Operazione Praesidium: con i militari italiani alla Diga di Mosul

Reportage di Fausto Biloslavo da “Gli occhi della guerra” del 12 marzo 2017

DIGA DI MOSUL – I fanti dell’aria della brigata Friuli, veterani dell’Afghanistan, scattano sull’attenti sul bordo della pista, al passaggio degli ufficiali, con il saluto che ricorda gli antichi legionari. La missione Prima Parthica dei 1500 soldati italiani in Iraq prende il nome da una gloriosa legione, che si era spinta fino in queste terre ai tempi dell’impero romano.

La task force Praesidium ha il compito di difendere la grande diga di Mosul a soli 38 chilometri dal centro della “capitale” del Califfo stritolata dalla furiosa offensiva delle truppe irachene contro le bandiere nere.

Per raggiungere l’opera strategica voluta da Saddam Hussein ci imbarchiamo su un elicottero Nh 90 dell’aviazione dell’esercito scortati da un Mangusta d’attacco.

I mitraglieri sui portelloni aperti controllano di continuo il terreno. Sopra la diga i piloti sganciano i bengala prima di atterrare, che servono a deviare eventuali razzi o missili terra aria.

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I bersaglieri del primo reggimento della task force Praesidium sono già pronti a muovere lungo il cerchio di postazioni che con 500 uomini garantisce la sicurezza della diga lunga 3 chilometri. E dei 2400 civili, compresi 300 italiani, che ci lavorano per puntellarla. L’opera sul fiume Tigri sta cedendo.

Se il bacino di 9 milioni di metri cubi d’acqua esondasse il Vajont iracheno travolgerebbe non solo Mosul, ma pure la capitale, Baghdad, in sei ore.

Le postazioni sulle colline sono trincerate. Un bersagliere è piazzato con un missile controcarro dietro dei sacchetti di sabbia. “Il dispositivo italiano è integrato con le forze di sicurezza irachene all’esterno della base” spiega il generale Francesco Maria Ceravolo.

E ci fa notare una colonna di mezzi italiani e dei Peshmerga, i combattenti curdi, che pattugliano assieme l’area al di là dei reticolati.

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Il vicecomandante della coalizione di 63 nazioni che combatte lo Stato islamico è l’unico autorizzato a parlare. Per ordine di Roma gli altri militari devono tacere e non si può nemmeno chiedere ai giovani bersaglieri cosa provano a difendere la diga ed in fondo a far parte di un piccolo pezzo di storia, che sarà ricordato come l’inizio della fine dello Stato islamico con la liberazione di Mosul.

“La coalizione in Iraq ha il compito di sconfiggere Daesh (il Califfato nda). – sottolinea il generale – In quest’ambito i militari italiane si dedicano principalmente all’addestramento delle forze di sicurezza irachene e con un assetto dell’aviazione dell’esercito al recupero di personale isolato o disperso nel nord dell’Iraq. Anche a Mosul se necessario”.

Le bandiere nere sono appena a 12 chilometri sulle montagne di Badoush, che si stagliano all’orizzonte. Per resistere hanno scavato tunnel e negli ultimi mesi non sono mancati lanci di razzi o colpi di artiglieria contro la diga.

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“I terroristi hanno provato a colpire la diga con attacchi suicidi e lanci di ordigni, ma con l’aiuto dei soldati italiani abbiamo sempre sventato i loro tentativi” spiega il colonnello Mohammed Abdullah, che comanda le forze curde attorno alla diga. “Non ci sono notizie di volontari jihadisti giunti dall’Italia a Mosul, ma abbiamo trovato documenti che minacciano Roma, obiettivo di conquista per Daesh (lo Stato islamico)” rivela l’ufficiale.

La ditta Trevi si è aggiudicata l’appalto di 273 milioni di euro per rimettere in sesto la struttura che sprofonda. I lavori dureranno tutto l’anno. Si lavora nel tunnel interno alla diga, ma anche nel bacino con i sommozzatori. “Alla battaglia di Mosul non ci pensiamo.

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Ci sentiamo sicuri con l’esercito italiano” spiega l’ingegnere capo Pierluigi Miconi. Il problema, più che di un attacco diretto, sono le centinaia di lavoratori locali che ogni giorno entrano ed escono dalla diga. Tutti vengono sottoposti a rigorosi controlli, ma in Iraq spie o quinte colonne possono annidarsi ovunque.

I bersaglieri hanno a disposizione anche sistemi di segnalazione speciali, che rivelano a chilometri di distanza movimenti sospetti. Una volta scattato l’allarme una squadra specializzata lancia un drone, gli occhi dal cielo dei nostri militari.

Il contingente italiano impegnato in Iraq è secondo solo agli americani come numero di uomini. Oltre alla protezione della diga i nostri militari hanno già addestrato 20mila iracheni e curdi.

A meno di 10 chilometri dalla prima linea di Mosul sono dislocati delle squadre dei corpi speciali presso il comando avanzato della divisione di reazione rapida irachena, che sostiene l’assalto da sud.

I militari arrivano dal 9° reggimento d’assalto paracadutisti Col Moschin, dagli incursori del Comsubin della Marina e dai commando del 17° stormo dell’Aeronautica. In Iraq operano anche i carabinieri del Gruppo intervento speciale.

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I compiti principali sono addestramento e consulenza alle unità irachene. Le squadre a ridosso del fronte hanno l’ordine draconiano di non avvicinarsi alla linea del fuoco, ma forniscono “supporto a domicilio” come spiega la Difesa in linguaggio politicamente corretto.

Ovvero informazioni di intelligence o tramite i droni sugli obiettivi oppure grazie ai nostri caccia che decollano dal Kuwait e vanno a finire nel flusso di informazioni della coalizione.

Molti alleati non hanno restrizioni. Americani, francesi, inglesi, neozelandesi, canadesi, australiani e pure finlandesi seguono i corpi speciali iracheni in prima linea e combattono la battaglia storica della fine del Califfato a Mosul.

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