Il “modello finlandese” e altri possibili scenari del dopoguerra ucraino

 

Nel corso di un’intervista a The Economist, il presidente finlandese Alexander Stubb ha nuovamente evocato la cosiddetta “vittoria” della Finlandia nell’estate-autunno 1944, non per aver sconfitto un esercito sul campo, ma per aver preservato l’indipendenza negoziando un armistizio vantaggioso con l’Unione Sovietica. La storia ci ricorda che il 9 agosto 1944 terminò l’operazione offensiva Vyborg-Petrozavodsk delle truppe sovietiche in Carelia. L’Armata Rossa eliminò la minaccia a Leningrado dalla Finlandia e scacciò le truppe finlandesi dalla Repubblica Karelo-finlandese.

A seguito della perdita di Vyborg, il maresciallo Mannerheim, capo delle forze armate finlandesi, e il governo Hackzell si rivolsero a Mosca accettando condizioni rigorose: rottura con la Germania, smilitarizzazione, riparazioni, cessione di territorio e scioglimento delle organizzazioni filo-hitleriane. Il Trattato di pace di Parigi del 1947 ratificò quell’intesa, suggellando una neutralità che durò oltre quattro decenni.

Quel percorso storico, armistizio rapido in cambio di margini di autonomia, è oggi offerto come possibile scenario all’Ucraina affinché, dopo la guerra con la Russia, possa ricostruire la propria sovranità senza soccombere ai diktat dei vincitori.

L’idea, che era già stata esternata a Washington in occasione del vertice con i leader europei nello studio ovale di Trump, è stata commentata molto più in ambito russo che occidentale stigmatizzando alcuni aspetti della realtà storica che non erano stati citati da Stubb e che i leader europei, per non parlare della compagine statunitense, probabilmente ignoravano.

Infatti, sia il Ministro degli esteri Lavrov che la portavoce del Ministero degli Esteri Maria Zakharova hanno replicato a Stubb per mezzo della televisione di stato russa evidenziando come la Finlandia combatté nel 1941-44 a fianco della Wehrmacht contro l’URSS rimarcando episodi come il blocco di Leningrado e la partecipazione finlandese all’Olocausto.

Il messaggio è chiaro: non serve rivendicare oggi un’abile “vittoria” di quel periodo senza fare i conti con la memoria delle atrocità commesse. Di fatto, i russi hanno mandato in onda sulla principale emittente televisiva istituzionale i filmati compromettenti di quelle atrocità che, unitamente ad altre fonti di archivio dell’epoca, erano stati secretati e fatti sparire, a suo tempo, per non ostacolare lo sviluppo dei rapporti del dopo guerra tra Mosca ed Helsinki.

Secondo lo storico Gilbert Doctorow nel 1944 i finlandesi avevano semplicemente preso atto di come stava andando la guerra e avevano deciso di cambiare schieramento. Cosa che hanno fatto pagando un prezzo considerevole.

Infatti, il trattato stipulato tra Russia e Finlandia nel 1948 dettava delle condizioni che Stubb non ha citato, ma Lavrov sì. In particolare, Helsinki era obbligata a mantenere in perpetuo la neutralità senza appartenere ad alcun blocco militare contro la Russia aspetto, questo, elegantemente e opportunisticamente superato quasi ottant’anni dopo con l’ingresso della Finlandia nella NATO.

Ma Stubb aveva anche dichiarato nello scorso mese di aprile che il suo Paese doveva essere mentalmente preparato a ristabilire i legami con la Russia dopo la guerra accettando il fatto che quest’ultima sarà per sempre il proprio vicino.

Dichiarazione, questa, edulcorata da successive precisazioni, ma che non hanno potuto nascondere l’evidenza di un nuovo possibile pragmatico e opportunistico adattamento alle circostanze da parte di Helsinki.

Tuttavia, Doctorow considera il case study finlandese in un contesto europeo più ampio di pressioni economiche e coerenza politica. Il crollo del reddito pro capite e l’aumento dei costi di finanziamento stanno spingendo i paesi europei più piccoli a rivalutare le sanzioni e a premere per la riapertura dei canali con la Russia.

Il Belgio, ad esempio, registra un’impennata di posti vacanti, chiusura di esercizi commerciali importanti e una rilevante contrazione dei consumi; analoghe tensioni investono la Finlandia e altri stati strettamente legati all’andamento dell’economia tedesca, oggi in recessione per il secondo trimestre consecutivo. Anche Parigi, sotto il peso del debito pubblico, mostra crepe sul fronte interno.

In contrapposizione, le potenze di riferimento – Germania, Francia e Regno Unito – mantengono una linea dura, convinte che ogni cedimento favorirebbe il Cremlino. Doctorow giudica però insostenibile a lungo la compattezza dell’Unione Europea: all’orizzonte si profilano spinte centrifughe e scelte bilaterali verso Mosca.

Il compromesso alla finlandese non è un miraggio, ma rischia di tramutarsi in una partita a scacchi in cui ogni stato gioca in solitaria. Gli alleati più vulnerabili cercheranno l’intesa pragmatica, mentre i grandi attori manterranno l’impianto sanzionatorio. La sfida per Bruxelles sarà gestire questa simultanea domanda di riconnessione e paura di indebolire la posizione strategica nei confronti di Mosca.

Dunque, alla fine del conflitto ucraino l’Europa si troverebbe divisa, secondo Doctorow, tra chi chiede riconciliazione e chi invoca durezza. In mezzo, come sempre, resteranno le grandi eredità del passato e il calcolo del proprio futuro geopolitico.

Per ciò che concerne Mosca, dietro le schermate delle diplomazie europee, la priorità russa resta un’intesa con gli Stati Uniti, soprattutto sul non spiegamento di missili a raggio intermedio in Germania. Solo una volta risolto questo nodo, il Cremlino potrà rivolgersi apertamente ai partner europei, minacciati ora dalla prospettiva di sanzioni prolungate e di tensioni economiche crescenti.

Uno scenario complementare a quello che è stato appena descritto, viene presentato da Douglas McGregor, colonnello in pensione ed ex consigliere del Segretario alla Difesa degli Stati Uniti che giunge a conclusioni simili aggiungendo la variabile del ruolo di Washington nel dopoguerra che non è affatto dato per scontato.

Secondo l’ufficiale statunitense è assurdo pensare che Washington possa garantire la futura esistenza di Paesi come la Polonia, i Paesi baltici, la Repubblica Ceca, la Slovacchia o l’Ungheria. Gli americani non vivono in Europa, ma gli europei si afferma McGregor.

Inoltre, il futuro di quello che resterà dell’Ucraina deve essere discusso non dalla Francia o dalla Germania, ma dai diretti stati confinanti con la Russia. Con il declino dell’ombrello protettivo americano e la crisi della NATO, dice McGregor, questi Paesi si troveranno di fronte alla necessità di ridefinire completamente le proprie architetture di sicurezza. Il ritiro strategico degli Stati Uniti verso il loro ruolo storico di potenza marittima lascerà un vuoto che non potrà essere colmato semplicemente attraverso i meccanismi tradizionali dell’Alleanza Atlantica.

In tale contesto, la situazione per i Paesi dell’Europa orientale si presenta particolarmente complessa in quanto hanno costruito le loro strategie di sicurezza post-sovietiche interamente attorno alla deterrenza NATO e alla garanzia dell’Articolo 5. Il venir meno di questa certezza li costringerà a confrontarsi con alcune opzioni fondamentali quali accordi bilaterali di non aggressione stipulati direttamente con la Russia sul modello finlandese.

Questi accordi potrebbero includere garanzie di neutralità in cambio di impegni russi a rispettare l’integrità territoriale e l’indipendenza politica e l’Ucraina rappresenta il caso più emblematico di questa transizione.

Tenuto conto delle profonde divisioni identitarie che contraddistinguono il Paese, con le regioni occidentali più orientate verso l’Europa, una possibile soluzione potrebbe essere quella di una struttura confederale che riconosca queste differenze, con garanzie di sicurezza differenziate per le diverse regioni.

Oppure, l’Ucraina potrebbe ottenere garanzie di neutralità sostenute non solo dalla Russia ma anche da potenze come Cina, India, e potenzialmente da un’Europa in via di riorganizzazione. Un’alternativa interessante potrebbe essere l’adozione di un modello di neutralità armata simile a quello svizzero o austriaco durante la Guerra Fredda, basato su un principio di neutralità costituzionalmente garantita con divieto di adesione ad alleanze militari; forze armate robuste orientate esclusivamente alla difesa territoriale; garanzie internazionali sostenute sia dalla Russia che dalle potenze europee e cooperazione economica senza implicazioni militari.

Il nuovo sistema di sicurezza endogeno, non più dipendente dagli Stati Uniti, potrebbe materializzarsi secondo McGregor attraverso un Trattato di Sicurezza Continentale, vale a dire un nuovo framework che includa Russia, stati europei, e potenzialmente la Turchia, basato su principi di mutua non-aggressione e rispetto delle sfere di influenza. Il quadro verrebbe completato da un sistema di monitoraggio internazionale per gli accordi di limitazione degli armamenti, e delle attività militari nelle zone di confine.

Tutto ciò richiederebbe, però, una maturazione politica significativa da parte delle élite dell’Europa orientale (e non solo), che dovrebbero abbandonare la mentalità di dipendenza strategica sviluppata negli ultimi tre decenni e assumersi la responsabilità diretta della propria sicurezza nazionale.

A seguito dell’inesorabile conseguimento da parte di Mosca di tutti gli obiettivi operativi dell’Operazione militare speciale, individuati nelle fasi iniziali del conflitto, della débâcle oramai evidente dell’approccio UE-NATO alla condotta della guerra, e nell’attesa di prendere atto di ciò che rimarrà da gestire davvero dell’Ucraina, la prospettiva di un sistema multipolare più complesso ma potenzialmente più stabile, basato su equilibri regionali e accordi di mutua deterrenza potrebbe costituire un modello al quale ispirarsi.

Rimarrebbe comunque il tema della verifica di quanto realmente gli Stati Uniti siano determinati nello “staccare la spina” permettendo alla Russia di giocare un nuovo ruolo in Europa, dal momento che la guerra in Ucraina è stata provocata proprio per raggiungere l’obiettivo opposto di disconnettere economicamente e politicamente Mosca dal Vecchio Continente.

Inoltre, la necessaria “maturità politica” europea precedentemente invocata potrebbe tardare a manifestarsi a meno di un cambio radicale di leadership, portatrice di una nuova e più coraggiosa cultura delle relazioni internazionali in grado di abbandonare la prospettiva di un confronto permanente con la Russia.

Al momento attuale, gli scenari delineati rimangono ipotesi di lavoro dalla realizzazione incerta, ma la loro analisi risulta fondamentale per colmare il vuoto di prospettive alternative che caratterizza l’attuale dibattito strategico europeo.

In ogni caso, sussiste un punto di convergenza fondamentale: il dopoguerra in Ucraina non potrà risolversi con un ritorno allo status quo, ma imporrà una ridefinizione profonda degli equilibri europei e globali.

La possibilità di un compromesso pragmatico con Mosca, la frammentazione interna dell’Unione Europea, il ridimensionamento del ruolo statunitense e l’emergere di nuove architetture di sicurezza continentali rappresentano variabili che si intrecciano e che, inevitabilmente, plasmeranno il futuro dell’intero continente, chiamato a ridefinire il proprio ruolo nel nuovo ordine mondiale inevitabilmente multipolare.

Foto: Presidenza Ucraina, Presidenza Finlandese, TASS e Forze Armate Ucraine

 

Nato a Vicenza nel 1960, è stato il vice comandante dell'Allied Rapid Reaction Corps (ARRC) di Innsworth (Regno Unito), capo di stato maggiore del NATO Rapid Reaction Corps Italy (NRDC-ITA) di Solbiate Olona (Varese), nonché capo reparto pianificazione e politica militare dell'Allied Joint Force Command Lisbon (JFCLB) a Oeiras (Portogallo). Ha comandato la brigata Pozzuolo del Friuli, l'Italian Joint Force Headquarters in Roma, il Centro Simulazione e Validazione dell'Esercito a Civitavecchia e il Regg. Artiglieria a cavallo a Milano ed è stato capo ufficio addestramento dello Stato Maggiore dell'Esercito e vice capo reparto operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze a Roma. Giornalista pubblicista, è divulgatore di temi concernenti la politica di sicurezza e di difesa.

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