DDL Subacquea: il ruolo della Guardia Costiera è istituzionale, non “irrituale”

 

di Ferdinando Lolli – Ammiraglio (in Riserva) Ispettore Capo (CP), già Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera.

 

Non intendo alimentare una sterile polemica, ma come già Comandante Generale della Guardia Costiera, sento il dovere istituzionale di offrire alcune precisazioni in merito a quanto apparso in un recente articolo, pubblicato su questo sito, dedicato al disegno di legge sulla sicurezza delle attività subacquee.

Un intervento che parte da un presupposto errato e finisce per trarre conclusioni non rispondenti alla realtà del nostro ordinamento.

Secondo l’autore dell’articolo, l’audizione del Comandante Generale del Corpo delle capitanerie di Porto – della Guardia Costiera presso l’8ª Commissione del Senato sarebbe stata “irrituale”, fino al punto da voler “inficiare” i contenuti del disegno di legge. Ma la vera irritualità, in questo caso, non risiede nell’audizione del Comandante Generale, bensì proprio nell’articolo stesso, che sembra dimenticare o non tenerne nel doveroso conto, principi fondamentali del diritto costituzionale e amministrativo.

Dalla lettura organica ed oggettiva di tutto il testo dell’audizione emerge, infatti, una valutazione complessivamente più che positiva del Vertice del Corpo rispetto all’iniziativa governativa, definita “lungimirante”, che ha come obiettivo dichiarato quello di garantire una specifica disciplina amministrativa alla navigazione di mezzi “civili” negli spazi sottomarini e alle relative infrastrutture civili in quanto privi di una disciplina specifica.

Il giudizio espresso è stato, dunque, ampiamente positivo. Le osservazioni formulate si sono limitate a sottolineare l’opportunità di valorizzare, in modo coerente, le specificità del mondo subacqueo all’interno del più ampio quadro giuridico marittimo. Un rilievo che appare più che legittimo, se non doveroso e certamente “sollevare in sede parlamentare questioni di merito attinenti ad un provvedimento approvato dal Consiglio dei ministri” da parte di un organo di vertice dello Stato, non è “irrituale” a meno che non si consideri che l’iter di un DDL di iniziativa governativa si concluda con il solo passaggio preliminare in Consiglio dei ministri.

L’intervento del Comandante Generale non solo è pienamente legittimo, ma è senza dubbio opportuno, considerato il ruolo di titolato, come organo dello Stato, ad esercitare funzioni vitali in ambito marittimo che assicurano in modo organico ed unico il regolare e sicuro svolgimento delle funzioni attinenti gli usi civili degli spazi marittimi.

Quanto poi alla presunta ingerenza del Corpo in ambiti riservati alla Marina Militare, è necessario chiarire che la dipendenza funzionale del Comandante Generale dal Capo di Stato Maggiore della Marina, riguarda “esclusivamente” i pochi compiti tecnico -militari.

L’audizione, per contro, ha affrontato esclusivamente tematiche che esulano dall’aspetto militare, ma afferenti a ministeri come Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica e Ministero dell’imprese e del made in Italy. I profili militari sono rimasti del tutto estranei all’intervento della Guardia Costiera, com’è giusto che fosse. Quei temi sono stati trattati, infatti, nella successiva audizione del Capo di Stato Maggiore della Marina.

Il punto più grave, nonché errore grossolano, dell’articolo riguarda la competenza sulla maritime security che spetterebbe in via esclusiva alla Marina Militare. Peccato che non sia così!

La Marina ha compiti fondamentali – e insostituibili – nella difesa dello Stato e nella proiezione militare in alto mare, ma non è titolare del coordinamento della security marittima. 

L’articolo vira poi quasi sul complottismo quando si avventura nell’ipotizzare che il “Corpo difende autonomamente le sue competenze di fronte all’ipotesi di condividerle in parte con un organismo in cui la Marina avrà un ruolo leader”.

Affermare che il Corpo stia difendendo gelosamente delle rendite di posizione, è una falsificazione dei fatti. Le Capitanerie di Porto – Guardia Costiera sono un Corpo dello Stato, a ordinamento militare, che esercita funzioni civili in materia di sicurezza della navigazione, controllo ambientale, traffico marittimo, soccorso, pesca, demanio, e – da decenni – anche attività subacquee. E ciò in forza di chiare ed inequivocabili competenze attribuitegli da un contesto normativo interno ed internazionale che non lascia spazio ad interpretazioni di sorta.

Sostenere che oggi il Corpo voglia “resistere” a un cambiamento è paradossale. È stato proprio il Corpo delle Capitanerie di porto – Guardia Costiera a sviluppare egregiamente e con grande apprezzamento in Italia ed all’estero competenze operative e tecnologiche fondamentali, dalla sorveglianza degli spazi marittimi per gli usi civili del mare, alla gestione della sicurezza della navigazione e non solo, al contrasto dei traffici illeciti e alla protezione dell’ambiente marino, nell’interesse del Paese e di cui le altre Amministrazioni dello Stato si avvalgono in modo significativo.

Fuorvianti, poi, sono anche i riferimenti alle funzioni di guardia costiera e i parallelismi con l’organizzazione francese e con quella americana.

In Francia, la mancanza di una Guardia Costiera autonoma è spesso considerata una debolezza operativa e ha spinto più volte a ipotizzarne la creazione. Ed in ogni caso è con la Guardia Costiera italiana che l’organizzazione francese che svolge compiti similari, dialoga per le comuni responsabilità di natura convenzionale.

Quanto alla U.S.C.G., essa è sì una forza armata, ma opera con pieni poteri anche in tempo di pace e sotto controllo civile, proprio come le Guardia Costiera italiana che, per organizzazione e missione assai similare, gode di una forte considerazione di quell’Istituzione, per la sua efficienza ed operatività ampiamente dimostrata in Mediterraneo.

Non si capisce, dunque, perché l’Italia, che ha un modello unico e apprezzato in Europa che ha spesso adottato misure ispirandosi al modello della Guardia Costiera italiana, debba rinnegarlo invece di rafforzarlo, rappresentando un assetto del tutto peculiare e sostanzialmente intermedio rispetto ai due modelli sopra citati.

Il quadro giuridico delle competenze marittime civili e militari è assolutamente chiaro e senza duplicazioni e sovrapposizioni, come è chiaro che un conto sono gli aspetti militari marittimi, per i quali la Marina militare è unico attore, altro è l’ambito civile che sconta anni di procedure già in essere per la regolamentazione degli usi degli specchi acquei marittimi.

Pertanto, nessuna competizione tra Marina militare e Corpo delle capitanerie di porto – Guardia Costiera.

In conclusione, accusare l’intervento di “contenuto politico” è un modo scorretto per screditare il confronto istituzionale, ancor più parlare di “inficiamento” del testo da parte del Corpo è tecnicamente quanto meno inappropriato.

Il Comando generale delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera, non ha agito per bisogno di difendersi e ancor meno per spirito di conservazione. Partecipando all’audizione si è limitato semplicemente ad adempiere ad un preciso dovere istituzionale ed ha operato predisponendo un’audizione che, se letta senza pregiudizio, non si limita altro che a fare un’analisi tecnico normativa delle reali ricadute dell’iniziativa sul quadro normativo vigente.

D’altro canto un Ddl non è già legge, e proprio per questo va discusso, migliorato e corretto anche ascoltando chi, da sempre, opera concretamente e lealmente nella dimensione subacquea civile e portuale del nostro Paese.

Foto: Marina Militare

 

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