Schengen militare: l’Europa tra ambizione e realtà del 2027

 

L’Unione Europea sta accelerando i lavori per realizzare quello che viene comunemente definito “Schengen militare”, un’ambiziosa iniziativa volta a garantire la mobilità militare attraverso il continente europeo con la stessa fluidità con cui i cittadini attraversano le frontiere interne dell’area Schengen. Il progetto, presentato ufficialmente dalla Commissione Europea lo scorso 19 novembre attraverso un corposo pacchetto legislativo sulla Military Mobility, mira a ridurre drasticamente i tempi per il movimento di truppe, equipaggiamenti e materiali tra gli Stati membri, portandoli da mesi a giorni, e in situazioni di emergenza a poche ore.

L’esigenza è il frutto degli esiti delle operazioni russe in Crimea e Donbass nel 2014 e 2015. Se Mosca avesse voluto estendere il proprio sforzo operativo nei confronti dei Paesi confinanti a occidente (furono le valutazioni di allora) non solo non avrebbero trovato un solo soldato a presidio dei confini, ma non era affatto scontato che l’afflusso dei rinforzi provenienti dall’altra parte dell’Atlantico potesse giungere a buon fine.

Questo perché a causa delle normative delle singole nazioni europee riguardanti il trasferimento di materiale militare, muovere una singola cassa di munizioni da un porto francese a una qualunque altra destinazione di un possibile fronte ad est, avrebbe richiesto mesi. Figuriamoci intere divisioni.

Da qui, la preoccupazione della NATO e l’”invito” all’Unione Europea di risolvere la questione perché il problema era, in fin dei conti, europeo. Questo aspetto è importante da sottolineare. Lungi dall’essere un’iniziativa autonoma dell’UE, lo “Schengen militare” rappresenta essenzialmente l’implementazione di requisiti operativi dell’Alleanza Atlantica che sono sempre esistiti, ma divenuti più stringenti a seguito del conflitto russo ucraino. Infatti, per tutto il corso della Guerra fredda e oltre, l’Alliance Military Reinforcement Concept (AMRC) ha costituito lo schema concettuale alleato per affrontare questa esigenza che quindi originale non è.

Il progetto UE ha preso forma con la Joint Communication del 2017, quando la Commissione Europea e l’Alto Rappresentante per la Politica Estera hanno resa manifesta l’urgenza di disporre di infrastrutture e procedure che consentano una rapida proiezione della forza militare in territorio europeo.

Le sue dimensioni sono considerevoli. Il nuovo Military Mobility Package prevede la creazione di un’area europea di mobilità militare entro il 2027, con investimenti stimati in circa 100 miliardi di euro necessari per adeguare le infrastrutture continentali alle esigenze del trasporto militare. Si tratta di intervenire su 500 progetti infrastrutturali critici individuati lungo quattro corridoi prioritari che attraversano il continente: settentrionale, meridionale, orientale e centrale.

Gli interventi riguardano il potenziamento di ponti, tunnel, linee ferroviarie, porti e aeroporti che devono essere in grado di sopportare il peso e le dimensioni di equipaggiamenti militari pesanti, dai carri armati ai sistemi missilistici.

Sul fronte normativo, il pacchetto introduce per la prima volta apposite regole stabilendo che gli Stati membri dovranno concedere le autorizzazioni per il transito transfrontaliero di forze armate in un massimo di tre giorni in tempo di pace e in appena sei ore in situazioni di emergenza, rispetto agli attuali 45 giorni che possono essere richiesti in alcuni Paesi. Viene inoltre istituito un “Sistema Europeo Avanzato di Risposta per la Mobilità Militare”, sul modello del Meccanismo di Protezione Civile dell’UE, che dovrebbe permettere di attivare procedure accelerate e accesso prioritario alle infrastrutture per le forze armate operanti nel contesto dell’Unione Europea o della NATO.

Tuttavia, il progetto presenta criticità significative che ne mettono in discussione l’efficacia e la tempestività di realizzazione. La Corte dei conti Europea, in un rapporto pubblicato nello scorso mese di febbraio, ha evidenziato debolezze strutturali e ostacoli implementativi che rischiano di vanificare gli sforzi.

Il presidente della Corte, Tony Murphy, ha definito il budget di 1,7 miliardi di euro stanziato per il periodo 2021-2027 come “noccioline” rispetto ai 300 miliardi di euro spesi complessivamente dagli Stati membri per la difesa nel 2024, sottolineando che “i fondi disponibili si sono esauriti già alla fine del 2023, creando un vuoto di finanziamento di oltre quattro anni”.

L’Atlantic Council ha descritto l’impegno finanziario dell’UE come “modesto e sempre più tiepido”, mentre uno studio del Parlamento Europeo stima che sarebbero necessari investimenti compresi tra 75 e 100 miliardi di euro fino al 2035 per migliorare lo stato attuale delle infrastrutture, con benefici economici aggiuntivi stimati in 21 miliardi di euro di PIL annuo nel 2035 se gli investimenti venissero realizzati collettivamente piuttosto che in modo frammentato dai singoli Stati membri.

Inoltre, sempre i revisori europei hanno rilevato che la Commissione ha elaborato l’Action Plan 2.0 del 2022 “sotto pressione temporale” e “senza valutare adeguatamente le necessità”, risultando in una selezione di progetti frammentata che non tiene sufficientemente conto delle priorità geopolitiche.

Infatti, durante l’elaborazione dei quattro corridoi prioritari di mobilità militare europea, il corridoio settentrionale, che collega principalmente Paesi Bassi, Germania e Polonia fino all’Ucraina, è il più avanzato. Al contrario, il corridoio meridionale, che coinvolge Albania, Bulgaria, Italia e Macedonia del Nord, ha ricevuto minore attenzione e risorse, nonostante la sua rilevanza per la stabilità dei Balcani e del Mediterraneo orientale.

Questa asimmetria riflette una visione della minaccia prevalentemente orientata a est, coerente con le priorità NATO ma non necessariamente con una concezione più ampia della sicurezza europea che dovrebbe includere le sfide provenienti dal sud, dal Mediterraneo e dal Medio Oriente.

Per gestire la dimensione transatlantica della mobilità militare, la NATO ha istituito due comandi dedicati. Il primo è il Joint Force Command Norfolk, con sede in Virginia, attivato formalmente nel luglio 2019 e dichiarato pienamente operativo nel luglio 2021.

Ha il compito di proteggere le linee di comunicazione strategiche attraverso tutti i domini, garantire le rotte marittime tra Europa e Nord America e facilitare la proiezione di forze alleate nel Vecchio Continente. Il JFC Norfolk è responsabile dell’80% dell’area NATO, dalla Florida alla Finlandia settentrionale, dal fondale marino allo spazio. Compito davvero arduo perché anche ammesso che l’afflusso dei rinforzi avesse davvero luogo (di questi tempi è lecito dubitarne) il comando dovrebbe di fatto condurre una nuova battaglia dell’Atlantico dal momento che il possibile avversario non rimarrebbe certo con le mani in mano.

Il secondo comando, è il Joint Support and Enabling Command, con sede a Ulm in Germania, anch’esso istituito nel 2018 e attualmente in fase di potenziamento verso la piena integrazione nella struttura di comando NATO entro la fine del corrente anno.

Il JSEC ha il compito di facilitare il rapido movimento delle forze attraverso le frontiere nazionali in Europa, coordinando e sovrintendendo lo spostamento delle forze alleate in tutto il continente. E’ stato modellato sull’esempio del “Comando del Servizio di Supporto Interforze” della Bundeswehr tedesca, riflettendo la necessità di affrontare questioni logistiche specifiche come la modernizzazione delle autorizzazioni diplomatiche richieste per i movimenti di truppe, gli standard di capacità di carico per i camion e l’identificazione di quali strade, tunnel e ponti in Europa possono sostenere il movimento di carri armati e altri veicoli pesanti.

E la sfida non finisce qui. Infatti, un altro aspetto cruciale è quello dell’interoperabilità logistica nei trasporti multimodali che si traduce, per rendere l’idea, nel poter imbarcare carri armati tedeschi su una nave olandese, controllati nel porto di destinazione da funzionari norvegesi, riforniti da mezzi logistici belgi, e fatti affluire in zona di operazioni utilizzando vettori stradali e ferroviari polacchi, guidati da unità per il coordinamento del traffico militare statunitensi.

Nel contesto appena delineato, appare molto ambiziosa anche la proposta della Commissione di istituire un “pool di solidarietà per la mobilità militare”, dove gli Stati membri possano mettere a disposizione risorse come treni speciali, traghetti o capacità di trasporto aereo strategico, e un “catalogo della mobilità militare” che elenchi risorse di trasporto e logistica dual-use di aziende civili utilizzabili per operazioni militari.

Il termine “solidarietà” è piuttosto infelice perché non si tratta di opere filantropiche, ma di stringenti requisiti operativi da soddisfare, e la storia della cooperazione europea in materia di difesa è costellata di iniziative simili rimaste largamente inattuate per mancanza di volontà politica, risorse inadeguate e resistenze nazionali.

In ogni caso, è evidente che la strada da percorrere è ancora tanta, e il rischio è che nel 2027 si registri più un quadro normativo simbolico che una rete infrastrutturale e procedurale integrata ed efficiente.

La cosa dovrebbe spaventarci parecchio se è vero quello che affermano le cassandre tedesche, tra le più loquaci del nostro tempo. Dobbiamo essere in grado di affrontare una guerra entro il 2029 ha detto al Bundestag il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius, mentre secondo il generale tedesco Alexander Sollfrank la Russia potrebbe attaccare la NATO in ogni momento.

Ma, allora, perché darsi tanta pena?

Foto NATO

 

Nato a Vicenza nel 1960, è stato il vice comandante dell'Allied Rapid Reaction Corps (ARRC) di Innsworth (Regno Unito), capo di stato maggiore del NATO Rapid Reaction Corps Italy (NRDC-ITA) di Solbiate Olona (Varese), nonché capo reparto pianificazione e politica militare dell'Allied Joint Force Command Lisbon (JFCLB) a Oeiras (Portogallo). Ha comandato la brigata Pozzuolo del Friuli, l'Italian Joint Force Headquarters in Roma, il Centro Simulazione e Validazione dell'Esercito a Civitavecchia e il Regg. Artiglieria a cavallo a Milano ed è stato capo ufficio addestramento dello Stato Maggiore dell'Esercito e vice capo reparto operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze a Roma. Giornalista pubblicista, è divulgatore di temi concernenti la politica di sicurezza e di difesa.

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