El Salvador, Ecuador, Congo, Haiti: nuovi orizzonti per i contractors di Erik Prince

Con il piano per supportare le deportazioni di immigrati illegali promesse dal presidente Trump, Erik Prince, fondatore della famigerata Blackwater e fornitore di servizi militari e di sicurezza privati, da febbraio è tornato prepotentemente a far parlare di sé.
Forte, infatti, del ritrovato sostegno di alcuni esponenti della nuova amministrazione della Casa Bianca, Prince ha esteso il suo giro d’affari a diversi nuovi Paesi. Tutto ciò, affiancando più o meno direttamente o, addirittura, anticipando le politiche di Washington come una sorta di ambasciatore ombra, facilitatore o apripista.
Ed eccolo, quindi, in El Salvador a progettare il trasferimento di immigrati illegali dalle patrie galere al CECOT; in Ecuador a rafforzare le capacità delle Forze dell’Ordine nella lotta al narcoterrorismo; in Repubblica Democratica del Congo a proteggere le risorse minerarie; ad Haiti a condurre operazioni militari contro le gang che imperversano nel Paese.
El Salvador
Ad aprile il quotidiano statunitense Politico è entrato in possesso di una nuova proposta presentata da Erik Prince e dal gruppo di contractor della difesa, 2USV alla Casa Bianca: il trasferimento di migliaia di immigrati illegali con precedenti penali dalle strutture di detenzione statunitensi al CECOT, carcere di massima sicurezza di Tecoluca, El Salvador.
Un’operazione di cui Prince e contractor gestirebbero gli aspetti logistici necessari a radunare e trasferire “100.000 tra i peggiori criminali” in El Salvador, passando per un campo di detenzione intermedio con una capacità di 10.000 persone.
Propedeutico allo sforzo dello staff di Prince, si legge nella proposta, sarebbe l’accesso ai fascicoli e banche dati delle Forze dell’Ordine per determinare rapidamente lo status di ogni immigrato.
Così come dovrebbe esser loro consentito di ricoprire un ruolo anche nei tribunali per l’immigrazione, per velocizzare pronunciamenti dei giudici sulle richieste di asilo e, quindi, eventuali decreti di espulsione.
Inoltre, i contractor punterebbero a collaborare anche con i pubblici ministeri per “raggiungere accordi con i detenuti, basati sul condono di una parte della loro pena detentiva in cambio dell’emissione di un ordine di espulsione”.
Al fine di evitare impugnative giuridiche legate, per esempio, alle condizioni di sovraffollamento e violenze che hanno interessato il CECOT, oppure all’applicazione del Alien Enemies Act del 1798 (legge federale che autorizza il Governo degli Stati Uniti a deportare o imprigionare cittadini stranieri di Paesi ostili in caso di guerra), sarebbe prevista la conversione di una parte della struttura carceraria salvadoregna in territorio americano.
La proposta, infatti, includerebbe una bozza per un “Trattato di Cessione” in modo che il trasferimento di un detenuto, avente così luogo esclusivamente sul suolo americano, non possa considerarsi né un’estradizione, né una deportazione.
Una volta diventata parte degli Stati Uniti d’America, la porzione di carcere verrebbe, quindi, retrolocata alle autorità di El Salvador, in modo che si occupino della gestione. Il tutto, sospendendo l’applicazione degli standard carcerari previsti negli Stati Uniti – come a Guantánamo – per evitare interrogazioni parlamentari.
Alla proposta sarebbe allegata anche una lettera del Ministro della Giustizia e della Pubblica Sicurezza di El Salvador, Hector Gustavo Villatoro, datata 13 marzo, che indica Prince “agente commerciale” per El Salvador per “raggiungere un accordo sull’uso delle carceri salvadoregne per ospitare criminali stranieri”.
La stessa preciserebbe, inoltre, che il CECOT può ospitare “fino a 40.000 criminali immediatamente” e fino a “100.000 […] nel prossimo futuro”.
In mancanza di un riscontro ufficiale della Casa Bianca, la registrazione di una LLC denominata 2USV nel Wyoming, il 9 aprile, è sintomatica della determinazione con cui Prince e contractor intendano, stavolta, aggiudicarsi un contratto con Washington.
Quello attuale, infatti, è una versione più ristretta e mirata a superare le controversie del piano presentato a febbraio e mai – perlomeno, pubblicamente – adottato. Allora si trattava di un’esternalizzazione delle deportazioni di massa con il dispiegamento, anche, di un esercito di agenti privati che avrebbe dovuto arrestare e deportare ben 12 milioni di immigrati legali, ad un costo complessivo di 25 miliardi di dollari.
Ecuador
Dopo che un’escalation di violenza legata al transito e traffico di droga dai Paesi confinanti ha portato l’Ecuador al primo posto per numero di omicidi in America Latina nel 2023, il presidente Daniel Noboa ha dichiarato guerra alle bande criminali. Dopo i primi risultati incoraggianti del 2024, i crimini hanno ripreso a crescere nel 2025.
Il 12 marzo Noboa ha, così, annunciato su X la creazione di una partnership strategica con Erik Prince per rafforzare le capacità del Paese nella lotta al narcoterrorismo e la protezione delle acque nazionali dalla pesca illegale.
Il 5 aprile Prince ha presenziato insieme al Ministro della Difesa ecuadoriano, Gian Carlo Loffredo e a quello dell’Interno, John Reimberg ad un’operazione di polizia a Nueva Prosperina, distretto della città costiera di Guayaquil conteso tra bande criminali dedite al narcotraffico.
In un video postato dal Ministero della Difesa, Prince ha dichiarato di essere stato nel Paese “per fornire alle Forze dell’Ordine e all’Esercito gli strumenti e le tattiche per combattere efficacemente le narco-gang” con lo scopo di “mettere i narcos alle strette e far sì che abbiano davvero paura di essere catturati”.
Il Ministro Loffredo ha aggiunto che la collaborazione con Prince ha segnato un “capitolo storico per la sicurezza” del Paese e che, dalle attività di addestramento e consulenza alle forze di sicurezza dell’Ecuador, gli incarichi dei suoi contractor avrebbero potuto estendersi ad un coinvolgimento diretto nelle operazioni.
Prince ha visitato anche il principale porto della città; uno dei più utilizzati dai narcotrafficanti per inviare grandi quantitativi di droga verso Stati Uniti e Europa.
A maggio il Governo dell’Ecuador ha iniziato lo studio e valutazione di un’offerta presentata da Prince dopo la sua comparsata nel Paese. Senza fornire ulteriori dettagli o indicazioni, il 5 giugno il Ministro Reimberg ha annunciato il dispiegamento dei contractor a partire da luglio.
Repubblica Democratica del Congo
Ricchissima di giacimenti di rame, cobalto, litio e coltan, la Repubblica Democratica del Congo è dilaniata da decenni di scontri nella sua parte orientale. Tra gennaio e febbraio i ribelli dell’M 23, sostenuti dal Ruanda, hanno condotto una travolgente offensiva che ha portato alla conquista di importanti centri abitati, come le città di Goma e Bukavu.
Nel frattempo, Prince avrebbe stipulato un accordo con Kinshasa per la protezione di giacimenti minerari ed un efficientamento della riscossione delle tasse ad essi collegate. Ciò attraverso, anche, la repressione del contrabbando transfrontaliero e corruzione.
Inizialmente sarebbe stato previsto un dispiegamento degli uomini di Prince a Goma, capoluogo della provincia del Kivu Nord. Tuttavia, l’avanzata dei ribelli ha obbligato ad optare per altre province più tranquille nel sud del Paese, come Katanga o Lualaba.
I contractor dovrebbero affiancare tecnici specializzati nell’identificazione e valutazione di giacimenti minerari presso le miniere più grandi, per poi espandersi in altre zone man mano che la riscossione delle tasse ed il controllo del territorio aumentano.
Ad aprile una fonte dell’ufficio del presidente congolese Tshisekedi aveva confermato la firma di un accordo di massima con Erik Prince, senza precisare il numero di effettivi né le località di dispiegamento.
Gli ultimi aggiornamenti risalgono alla prima metà di maggio e riferiscono di un Erik Prince impegnato nel reclutamento di ex soldati francesi; in particolare della Legione Straniera. Dalle operazioni di sicurezza dei giacimenti minerari ed attività estrattive e dal supporto e addestramento delle Forze Armate locali, i loro compiti potrebbero, ben presto, escalare a vere e proprie operazioni di combattimento contro i ribelli.
Grazie alla grande esperienza e conoscenza delle dinamiche e politiche dell’Africa, infatti, i legionari rappresentano un importante asset per la stabilizzazione della regione.
Così come almeno decennale è anche l’esperienza di Prince in Africa e, soprattutto, in Congo. Dal 2015, infatti, aziende a lui collegate hanno cercato di inserirsi nei settori della logistica mineraria e dei trasporti del Paese.
Nel 2017 un alto dirigente della Frontier Services Group – società allora di proprietà di Erik Prince – ed alcuni partner dell’ex presidente congolese, Joseph Kabila hanno fondato la Congo Gold Raffinerie (CGR) a Bukavu.
Nel 2023, poi, l’ONU ha accusato Prince di aver proposto l’invio di 2.500 mercenari latinoamericani provenienti da Colombia, Messico e Argentina nel Kivu Nord, per proteggere le miniere e fermare l’avanzata dei ribelli.
Nel Paese, inoltre, hanno recentemente subito cocenti sconfitte i romeni di due PMSC (Private Military & Security Companies; Compagnie Militari e di Sicurezza Private) facenti capo all’ex legionario transilvano, Horatiu Potra: Agemira e Asociata RALF.
Haiti
La situazione securitaria di Haiti, già da tempo disastrosa, si è ulteriormente aggravata nel 2021, con l’assassinio del presidente Jovenel Moïse ad opera di mercenari colombiani.
Lo scorso anno, poi, alcune delle bande armate attive nel Paese si sono unite in una coalizione chiamata Viv Ansanm e hanno intensificato le violenze. Tanto che, negli ultimi mesi, le Nazioni Unite hanno avvertito che la capitale, Port-au-Prince rischia di cadere sotto il loro completo controllo.
Tutto ciò, mentre la missione internazionale guidata dal Kenya ha sostanzialmente mancato il raggiungimento dei suoi obiettivi e la polizia haitiana, sottodimensionata e mal equipaggiata, non riesce a tenere testa ai criminali.
Popolazione ed istituzioni, decisamente esasperati, si sono dichiarati favorevoli a misure estreme e a qualsiasi aiuto dall’estero.
E così, dei contractor americani, tra cui Erik Prince, avrebbero stipulato un contratto con il Governo di Haiti per costituire una task force ed impiegare droni commerciali, armati con ordigni esplosivi improvvisati, per eliminare esponenti delle gang.
Secondo Pierre Esperance, direttore dell’organizzazione dei diritti umani RNDDH, da marzo a fine maggio gli attacchi dei droni avrebbero portato alla morte di circa 300 persone. Tra queste non vi sarebbero vittime civili – la scarsa trasparenza delle autorità e la difficoltà di accedere alle zone colpite non consentono bilanci credibili, ma nemmeno quegli obiettivi di alto valore tanto ricercati.
Tuttavia, dichiara una fonte governativa “sebbene nessun leader sia stato ancora eliminato, un numero significativo di membri delle gang è stato ucciso o ferito” e “per la prima volta, la Polizia sta iniziando a esercitare una pressione reale su di loro e le sue capacità stanno aumentando. Quindi, confidiamo di vedere un miglioramento della situazione nei prossimi mesi”.
Oltre ai droni, Prince prevederebbe anche la mobilitazione di circa 150 veterani americani di origini haitiane e caraibiche da inviare in loco, entro l’estate. Già il 26 marzo 2024, su X, infatti, aveva postato che sarebbero bastati “100 validi consulenti [di polizia] che collaborano con il resto delle unità di polizia locali per ridurre le bande e il caos”.
Rodenay Joseph, veterano dello US Army e proprietario della società di sicurezza privata People’s Choice Security, ha dichiarato di essere stato contattato da Prince per ottenere un elenco di operatori con i sopraccitati requisiti. Al rifiuto di comunicargli dettagli più precisi sulla missione e di concedergli il comando sul campo, però, Joseph non ha più fornito i nominativi.
Si è dichiarato, inoltre, contrario al coinvolgimento dei contractor stranieri nel Paese, ritenendo che gli haitiani possano risolvere la situazione da soli e che l’esternalizzazione della lotta al crimine non consentirebbe lo sviluppo delle necessarie competenze di Polizia ed Esercito locali.
Alla smentita di un coinvolgimento del Dipartimento di Stato americano di essere tra i finanziatori di Prince, Joseph ha manifestato un forte disagio all’idea che il fondatore di Blackwater lavori direttamente con il Governo haitiano: “Dovremmo essere molto preoccupati perché se lui [Prince] lavora per il Governo USA, potrebbe sembrare di dover almeno rendere conto al Congresso. Se opera per conto proprio, per un suo contratto, non deve spiegazioni a nessuno.” E ha aggiunto “si tratta solo un’altra opportunità commerciale”.
Prince avrebbe, comunque, rivelato l’intenzione di trasferire uomini da El Salvador ad Haiti, insieme a tre elicotteri d’attacco e di aver già spedito loro un grosso carico di armi nel Paese.
Secondo una fonte a lui vicina, infine, il suo obiettivo finale sarebbe quello di accaparrarsi anche la gestione di dogane, trasporti, riscossione delle tasse e altri servizi necessari alla stabilizzazione del Paese.
Nel frattempo, quella di Haiti e contractor è una convivenza di lungo corso e non sempre indolore. Quando gli americani hanno riportato al potere l’ex presidente Jean-Bertrand Aristide nel 1994 dopo essere stato deposto da un sanguinoso colpo di stato militare, della sua sicurezza è stata incaricata la Steele Foundation di San Francisco.
Per citare qualche esempio più recente pensiamo ai contractor che hanno operato sull’isola nell’immediato post-terremoto del 2010; ai colombiani che nel 2021, al soldo della società americana CTU Security LLC, hanno assassinato il presidente Moïse; oppure alla canadese GardaWorld che nel maggio dell’anno scorso si è aggiudicata un contratto da 30 milioni di dollari per supportare la missione di polizia internazionale guidata dal Kenya.
Per non parlare dei presunti tentativi del Cremlino, rivelati nei Pentagon Leaks, di insediarsi nel Paese attraverso contratti per il contrasto alle bande criminali tra il Gruppo Wagner ed autorità locali.
Considerazioni
Poco dopo l’insediamento di Trump a gennaio, nel suo podcast, Erik Prince aveva annunciato che per gli Stati Uniti era giunto il tempo di riprendersi il proprio ruolo imperiale ed esercitare tutta la loro influenza militare ed economica in Africa e Sudamerica.
Esortazione che, Prince, aveva già cercato di mettere in atto da mesi o anni, attraverso proposte imprenditoriali in tutta una serie di Paesi che potessero rientrare tra gli obiettivi di politica estera dell’attuale amministrazione della Casa Bianca.
Tanto da spingere Sean Mcfate, ex contractor, professore ed esperto del mondo delle PMSC ad affermare: “vale sempre la pena osservare dove si muove Prince, perché è un indicatore di dove, secondo lui, potrebbe finire Trump per cercare sempre di trarne profitto”.
Tra le priorità del Presidente degli Stati Uniti, infatti, una parte importante è occupata dalla stabilità politica e accesso alle risorse minerarie in Africa e America Latina. Due continenti, questi, che sono sicuramente importanti per Washington, in cui i suoi principali concorrenti hanno una consolidata presenza, sia diretta con truppe e funzionari, che attraverso le proprie PMSC: Gruppo Wagner, Afrika Corps, Redut e Bear russe o le varie PSC (Compagnie di Sicurezza) cinesi.
Da una parte, infatti, Trump e, conseguentemente, Prince, ritengono che la stabilizzazione dell’America Latina possa ridurre la pressione di flussi migratori e traffici di stupefacenti ai confini meridionali degli Stati Uniti. Il 10 marzo 2024, su X, Prince aveva già motivato la sua volontà di intervenire ad Haiti in questo modo: ” Vale la pena salvare questi Paesi, anche solo per proteggere l’America” e “[…] sono 11 milioni di persone che soffrono davvero ad Haiti. Preferirei aiutarle dove vivono e non vedere 11 milioni di rifugiati haitiani invadere la Florida”.
Parlando di Ecuador, invece: “Mi sta a cuore aiutare l’Ecuador a stabilizzarsi e a respingere il narcotraffico, affinché possano avere pace e prosperità qui [in Ecuador]”.
Una stabilizzazione di Paesi con alti tassi di criminalità attraverso il supporto a leader amici, addestramento delle Forze di Sicurezza, controllo delle acque territoriali, implementazione di meccanismi tributari e burocratici e, addirittura, partecipazione diretta ad operazioni e ostilità.
Per non parlare, al contrario, della destabilizzazione di governi ostili. Si pensi al Venezuela, da tempo nel mirino. Nel 2019 Prince aveva proposto un piano per rovesciare il presidente Maduro utilizzando dei mercenari. L’anno successivo diversi ex militari statunitensi e latinoamericani della società Silvercorp USA hanno lanciato l’Operazione Gedeón; un maldestro tentativo di golpe in territorio venezuelano.
In seguito alle controverse elezioni di luglio 2024 che hanno visto la rielezione di Maduro, poi, Prince ha iniziato a sostenere un nuovo movimento di opposizione chiamato Ya Casi Venezuela (Il Venezuela è quasi qui). Ha pubblicato in rete un conto alla rovescia e ha lanciato una campagna di crowdfunding per il finanziamento di una presunta operazione. Dopo settimane di raccolta fondi, però, il piano militare non è mai stato attuato.
Per quanto riguarda il suo ruolo, a seconda dei casi e del grado di endorsement ottenuto da Washington, Prince ha assunto quello di ambasciatore ombra, facilitatore e apripista, negoziando direttamente con i vertici dei vari Paesi. Ciò perseguendo i propri interessi, ma anche quelli di Washington e, addirittura, anticipandoli.
Per esempio, ha iniziato a negoziare con Nayib Bukele, presidente di El Salvador ancora lo scorso anno, prima dell’elezione di Trump, lanciando per la prima volta l’idea di utilizzare le loro carceri per gli immigrati.
I colloqui sono, poi, accelerati dopo le elezioni americane, con la consegna dei suoi piani prima della visita del Segretario di Stato Marco Rubio in El Salvador, all’inizio di febbraio. Addirittura, Prince è stato definito dal Ministro della Giustizia e della Pubblica Sicurezza di El Salvador “agente commerciale” per raggiungere accordi per l’utilizzo delle carceri salvadoregne per criminali stranieri. Gli incontri ufficiali tra le parti si sono svolti, successivamente, alla Casa Bianca con accordi per il trasferimento dei 200 presunti membri della gang Tren de Aragua ed il versamento da parte degli Stati Uniti di 6 milioni di dollari a El Salvador.
In Ecuador il presidente Noboa ha sempre invocato l’aiuto straniero per combattere i gruppi criminali; a Donald Trump, per esempio, ha chiesto di classificare le bande locali come organizzazioni terroristiche straniere e starebbe, secondo la CNN, preparando il terreno per l’arrivo di un contingente di soldati americani.
Alla domanda della stampa sulla possibilità di chiedere aiuto alla Cina in ambito sicurezza, Noboa ha risposto di non averla mai esclusa.
Per il momento, a scongiurarla, ci ha pensato la partnership strategica con Prince che, durante il suo sopralluogo a Guayaquil, si è schierato pubblicamente al fianco di Noboa, alla vigilia delle elezioni presidenziali per un suo ulteriore mandato, poi ottenuto.
Prince ha invitato gli ecuadoriani a votare contro la sfidante di sinistra, Luisa González, paventando il rischio di una “venezuelizzazione” del Paese, con tutta la criminalità, socialismo e disperazione che ne sarebbero conseguiti.
Il contratto di Prince in Congo, invece, si inserisce in un più ampio dialogo tra Kinshasa e Washington per uno scambio minerali-sicurezza non troppo diverso di quello tra USA e Ucraina. Anche in questo caso le garanzie che gli Stati Uniti intendono fornire non sono ancora state chiarite e affidare la sicurezza dei giacimenti minerari ai contractor potrebbe essere una delle opzioni sul tavolo. Il ruolo di Prince, quindi, si posizionerebbe tra il consueto perseguimento di fini privati e la sicurezza nazionale, stabilizzando la regione e contrastando l’influenza cinese nella corsa globale ai minerali. Tutto ciò, in controtendenza ai precedenti affari in Africa, conclusi da Prince ai vertici della sua (ex) FSG, controllata dal colosso cinese CITIC Group.
Quello che Prince sta proponendo in tutti questi Paesi è un approccio commerciale alternativo, più discreto ed indiretto rispetto a quello di Washington, basato sul tradizionale hard power che tanto antiamericanismo ha disseminato in giro per il mondo.
Sia in patria che all’estero, Prince vuole testare le potenzialità delle PMSC in operazioni parallele alla diplomazia ufficiale. Grazie allo status giuridico ambiguo e la mancata necessità di approvazioni parlamentari, queste realtà, un tempo ancillari ai governi, risultano oggi sempre più rilevanti per contesti così delicati come quelli analizzati.
Prince ha dimostrato ancora una volta di essere profondamente radicato nel mondo delle PMSC, di avere legami economici e strategici che spaziano da Washington a Pechino e di guidare, da tempo e più di chiunque altro, la riscossa delle Compagnie Militari e di Sicurezza Private.
Tuttavia, per sua stessa ammissione, “il suo nome è diventato un’esca per i click, per chi ama intrecciare teorie del complotto” e, ogni volta che viene rispolverato, si genera sempre tanto clamore. Nel raccontarne le gesta, quindi, l’uso del condizionale è quanto mai d’obbligo.
Foto: Erik Prince, Casa Bianca e US DoD (militari statunitensi lungo il confine col Messico)

Pietro OrizioVedi tutti gli articoli
Nato nel 1983 a Brescia, ha conseguito la laurea specialistica con lode in Management Internazionale presso l'Università Cattolica effettuando un tirocinio alla Rappresentanza Italiana presso le Nazioni Unite in materia di terrorismo, crimine organizzato e traffico di droga. Giornalista, ha frequentato il Corso di Analista in Relazioni Internazionali presso ASERI e si occupa di tematiche storico-militari seguendo in modo particolare la realtà delle Private Military Companies.