Deportazioni “private” per l’amministrazione Trump?

 

Tra i pilastri dell’Agenda 47, programma elettorale di Donald Trump per le elezioni del 2024, spiccano il contrasto all’immigrazione clandestina e la deportazione di milioni di immigrati irregolari.

Più volte, infatti, il tycoon ha promesso di voler avviare “la più grande deportazione di massa di immigrati illegali nella storia degli Stati Uniti” una volta insediatosi nuovamente alla Casa Bianca.

Uscite, queste, che hanno indignato i suoi oppositori, galvanizzato i sostenitori e soprattutto spinto un gruppo di importanti contractor, tra cui il fondatore ed ex CEO di Blackwater, Erik Prince a presentare una singolare proposta: supportare le deportazioni attraverso una rete di “campi di elaborazione” (di identificazione e trattenimento), una flotta privata di 100 aerei e un “piccolo esercito” di cittadini ​​autorizzati ad effettuare arresti.

Sebbene l’amministrazione Trump non abbia fornito alcun riscontro alla sopraccitata offerta, a detta dei proponenti, le problematiche che sta affrontando con le deportazioni potrebbero portarlo ad accettarle.

Nel frattempo Prince, allontanato dalle istituzioni alla fine della prima presidenza Trump, pare aver riguadagnato il suo ruolo di “consigliere ombra”.

 

Deportazioni governative: spettacolarizzate, ma arrancanti e costose

Insediatosi nuovamente alla Casa Bianca, il presidente Trump ha firmato oltre una ventina di ordini esecutivi mirati, in particolare, ad inasprire la gestione e deportazione degli immigrati illegali. Sono, così, immediatamente aumentati arresti e deportazioni, senza risparmiare scuole, ospedali e luoghi di culto finora inviolati dalle retate degli agenti dell’Immigrazione (United States Immigration and Customs Enforcement – ICE).

Nelle prime due settimane gli immigrati illegali espulsi sono stati 5.700; una media di 400 al giorno, con mille arresti ogni 24 ore e un calo di ingressi illegali nel Paese del 95%. Ben presto, però, il ritmo è calato ben al di sotto delle aspettative e addirittura rispetto alle amministrazioni precedenti.

Il mese di Febbraio 2025, primo mese di presidenza Trump, ha visto la deportazione di 11.000 migranti contro i 12.000 dello stesso mese dell’anno scorso. I suoi sostenitori ribattono che ciò sia dovuto ad una maggior presenza di immigrati al confine nel 2024, quindi, più facilmente individuabili – e deportabili – di quelli già insediatisi nel Paese.

Considerando infatti questo fattore risultano 4.300 immigrati deportati a febbraio, rispetto ai circa 2.100 dell’anno scorso. Oltre al fatto che, come riferito da Tom Homan, “Zar della Frontiera” – responsabile delle deportazioni di immigrati clandestini e della sicurezza al confine con il Messico, la politica dell’amministrazione Trump si basa sul “Worst First”.

Cioè priorità all’espulsione di chi ha precedenti penali o sia ritenuto una minaccia alla sicurezza nazionale. Guerra di numeri a parte, gli arresti e deportazioni paiono essere stati così insoddisfacenti da portare alla rimozione di diversi alti funzionari dell’ICE.

Tra le cause principali la difficoltà delle autorità a reperire personale e spazi sufficienti a gestire gli immigrati illegali, gli elevati costi per l’ampliamento del centro di trattenimento a Guantánamo (Cuba), l’impiego di aerei militari per le deportazioni e, non da ultimo, gli scontri tra esecutivo e magistratura.

Il piano di Trump di utilizzare la base navale di Guantánamo Bay per trattenere 30.000 immigrati illegali ha incontrato notevoli ostacoli, sia di tipo legale che logistico e, soprattutto, economico.

E’ stato infatti necessario l’invio di ulteriori 1.000 militari americani per l’approntamento delle aree dedicate. Strutture e tende per ospitare gli immigrati che non erano ancora pronte né adeguate, mancando di aria condizionata, acqua corrente ed altri standard previsti dall’ICE.

Per non parlare degli elevati costi di trasferimento degli immigrati e militari ad essi dedicati, così come controversie e danni reputazionali derivanti dall’impiego della controversa struttura, reminiscenza degli anni più bui della Guerra al Terrore.

Di conseguenza è stata adottata “una versione ridotta del piano di Trump”, optando per altre basi negli Stati Uniti, più congeniali ed economiche, come Fort Bliss, Texas poco distante dal confine col Messico.

E tornando alla questione spinosa dei costi, il Wall Street Journal segnalava la sospensione, dal 1° marzo, dell’impiego di aerei militari per le deportazioni di immigrati illegali dagli Stati Uniti.

Voli per cui sono sempre stati preferiti velivoli militari – invece di civili – per mandare un segnale inequivocabile. A scopo di deterrenza, infatti, sono state diffuse le forti immagini degli immigrati illegali ammanettati, in fila per imbarcarsi sui Globemaster.

L’amministrazione Trump ha così condotto una trentina di voli di rimpatrio utilizzando aerei C-17 e C-130 verso Cuba, Guatemala, Ecuador, Perù, Honduras, Panamá e, anche, India.

Tre voli verso l’India, per esempio, sono costati 3 milioni di dollari ciascuno. Altri che hanno portato una dozzina di persone a Guantánamo sono costati circa 20.000 dollari ad immigrato.

Mentre, infatti, un C-17 costa circa 28.500 dollari per ora di volo e i C-130 fino a 20.756, i voli standard civili dell’ICE e DHS (Department of Homeland Security; Dipartimento per la Sicurezza Interna) costano tra gli 8.500 – 17.000 dollari all’ora.

Ad aumentare i costi ha contribuito la chiusura dello spazio aereo messicano agli aerei militari, allungandone di diverse ore il tragitto verso l’America centrale e meridionale.

Per concludere, lo scontro istituzionale tra l’amministrazione Trump e il Procuratore degli Stati Uniti per il Distretto di Columbia, James E. Boasberg che ha cercato di fermare la deportazione in El Salvador di 238 – presunti – appartenenti alle gang Tren De Aragua (TdA) e Mara Salvatrucha (MS-13).

Boasberg ha ritenuto, infatti, illegale l’interpretazione da parte del Governo di una legge di guerra – l’Alien Enemies Act del 1798 – in tempo di pace, per accelerare le deportazioni di massa. Il segretario di Stato, Marco Rubio ha tuttavia dichiarato che la loro deportazione sarebbe avvenuta comunque, in quanto già in corso e così è stato il 16 marzo, nella più completa spettacolarizzazione mediatica.

 

 

Il Piano dei contractor

 

Prima dell’insediamento di Trump alla Casa Bianca un gruppo di importanti Private Military and Security Companies, tra cui Erik Prince, ha presentato allo staff presidenziale una proposta “spontanea” per condurre deportazioni di massa.

Ciò attraverso una rete di “campi di elaborazione” (di identificazione e trattenimento) allestibili in meno di una settimana, presso basi militari appositamente selezionate, una flotta privata di 100 aerei – 49 quelli disponibili alla presentazione della proposta – e un “piccolo esercito” di cittadini ​​autorizzati ad eseguire arresti.

Un progetto che, esposto attraverso un documento programmatico di 26 pagine, stima un costo economico di 25 miliardi di dollari ed uno politico, forse, più oneroso: viene raccomandata infatti l’adozione di misure drastiche per deportare rapidamente – prima delle elezioni di medio termine del 2026 – 12 milioni di persone.

Iniziativa che sicuramente, comporterebbero problematiche legali e operative. Tuttavia, secondo i contractor riunitisi in una nuova entità denominata 2USV, il piano consentirebbe a Trump di superare gli ostacoli alla realizzazione del suo ambizioso programma di deportazioni.

L’espulsione di 12 milioni di persone in due anni, si legge infatti nel documento, “costringerebbe il Governo ad espellere circa 500.000 immigrati clandestini al mese”. Quindi, “per tenere il passo con le deportazioni sarebbe necessario un aumento del 600% dell’attività”.

E ancora, “è improbabile che il Governo possa rafforzare i suoi ranghi per mantenere il ritmo con tale richiesta… per procedere con questo enorme numero di deportazioni, il Governo dovrebbe ricorrere ad assistenza esterna”.

La proposta dei contractor pertanto prevede un ampliamento progressivo della capacità di controllo e contrasto dell’immigrazione illegale, oltre a una serie di misure mirate a snellire – o aggirare – numerosi punti cardine della complessa legislazione sull’immigrazione degli Stati Uniti.

La formazione, per esempio, di un team di valutazione, composto da 2.000 tra avvocati e assistenti legali, per stabilire se gli immigrati individuati siano passibili di espulsione o meno. Da qui poi il trasferimento ad un’altra squadra legale, composta sempre da 2.000 avvocati e assistenti legali, per udienze di massa, per avviare rapidamente l’iter di espulsione.

Udienze per cui gli interessati verrebbero notiziati attraverso l’inserimento delle proprie generalità in un database pubblico, invece del consueto avviso di comparizione.

L’2USV propone anche la costituzione di un’unità di rintracciamento che, attraverso l’impiego di dati e registri esistenti, individui le persone da espellere; promuovendo al contempo un “programma di taglie” che elargisca ricompense per ogni immigrato illegale trattenuto da un agente delle Forze dell’Ordine, statale o locale.

In supporto al Governo nel colossale sforzo di arrestare e deportare 12 milioni di immigrati clandestini è stata suggerita la nomina di 10.000 privati cittadini, in particolare veterani delle Forze Armate, dell’Ordine e/o funzionari in pensione dell’ICE e della CBP (Customs and Border Protection; Dogane e Polizia di Frontiera degli Stati Uniti).

Una volta fornita loro un’adeguata formazione e gli stessi poteri degli agenti dell’Immigrazione, questi neo funzionari sarebbero posti sotto il comando dello “Zar della Frontiera”, Tom Homan.

 

2USV

 2USV è il nome della nuova entità in cui si sono riuniti i contractor che hanno elaborato e presentato all’amministrazione Trump il piano per supportarla nelle deportazioni di immigrati illegali. Tale compagine, che vanta la presenza di affermati e consolidati fornitori di beni e servizi al Governo degli Stati Uniti, è guidata da Erik Prince, fondatore della famigerata Blackwater.

Costituita nel 1996 per addestrare militari, agenti delle Forze dell’Ordine e di altre agenzie governative, Blackwater è diventata famosa per i suoi lucrosi contratti in Iraq e Afghanistan durante gli anni della Guerra al Terrore.

Ma non solo, incaricata della sicurezza e del supporto di diplomatici e militari americani, la PMC del Nord Carolina è finita nell’occhio del ciclone per tutta una serie di violenze e abusi, culminati nel massacro di piazza Nisour.

Nel 2007, a Baghdad, i suoi uomini hanno aperto il fuoco sui civili iracheni, uccidendone 17. Diversi contractor sono stati accusati di omicidio colposo e quattro condannati nel 2014. Tuttavia, il presidente Trump li ha graziati nel dicembre 2020, alla fine del suo primo mandato.

Oltre a Prince, nel documento programmatico sottoposto allo staff presidenziale compaiono i nomi di altri esponenti del mondo dei contractor e del procurement militare.

Troviamo Bill Mathews, ex direttore operativo di Blackwater; i funzionari dell’ICE in pensione Robert Alfieri e Michael Somers; Dirk Totten, ufficiale decorato dell’Esercito ed ex vicepresidente esecutivo di Gulfstream; Richard Pere, grande esperto di aviazione che ha lavorato con Blackwater; Ken Chavez, capo della polizia di Severance, Colorado; Louis Gobern, contractor militare che ha lavorato per il Dipartimento della Difesa; e Douglas Brennan, che ha collaborato con il Governo degli Stati Uniti e ha fondato aziende aeronautiche del valore di diversi miliardi di dollari.

 

Il contrasto all’immigrazione illegale secondo Prince

Quello del contrasto all’immigrazione illegale è uno dei settori su cui Erik Prince si è sempre concentrato anche se più con la sua progettualità imprenditoriale che concretamente.

Nel 2017, mentre dirigeva Frontier Services Group, di proprietà del colosso statale cinese CITIC Group, Prince aveva illustrato al Financial Times un piano per risolvere la crisi migratoria in Libia: una “partnership pubblico-privata” tra Unione Europea e professionisti della sicurezza privata per la gestione delle frontiere meridionali del Paese.

Nella fattispecie, la creazione di unità di Polizia di frontiera composte da personale locale, addestrato e guidato da circa 250 contractor occidentali.

Attraverso una combinazione di operazioni aeree e terrestri, successivamente, poliziotti libici e contractor avrebbero facilmente individuato ed arrestato i trafficanti di uomini. Oltre a rifocillare e rimpatriare le centinaia di migliaia di migranti impegnati nell’infernale viaggio verso il Vecchio Continente.

Una soluzione per l’Europa, ritenuta da Prince, la più umana e professionale possibile rispetto al pagamento di quelle milizie che si sono macchiate di crimini e violazioni dei diritti umani nel corso degli anni. Il tutto ad una frazione del prezzo pagato da Bruxelles per intercettare i barconi nel Mediterraneo.

E ancora, nel 2018 Erik Prince, insieme a Steve Bannon, ex consigliere di Trump ed altri importanti suoi elettori, ha deciso di partecipare alla costruzione di una parte del muro lungo il confine col Messico.

A fronte del rifiuto del Congresso di finanziare l’opera e tutta una serie di ostacoli logistici e giudiziari, è stata avviata una campagna di crowdfunding da 25 milioni di dollari chiamata “We Build the Wall”.

Per sistemi antintrusione perimetrali ed altre soluzioni tecnologicamente avanzate da installarvi sono intercorsi colloqui con tutta una serie di compagnie di sicurezza private, tra cui Magal Security Systems, contractor israeliano che ha costruito la recinzione lungo il confine con la Striscia di Gaza.

A febbraio 2025 Bannon si è dichiarato colpevole solo dell’accusa di frode di primo grado, patteggiando una condanna a tre anni di sospensione condizionale della pena con il tribunale dello stato di New York, evitando così di scontare la pena in carcere.

Infine, oltre al più generale piano per supportare le deportazioni di massa di Donald Trump, Prince si è focalizzato sulla possibilità di trasferire in un altro Paese – o verso i Paesi d’origine – gli immigrati con precedenti penali. Un’idea che l’ex di Blackwater pare aver proposto direttamente al presidente salvadoregno, Nayib Bukele nei mesi precedenti alla vittoria di Trump.

Nell’agosto 2024, infatti, Prince aveva visitato il Centro de Confinamiento del Terrorismo (Cecot), carcere di massima sicurezza costruito a Tecoluca, un’ottantina di km ad est di San Salvador, a fine 2022. Visita a cui aveva partecipato anche Matt Gaetz, deputato repubblicano della Florida.

Simbolo del giro di vite di Bukele contro la violenza delle gang, la struttura carceraria aveva positivamente impressionato Prince che, incontrando per la prima volta il presidente salvadoregno, si era complimentato e gli aveva promesso di parlare positivamente del suo Paese appena rientrato negli Stati Uniti.

Prince avrebbe, quindi, condiviso con i suoi collaboratori l’idea di trasferire nel Cecot gli immigrati clandestini, con un considerevole risparmio rispetto alle patrie galere.

Il 3 febbraio 2025 il presidente Bukele e il Segretario di Stato americano, Marco Rubio hanno annunciato che il Paese centramericano avrebbe accolto immigrati clandestini provenienti dagli Stati Uniti; anche con precedenti penali e, addirittura, cittadinanza americana.

E proprio al Cecot sono stati trasferiti dagli Stati Uniti, per un anno e in cambio di 6 milioni di dollari, i 238 membri di gang a metà marzo, nonostante la sospensione ordinata dal procuratore Boasberg.

 

Il ritorno del “consigliere ombra”

 Erik Prince è sempre stato un grande sostenitore del Partito Repubblicano, che ha finanziato con importanti somme di denaro. Nel 2016, per esempio, ha contribuito con 250.000 dollari alla campagna elettorale di Donald Trump e con altri 100.000 a Make America Number 1, comitato di spesa indipendente che ne supportava la candidatura.

In cambio del suo supporto, Prince ha goduto di una certa influenza sull’amministrazione Trump, grazie alla quale ha portato avanti tutta una serie di iniziative imprenditoriali – e non – negli Stati Uniti e all’estero. Tra l’altro, la sorella Betsy DeVos è stata Segretaria all’Istruzione dal 2017 al 2021.

Nell’aprile 2017 Prince, come inviato informale di Trump, avrebbe incontrato alle Seychelles Kirill Dmitriev, amministratore delegato del Russian Direct Investment Fund, vicino a Putin. Un incontro organizzato dal principe ereditario degli Emirati Arabi Uniti, Mohammed bin Zayed Al Nahyan che, seppur sempre derubricato da Prince come una semplice e casuale bevuta di birra, sarebbe stato propedeutico alla creazione di una linea di comunicazione riservata tra Mosca e il presidente eletto americano.

E ancora, nell’estate 2018 Prince avrebbe contribuito a raccogliere fondi per spiare organizzazioni progressiste e democratiche, nonché esponenti repubblicani contrari a Trump. L’obiettivo era reperire informazioni compromettenti da usare contro di loro. Inoltre, i contractor della Blackwater condannati per la strage di Piazza Nisour hanno beneficiato della grazia di Trump a fine del suo primo mandato presidenziale; segnale di un certo riguardo da parte del tycoon newyorkese.

Meno fortunato, invece, il piano di Prince per la privatizzazione della guerra in Afghanistan del 2018. Nonostante, infatti, aver guadagnato il consenso presidenziale all’invio di 5.500 contractor come “mentori” a fianco delle forze di sicurezza locali, l’opposizione di un “troppo convenzionale” consigliere per la sicurezza nazionale, generale McMaster ne ha decretato il definitivo affossamento.

Con la fine della prima amministrazione Trump, Prince è stato allontanato dal Pentagono e dalla CIA da funzionari che ritenevano troppo ingombranti i suoi trascorsi e le indagini in corso a suo carico, nonché decisamente utopiche o illegali le sue proposte per l’impiego di contractor come panacea per tutte le crisi: dalle deportazioni di immigrati illegali ad operazioni contro i ribelli houthi, passando per la protezione di giacimenti minerari in tutto il mondo.

Il recente piano per il supporto alle deportazioni ha dimostrato come Prince sia tornato a gravitare nell’orbita di Trump, riguadagnando influenza e muovendosi rapidamente per sfruttarla per il perseguimento dei suoi obiettivi.

E’ stato, infatti, visto ripetutamente al Pentagono e starebbe cercando di entrare a far parte di due importanti comitati consultivi della Difesa, oltre a partecipare a chat di gruppo che includono alti funzionari del DHS, Dipartimento di Stato, della Difesa e del Consiglio per la Sicurezza Nazionale.

Artefice della sua riabilitazione una rete di stretti collaboratori di Trump che sono stati, in molti casi, messi da parte da figure di maggior peso nel primo mandato, ma che sono diventati esponenti critici nelle prime settimane del secondo. Tra questi, il segretario alla Difesa, Pete Hegseth e la controversa direttrice dell’Intelligence Nazionale, Tulsi Gabbard.

Tuttavia, almeno per il momento i contatti di Prince con la Casa Bianca restano limitati, senza aver ancora ottenuto un incontro formale per discutere dei suoi progetti.

 

Considerazioni

La determinazione di Trump nel mantenere l’ambiziosa promessa elettorale di deportare milioni di immigrati illegali ha spinto i contractor, noti per lungimiranza ed adattabilità, a cercare d’intercettare, per l’ennesima volta, i bisogni dei propri clienti istituzionali.

La loro proposta “spontanea”, infatti, oltre ad essere indicativa degli ostacoli che la Casa Bianca sta affrontando, rappresenta una ghiotta opportunità in quello che sarà, probabilmente, uno dei pochi ambiti in cui la spesa pubblica è destinata ad aumentare.

In concomitanza, infatti, con mesi di corsa sfrenata dei Repubblicani per assicurarsi maggiori risorse dal Congresso per il contrasto all’immigrazione clandestina, alti funzionari della Casa Bianca hanno tenuto numerosi colloqui con i contractor.

Il progetto presenta, tuttavia, una serie di criticità operative, legali ed etiche. Per un’operazione del genere precedenti stime dell’ICE parlavano di un costo di circa 80 miliardi di dollari, oltre tre volte la cifra prevista da Prince e dai contractor.

Senza contare che, nonostante le pressioni – poco velate – di Washington, non è garantito che i Paesi di origine degli immigrati accettino il rimpatrio forzato di milioni di persone in tempi così brevi. L’ex direttore dell’ICE, John Sandweg ha parlato, poi, di rischi di violazione di garanzie al giusto processo e statuti e regolamenti del Congresso per la tutela della privacy, come la proposta di sostituzione degli avvisi di comparizione con un database pubblico.

L’istituzione di un programma di taglie per incentivare l’arresto di immigrati illegali, in pieno stile western, poi, non solo sarebbe moralmente discutibile, ma in contrasto con leggi e regolamenti di vari Stati, contee e città. Anche la proposta di concedere a diecimila cittadini comuni il potere di agire come funzionari dell’Immigrazione con il potere di condurre arresti, continua Sandweg, verrebbe immediatamente bloccata da un tribunale.

Beatriz Lopez, co-direttrice esecutiva del gruppo di pressione Immigration Hub, ha definito quello di Prince un “piano spregevole che adotterà internamenti di massa, campi di detenzione e un esercito di civili per dare la caccia ai nostri vicini, alle nostre famiglie e ai nostri amici”. E ancora, “stiamo assistendo alla deliberata trasformazione di cittadini americani comuni (genitori che accompagnano i bambini a scuola, operatori sanitari che salvano vite, agricoltori che sfamano la nostra nazione) in bersagli che, se l’amministrazione Trump avrà la meglio, potrebbero essere braccati da una milizia irresponsabile motivata dal profitto e dai pregiudizi”.

Come per il coinvolgimento in altri settori delicati, finora considerati di esclusiva competenza statale come difesa, sanità o istruzione, quindi, le deportazioni private con un forte coinvolgimento di contractor verrebbero considerate ennesime e pericolose escalation verso un outsourcing senza più alcun limite; per molti, ormai, una vera e propria emergenza.

E proprio attraverso una dichiarazione di emergenza della Casa Bianca, l’aggiudicazione di appalti ai contractor potrebbe avvenire senza una gara d’appalto; aggirando, così, non solo quel meccanismo impostato affinché il Governo utilizzi i soldi dei contribuenti nel modo più efficiente e conveniente possibile, ma anche le diverse questioni legali, etiche ed operative precedentemente citate.

L’intento di Prince, Mathews e degli altri contractor sembrerebbe proprio muoversi in tale direzione.

Nelle prime pagine del documento programmatico del piano di supporto alle deportazioni, infatti, vengono riprese e rincarate le dosi della retorica trumpiana anti-immigrazione (stabilire se siano fondate o meno, non è l’obiettivo di chi scrive): che i democratici hanno utilizzato l’immigrazione per ottenere vantaggi elettorali, che i migranti commettono il maggior numero di crimini violenti e che l’immigrazione illegale abbia posto degli oneri inimmaginabili sui sistemi di welfare statali, sull’istruzione pubblica e sull’economia del Paese.

Sintetizzando: “Per salvare l’economia degli Stati Uniti, la nazione deve espellere quanti più immigrati clandestini, il più rapidamente possibile”.

A richieste di commenti su di un riscontro del loro progetto da parte della Casa Bianca, Mathews e Prince hanno dichiarato di non aver ricevuto alcuna indicazione o dimostrazione di interesse.

Prince ha, però, parlato di un processo burocratico in corso, che prevede, prima di esaurire tutte le capacità interne del Governo, e successivamente “se vogliono raggiungere quei numeri e quella portata, avranno ulteriormente bisogno del settore privato”.

In fin dei conti, per anni e anche sotto altre amministrazioni, i voli di deportazione sono sempre stati in gran parte gestiti dai contractor. Prince ha descritto, quindi, il suo progetto come un sistema per integrare le capacità governative con ciò che il settore privato sa fare meglio, in maniera più economica, più veloce e su larga scala.

Almeno per ora la Casa Bianca sembra tenere Prince a distanza, anche se il presidente Trump ha dichiarato che “non sarebbe contrario all’impiego di forze private per aiutarlo a realizzare il suo piano di espellere milioni di immigrati clandestini, pur non ritenendolo necessario visto che i suoi uomini stanno giù facendo un lavoro fenomenale”.

Nel frattempo, dalla proposta di Prince sembrerebbe che la Casa Bianca abbia tratto spunto per l’utilizzo di basi militari per trattenere gli immigrati clandestini e l’invio di altri al Cecot di Tecoluca.

Pertanto, se non ancora come contractor, per il contrasto all’immigrazione clandestina, pare che Prince abbia iniziato ad operare, perlomeno, come “consigliere ombra” di Trump.

Foto: United States Immigration and Customs Enforcement

 

Nato nel 1983 a Brescia, ha conseguito la laurea specialistica con lode in Management Internazionale presso l'Università Cattolica effettuando un tirocinio alla Rappresentanza Italiana presso le Nazioni Unite in materia di terrorismo, crimine organizzato e traffico di droga. Giornalista, ha frequentato il Corso di Analista in Relazioni Internazionali presso ASERI e si occupa di tematiche storico-militari seguendo in modo particolare la realtà delle Private Military Companies.

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