Berna rinnoverà la difesa aerea ma il referendum svizzero impone qualche riflessione

Gli svizzeri hanno approvato il Programma Air 2030 di rinnovamento della difesa aerea nazionale che prevede l’acquisto di nuovi cacciabombardieri e batterie missilistiche terra-aria per 8 miliardi di franchi (6 per gli aerei e 2 per i missili terra-aria) anche se i voti a favore nel referendum tenutosi il 27 settembre sono stati un risicato 50,2%.

L’intento di annullare con il voto popolare l’acquisto di nuovi velivoli da combattimento, riuscito nel 2014 quando Berna voleva acquistare 22 Saab JAS-39 Gripen, questa volta è fallito per un soffio aprendo la strada alla decisione, attesa nel 2021, su quale dei caccia in gara (Typhoon, Rafale, Super Hornet e F35A) verrà acquisito per rimpiazzare i vecchi F-5E/F e F/A-18.

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“Il Governo continuerà con il processo di scelta dei nuovi caccia all’insegna della trasparenza” ha affermato la titolare del Dipartimento della difesa Viola Amherd alla conferenza stampa di commento dei risultati della votazione. Il decreto federale concernente l’acquisto di nuovi aerei da combattimento è stato accettato dal 50,2% dei votanti (47,2% in Ticino.

Parte delle forze politiche contrarie all’investimento nella Difesa temono soprattutto che l’acquisto di velivoli statunitensi riduca o azzeri l’autonomia militare elvetica.

«Gli Stati Uniti possono far sparire i nostri jet dai nostri cieli schiacciando un pulsante» aveva affermato la consigliera nazionale socialista Priska Seiler Graf (SP/ZH) alludendo a una possibile dipendenza della Svizzera dai produttori per quanto riguarda il software dei jet. «La possibile dipendenza dall’estero è uno dei criteri di valutazione», ha voluto rassicurare Amherd in conferenza stampa.

Come ricordava ieri il Corriere del Ticino la Amherd  ha precisato circa la spesa  che “gli 6 miliardi di franchi sono il tetto massimo. Ci informeremo sulla possibilità di acquistare gli aerei più adatti a un prezzo più basso e in numero sufficiente. Continueremo la valutazione dei modelli come previsto. La decisione dovrebbe essere presa a metà del 2021.

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Il primo aereo dovrebbe essere consegnato nel 2025. L’ultimo nel 2030” ha aggiunto la consigliera federale sottolineando che il voto referendario non dovrebbe creare un precedente per altri acquisti per l’esercito. «altrimenti dovremmo improvvisamente mettere ai voti l’acquisto di vagoni per locomotive per le FFS».

Per Lewin Lempert, segretario del Gruppo per una Svizzera senza Esercito (GSsE) si è trattato di un voto storico perché “quasi la metà della popolazione infatti ha detto no all’acquisto di aerei. Ora ci chiediamo se non sia giusto che la popolazione abbia comunque modo di dire la sua sul tipo di aereo che verrà scelto.

Un referendum non è più possibile. Stiamo quindi pensando ad un’eventuale iniziativa popolare», afferma il segretario. Anche nel 1993, quando in ballo c’erano gli F/A-18, la popolazione aveva votato su un’iniziativa («Per una Svizzera senza nuovi aviogetti da combattimento»). Il testo fu bocciato dal 57,1% dei votanti.

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Del resto il referendum con cui gli svizzeri hanno approvato l’acquisto di sistemi d’arma del tutto difensivi deve indurre a riflettere. Da un lato emerge il grande esempio di democrazia diretta offerta ancora una volta dalla Confederazione elvetica a un’Europa sempre più “dirigista”, con un popolo che discute per mesi di temi militari e vota per rinnovare la difesa aerea.

Dall’altro, di fronte al margine ristretto di voti favorevoli al Programma Air 2030, occorre domandarsi quale percezione della Difesa nazionale e comune stia diffondendosi nelle opinioni pubbliche europee.

Uno sguardo appena al di là dei confini europei sarebbe sufficiente a far comprendere a tutti gli europei che non è certo questo il momento migliore per pensare al disarmo.

Se neppure investimenti in sistemi d’arma difensivi risultano in larga misura “digeribili” all’opinione pubblica allora abbiano davvero un problema legato in parte a contrapposizioni politiche ma soprattutto a un evidente e progressivo distacco dalla realtà in un’Europa Occidentale in cui 75 anni di pace sembrano aver fermamente convinto molti che tale trend sia definitivo e immutabile.

@GianandreaGaian

(con fonte il Corriere del Ticino)

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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