa”, ha detto von der Leyen.
Nessun dubbio sul fatto che l’Ucraina non soddisfa nessun parametro per poter accedere alla Ue. Nessuna riflessione sul fatto che l’adesione di questa Ucraina rischia di mettere l’Unione di fronte alla prospettiva di una guerra contro la Russia.
Foto: Facebook, White House e TASS
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.








