Da Trump la “tempesta perfetta” sull’industria europea della Difesa?

 

“L’Europa non può produrre le armi per l’Ucraina, Sarà l’America a fornirle”. Lo ha affermato l’ambasciatore statunitense presso la NATO, Matthew Whitaker, sottolineando che l’Europa non è in grado di produrre i sistemi d’arma necessari a sostenere l’Ucraina nel conflitto contro la Russia.

In un’intervista concessa a Fox News (citata in Italia dall’Agenzia di Stampa Parlamentare (AGENPARL), Whitaker ha illustrato la strategia a lungo termine degli USA in materia di difesa europea. “La realtà è che al momento l’Europa non è in grado di produrre gli armamenti necessari sul campo di battaglia in Ucraina o in caso di un potenziale conflitto in Europa”.

Whitaker ha sottolineato che gli Stati Uniti sono il principale produttore di sistemi d’arma compatibili con le esigenze attuali del conflitto, e che forniranno questi sistemi all’Europa, che a sua volta li acquisterà per destinarli a Kiev, come aveva anticipato il presidente Donald Trump.

È un modo davvero intelligente di procedere,” ha aggiunto Whitaker, elogiando l’efficacia della cooperazione transatlantica sul piano industriale-militare. Di certo questa iniziativa è molto “smart” per gli interessi degli Stati Uniti, non certo per quelli dell’Europa che dovranno spendere 10 miliardi di dollari per comprare armi e munizioni negli Stati Uniti da fornire a Kiev.

La continuazione del conflitto in Ucraina costituirà così un buon affare per l’industria della Difesa statunitense mentre quella europea vedrà le nazioni che hanno aderito, o stanno aderendo all’iniziativa degli USA ma sottoscritta e caldeggiata dal segretario generale della NATO Mark Rutte, disporre in futuro di meno risorse da investire nei programmi militari nazionali.

Non deve stupire che diverse nazioni, Italia e Francia in testa (non a caso produttori del SAMP/T concorrente del Patriot) ma anche la Repubblica Ceca, non abbiano accettato di finanziarie l’acquisto di armi negli Stati Uniti per rifornire Kiev.

Forse anche perché da più parti sta emergendo “l’inconfessabile” consapevolezza che l’Ucraina non potrà rovesciare le sorti della guerra con tali forniture di armi “made in USA” pagate dagli europei, impegnati a sperperare risorse preziose per arricchire l’industria statunitense penalizzando quella domestica.

Persino l‘Alto rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas, solitamente agguerrita  filo-americana e anti-russa, ha espresso qualche dubbio sull’iniziativa di Trump evidenziando che “se paghiamo per queste armi, è il nostro sostegno. Quindi è un sostegno europeo, e stiamo facendo tutto il possibile per aiutare l’Ucraina. Quindi l’appello è che tutti facciano lo stesso. Se prometti di fornire le armi, ma dici che qualcun altro le pagherà, non le stai realmente fornendo tu”.

Che si tratti di acquistare in America i fondi di magazzino già a disposizione delle forze armate USA o di ordinare nuove armi e munizioni all’industria d’oltreoceano per l’Europa sarà comunque deleterio.

Come ha sottolineato l’agenzia  AGENPARL le parole dell’ambasciatore Whitaker “riflettono una crescente dipendenza europea dalla tecnologia militare americana, aggravata dall’incapacità del comparto industriale europeo di sostenere autonomamente il fabbisogno bellico del conflitto ucraino.

A dispetto dei tentativi di potenziare la produzione interna, i ritardi e i limiti infrastrutturali continuano a rallentare l’autonomia strategica del continente.

La dichiarazione arriva in un momento in cui i paesi europei stanno aumentando gli stanziamenti per la difesa, ma con risultati ancora insufficienti. Il modello proposto dagli USA implica una subfornitura a pagamento, dove Washington arma e l’Europa finanzia”.

A questo dobbiamo aggiungere altre due considerazioni. Innanzitutto gli europei sono già grandi acquirenti di armi e tecnologia militare statunitense (missili Patriot, lanciarazzi campali HIMARS, aerei da combattimento F-35 e F-16 in testa…) e che questa tendenza è cresciuta enormemente dopo l’inizio della guerra in Ucraina, trainata soprattutto dalla Germania già con il Governo Olaf Scholz.

La seconda considerazione riguarda le ampie forniture di sistemi d’arma surplus delle forze armate statunitensi con cui, fin dal 2022, Washington ha compensato presso le forze armate di diverse nazioni dell’Est Europa la cessione a Kiev degli equipaggiamenti di origine russo-sovietica (ben noti ai militari ucraini) di cui avevano ampie scorte i Paesi che hanno fatto parte del Patto di Varsavia.

Come ha evidenziato nel marzo scorso Analisi Difesa, i “dati forniti dall’ultimo rapporto del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) sui trasferimenti di armi nel mondo mostrano una crescente dipendenza europea dagli acquisti di armamenti Made in USA.

Dal 2020 al 2024, anni caratterizzati dall’invasione russa dell’Ucraina, le importazioni di equipaggiamenti militari statunitensi da parte dei Paesi europei della NATO hanno rappresentato il 64 per cento del totale contro il 52 per cento nel periodo 2015-2019.

Un dato a ben guardare incompleto poiché, anche se il rapporto SIPRI non lo dice, gran parte dei sistemi d’arma acquisiti dagli europei in Israele (sistemi di difesa aerea) e Corea del Sud (aerei da addestramento e combattimento, semoventi d’artiglieria, lanciarazzi campali e carri armati) contengono tecnologia statunitense”.

Il tema quindi non è certo nuovo e Analisi Difesa lo aveva esplicitato già tre anni or sono con l’articolo Guerra in Ucraina e industria della Difesa: i rischi per l’Europa pubblicato il 29 agosto 2022 in cui si palesava un grave rischio.

“Il crescente successo nei mercati europei dei prodotti statunitensi della Difesa rappresenta un grave rischio per l’apparato industriale europeo sia perché si tratta di nazioni aderenti alla Ue sia perché è sul consolidamento di un robusto e diffuso procurement continentale che si giocherà il futuro e la sopravvivenza dell’industria della Difesa del Vecchio Continente”.

Se accettiamo la logica della corsa al riarmo in emergenza, solo in ambito terrestre gli Stati Uniti hanno un ampio surplus di mezzi corazzati, blindati, protetti e di artiglieria tenuti in riserva in aggiunta ai mezzi in servizio attivo (tra cui spiccano 1.500 carri Abrams, oltre 2.800 veicoli da combattimento M2/M3 Bradley, ben 8.000 cingolati M113 e derivati e 850 obici semoventi da 155mm M109A6) con cui potrebbero rifornire tutta Europa acquisendo il mercato della Difesa.

Armare quasi completamente con produzioni statunitensi le forze armate ucraine ed europee aumenterà la dipendenza da Washington per logistica e supporto aiutando la il radicamento dell’industria americana in Europa.

La progressione e il consolidamento di questa tendenza rischia quindi di sottrarre ulteriormente mercato all’industria europea, favorendo inizialmente la produzione su licenza presso gli stabilimenti europei di prodotti statunitensi

Non è un caso che nel maggio 2024 gli allora Alto rappresentante europeo per la Politica Estera e di Sicurezza, Josep Borrell e il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg esortavano gli stati europei a cedere all’Ucraina tutti i sistemi di difesa aerea in loro possesso.

Il presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen nel gennaio 2024 espresse l’apprezzamento per l’iniziativa industriale promossa in gennaio dalla NATO e raccolta da Germania, Olanda, Romania e Spagna che porterà a produrre in Europa mille missili Patriot. Intesa rafforzata nel maggio 2024 dall’accordo tra Lockheed Martin e la spagnola Oesia per produrre in Spagna componenti per i Patriot PAC-3 MSE.

Un percorso di produzioni su licenza che rischia di portare gradualmente le aziende europee a non avere più propri prodotti competitivi o a perdere i mercati in cui venderli, anticamera della vendita ai grandi gruppi statunitensi di cui costituirebbero le filiali europee.

Per scongiurare un tale rischio c’è solo una strada: concludere il conflitto in Ucraina e indurre Kiev ad accettare una sconfitta che eviterebbe una disfatta. Whitaker nell’intervista a Fox News dice il vero, evidenziando come la continuazione della guerra in Ucraina costituirà un buon affare per l’industria della Difesa statunitense. Non certo per quella europea.

Dobbiamo già fare i conti col disastro energetico determinato dalla contrapposizione a Mosca e dalla decisione della Ue di accettare il diktat di Washington che dal 2014 voleva imporci di rinunciare all’energia russa per comprare quella molto più costosa statunitense.

Giusto per avere un quadro attuale di questo grave problema, Roberto Arditti su Formiche ha recentemente  ricordato che “nel 2024 il prezzo medio dell’elettricità per uso industriale in Europa si è attestato intorno a 0,19-0,20 euro al kWh, mentre negli Stati Uniti è stato circa 0,075 euro e in Cina circa 0,08 euro. Il gas naturale racconta la stessa storia: tra 48 e 58 euro per MWh in Europa, contro circa 10 euro negli Stati Uniti e circa 36 euro in Cina”.

Sostenere l’Ucraina e potenziare le nostre forze armate con armi ed equipaggiamenti statunitensi contribuirà ulteriormente a rendere non competitivi i già troppo costosi (vedi sopra la tabella del Kiel Institute relativa ai costi dei carri armati) prodotti europei per la Difesa e a regalare il mercato di un’Europa sempre più vassalla alle grandi major americane del settore.

Foto: Commissione UE. Fox News, US Department of State,  US DoD, NATO e Forze Armate tedesche

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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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