L’Ucraina adotta una legge sulla reintegrazione del Donbass

La Verkhovna Rada dell’Ucraina ha adottato un disegno di legge presidenziale sulla “reintegrazione del Donbass”. Questa risoluzione è stata approvata da 280 parlamentari con un minimo richiesto di 226 voti. Secondo il disegno di legge, i territori del Donbass che non si trovano sotto il controllo di Kiev, sono riconosciuti come “occupati”, s’intende, da forze d’occupazione russe. In tal documento la Federazione Russa viene definita “Paese-aggressore”.

Questo particolare sposta il confronto su un piano completamente diverso, con la possibilità che si arrivi a conseguenze negative di grande portata. Il documento conferisce al presidente Petro Poroshenko (nella foto sotto) il diritto di utilizzare le forze armate nella regione, in tempo di pace, per garantire la sovranità del paese. Ciò legittima l’uso dell’esercito senza alcuna dichiarazione di guerra.

Le Forze Armate Ucraine (VSU) partecipano già alle operazioni militari nel Donbass, tuttavia, con questa legge, le loro attività vengono regolamentate anche in campo legislativo. Fino ad ora Kiev ha sempre definito le sue operazioni militari nel Donbass come ATO (Operazione Anti-Terrorismo).

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Nel disegno di legge è stato inoltre escluso il punto relativo all’attuazione degli accordi di Minsk per la risoluzione del conflitto. Al suo posto, si propone di fare affidamento alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per il Donbass.

Poroshenko è convinto, grazie a questa legge, di poter mandare un segnale importante sul destino della Crimea e del Donbass, secondo il presidente, ancora “parti integranti” dell’Ucraina. Ecco le sue parole su Facebook: “Continueremo a spianare la strada con mezzi politici e diplomatici per il reintegro delle terre ucraine occupate”.

La Crimea è tornata ad essere nuovamente russa dopo il referendum del marzo 2014, in cui oltre il 95% degli abitanti della regione ha votato per tornar a far parte della Russia. Tuttavia, l’Ucraina considera ancora la penisola come un proprio territorio, “temporaneamente sotto occupazione russa”, nonostante Mosca abbia ripetutamente dichiarato che i crimeani, democraticamente, in conformità col diritto internazionale e la Carta delle Nazioni Unite hanno votato per la riunificazione con la Russia.

Non sono tardate le reazioni dei leader delle autoproclamatesi Repubbliche del Donbass. Alexandr Zakharchenko capo della Repubblica Popolare di Donetsk (DNR), non ha nascosto le sue perplessità: “Poroshenko ha dichiarato che (tale legge) ci avrebbe dato la possibilità di tornare più rapidamente in Ucraina. Nel suo significato questa legge consentirà di sciogliere le mani ai militari ucraini e d’introdurre la legge marziale”. Sempre secondo Zakharchenko, Kiev non vuole una soluzione pacifica del conflitto, ma “si prepara a combattere e quindi predispone una piattaforma politica”.

Un dato certo è che, con questa legge, l’Ucraina si ritira dagli accordi di Minsk. Epilogo abbastanza prevedibile in considerazione del fatto che Kiev non ha mai riconosciuto alcuna soggettività alle due Repubbliche Popolari di Donetsk e di Lugansk.

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A Mosca il capo del Comitato per gli affari internazionali del Consiglio della Federazione, Konstantin Kosachev, è convinto che dietro la rapida adozione della legge sulla “reintegrazione del Donbass” ci sia Washington: “È una situazione estremamente pericolosa.

È una tendenza estremamente preoccupante. Sembra sia iniziato un “tiro alla fune” tra Washington e Bruxelles, dove l’Ucraina – non è niente di più che una pedina di scambio in ambito globale. Tuttavia, in questa notizia c’è molto degli Stati Uniti. Secondo alcuni rapporti, è stato Washington, contrariamente alla posizione di Bruxelles, ad insiste sulla rapida adozione della legge sopra citata.”.

Ricordiamo che l’11 dicembre 2017 Trump ha firmato una legge, sul budget della difesa degli Stati Uniti per il 2018, che prevede lo stanziamento di 350 milioni di dollari sotto forma di assistenza militare all’Ucraina. La legge autorizza la fornitura a Kiev di armi letali di “natura difensiva”, inclusi i missili anticarro Javelin (missili con un raggio d’azione di 2-3 km, dotati di altissimo potere di penetrazione).

Anche se dall’inizio della guerra USA e NATO non hanno mai fatto mancare il loro supporto a Kiev, con tale provvedimento gli Stati Uniti ampliano significativamente i parametri del loro sostegno all’Ucraina nel campo della sicurezza e della difesa.

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Gli USA in questi anni hanno già fornito all’esercito ucraino diversi equipaggiamenti “non letali”: radar antimissile, giubbotti antiproiettile, visori notturni, presidi medici, razioni alimentari… anche veicoli multifunzione Humvee (che l’esercito americano sta gradualmente sostituendo con i nuovi JLTV della Lockheed Martin).

Dall’inizio della guerra, presso il Combat Training Center di Yavoriv, nell’Ucraina occidentale, opera la Joint Multinational Training Group-Ukraine, la missione di addestramento condotta dalle forze statunitensi a sostegno dell’Ucraina.

Fino ad ora lo scopo strategico della presenza militare americana nel paese, principalmente, è stato quello di addestrare e rendere l’esercito di Kiev in grado di operare e d’interagire con il sistema militare della NATO, non solo con l’esercito USA, ma anche con altri membri dell’Alleanza, soprattutto Polonia e Repubbliche Baltiche.

Dopo l’accerchiamento di Debaltzevo del febbraio 2015, che segnò una dura sconfitta all’esercito ucraino, e il tentativo più o meno riuscito di stabilizzare la situazione al fronte grazie agli accordi di Minsk, negli ultimi due anni la guerra in Ucraina orientale si è sostanzialmente trasformata in guerra di posizione, a bassa intensità, congelata sulla linea di contatto.

Questa “bassa intensità” ha permesso a entrambi gli schieramenti di riorganizzarsi e strutturarsi. Tuttavia anche grazie al supporto occidentale, l’esercito ucraino, ora, rispetto al passato, si presenta meglio armato e addestrato con un numero di unità di gran lunga superiore a quelle delle due Repubbliche secessioniste.

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Dopo i tentativi falliti da parte dell’Ucraina di internazionalizzare il conflitto, se non con un appoggio diretto della NATO, almeno con l’introduzione di truppe occidentali sotto l’egida dell’ONU nei territori delle due Repubbliche fino al confine con la Russia, sembra che Kiev stia ora perdendo la pazienza e voglia passare alle maniere forti.

Bisogna però valutare se l’escalation che seguirà all’applicazione della legge sulla “reintegrazione del Donbass” sarà solo l’ennesima sfida alla Russia, o se, invece, anticiperà la preparazione di una nuova offensiva militare da parte di Kiev per reintegrare definitivamente il Donbass con la forza.

Per ciò che concerne una reintegrazione della Crimea, appare una probabilità assai remota. Putin è stato categorico: “La questione Crimea è definitivamente chiusa”. Non si vedono altre alternative se non una guerra totale contro la Russia, potenza atomica mondiale.

Pochi mesi fa, molto realisticamente, il viceministro ucraino per i Territori Occupati e per i Profughi Interni Georgy Tuka, in una sua dichiarazione, ha ammesso che nessuna legge potrà mai consentire il ritorno della Crimea e del Donbass sotto il controllo delle autorità ucraine. Per quanto riguarda la Crimea, è convinto che potrà ritornare a essere nuovamente parte dell’Ucraina solo dopo “la distruzione della Russia come Stato”.

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Non si spiega quindi l’attivismo ucraino, a meno che sia motivato dalla speranza di coinvolgere gli USA e la NATO. Ma supposto che l’UE, la NATO e gli USA siano propensi, per la Crimea, ad iniziare una guerra potenzialmente su vasta scala contro la Russia con il rischio che si arrivi all’uso delle atomiche.

Anche la legge per la “reintegrazione del Donbass”, pur riflettendo pienamente il punto di vista di Kiev, si discosta significativamente dalla realtà sul campo.

Le posizioni di Kiev, infatti, raffigurano i territori delle due Repubbliche come se fossero sotto occupazione russa, presupponendo il desiderio della popolazione locale di ricongiungersi al più presto con l’Ucraina per liberarsi dal giogo dell’invasore.

Versione che può sembrare verosimile solo a chi non conosce la realtà sul posto. Innanzitutto la popolazione delle regioni orientali è russofona e prevalentemente di origine russa, ed è diventata “ucraina”, dopo il crollo dell’URSS, quando i documenti dei cittadini da sovietici sono diventati ucraini. Che la popolazione del Donbass si senta orientata verso la Russia in contrapposizione alle istanze antirusse degli ucraini occidentali è un dato di fatto, per tutta una serie di cause storiche, molto prima del cambio di potere conseguente alla rivolta di Maidan.

Per capire l’orientamento filorusso della popolazione di Donetsk e Lugansk è sufficiente osservare l’andamento delle scorse tornate elettorali presidenziali del paese. Se ad esempio prendiamo l’esito delle elezioni presidenziali del 7 febbraio 2010, con Viktor Yanukovich e Juliya Timoshenko candidati alla presidenza, vediamo che a Donetsk il 90.44% e a Lugansk l’88.96% della popolazione ha votato per Yanukovich, candidato decisamente più su posizioni filorusse rispetto alla rivale.

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Kiev non considera nemmeno il peso delle tante vittime tra la popolazione civile del Donbass dovute alla guerra. Stime ufficiali, non solo della due Repubbliche, ma anche di organismi internazionali parlano di migliaia di morti tra i civili, compresi centinaia di bambini, senza contare i feriti e l’ampia distruzione sulle infrastrutture: industriali, civili, sociali.

Una nuova opzione militare, per reintegrare i territori secessionisti certamente determinerà delle perdite impressionanti di civili. Predisponendo le forze armate a questo compito, la definizione “reintegrazione” suona come un eufemismo. I territori da reintegrare hanno milioni d’abitanti, ai quali bisognerebbe almeno prospettare quali sarebbero i vantaggi di un eventuale ritorno all’interno dell’Ucraina. Da parte di Kiev non c’è stata nessuna “conquista dei cuori e delle menti” in questi anni.

Il deputato della Verkhovna Rada, Evgenij Rybchinskij, alla fine di novembre dell’anno scorso parlando della “reintegrazione del Donbass” ha usato parole di disprezzo verso gli abitanti di quella regione.

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“Non mi interessa la vita degli scarafaggi. Anche se nascono milioni nella mia cucina, non vuol dire che la cucina apparterrà loro”. La sua ricetta per il Donbass: “Nessuna votazione per almeno dieci anni, nessun canale, né giornale russo, nessun regime dei visti con la Russia, ma un lavoro attivo di propaganda nella regione. Ecco come dovrebbe apparire la vera integrazione”.

Rimane poi l’incognita “Russia”. Quale sarà la sua reazione, anche alla luce del fatto che ora è stata trascinata in campo con l’accusa di essere “Paese-aggressore”?

Se gli Stati Uniti si sentono legittimati a mandare armamenti e truppe per aiutare gli ucraini a ragion maggiore i russi confinanti avranno altrettante, se non addirittura più ragioni, per aiutare i russofoni del Donbass. Un’offensiva su vasta scala contro le due Repubbliche, non si farà attendere a lungo e potrebbe scattare a marzo, quando il governo russo sarà pienamente assorbito dalle elezioni presidenziali.

Foto: AP, Reuters, Kommnersant e RIA Novosti

 

Eliseo BertolasiVedi tutti gli articoli

Laureato con lode in Lingue e Letteratura straniere araba e russa all'Università di Sassari e in Scienze antropologiche ed etnologiche all'Università di Milano Bicocca. Ha conseguito un Diploma in Emergenze e interventi umanitari all'ISPI. E'ricercatore associato e analista all'Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) di Roma, redattore della rivista Geopolitica. Corrispondente dal Donbass per "Voce della Russia – Italia". Ex-parà della Folgore ha inoltre conseguito la qualifica di Paracadutista alla Scuola Superiore delle Aviotruppe russe a Rjazan. Pilota privato d'aereo, pilota commerciale d'elicottero.

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