Migranti illegali, Ong e politica europea: quante ipocrisie contro l’Italia

Il 30 giugno il Presidente federale tedesco Frank-Walter Steinmaier ha dato voce ad un sentimento molto diffuso in Germania, l’impulso morale ad agire per accogliere i migranti e la richiesta all’Italia di “non criminalizzare le Ong impegnate a salvare vite umane nel Mediterraneo centrale”.

Appelli del genere sono stati lanciati all’Italia in molte occasioni negli ultimi 14 mesi da molti politici europei, primo tra tutti il presidente francese Emmanuel Macron.

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In Germania le Ong sono apertamente sostenute e finanziate dalla Chiesa cattolica e dalle Chiese evangeliche mentre sul piano politico Francia e Germania chiedono insistentemente all’Italia di aprire i porti alle Ong ma non vogliono aprire i loro neppure a rotazione.

Berlino e Parigi prevedono infatti di suddividere in tutta Europa solo il 10% degli sbarcati, senza occuparsi del restante 90%. Chiedono anzi di riportare in Italia, Spagna e Grecia centinaia di migliaia di “migranti secondari” sbarcati negli anni scorsi negli Stati Ue mediterranei e poi stabilitisi nel Nord Europa.

La difesa acritica delle Ong contiene poi una implicita accusa rivolta all’Italia e a Malta di lasciar affogare i migranti. Non è una accusa da poco da parte di chi chiede di non criminalizzare gli altri soprattutto se si tiene conto che le forze navali italiane (Marina, Guardia Costiera e Guardia di Finanza) dal 2013 hanno soccorso in mare ben più di mezzo milione di migranti illegali sbarcandoli tutti in Italia.

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Nessuno nel mondo ha salvato tante vite in mare negli ultimi anni quanto l’Italia e ritrovarsi sul banco degli imputati è veramente curioso. Ancora oggi, ogni volta che una Ong crea un caso davanti ad un porto della Sicilia, il governo italiano è il primo ad evacuare minori e persone in effettivo stato di necessità, senza chiedere o aspettare Bruxelles. I famosi accordi ad hoc di ripartizione degli sbarcati riguardano sempre il residuo degli uomini giovani e forti che non corrono nessun pericolo.

Il variegato fronte dei fans delle Ong arriva a sostenere che i migranti hanno il diritto naturale di fuggire dai loro Paesi, dipinti come perennemente in preda alla fame ed alla guerra (fuggono per salvarsi la vita) anche se per lo più si tratta di Paesi in pace e spesso inseriti nella lista delle cosiddette “tigri africane” per gli alti tassi di crescita delle loro economie.

Secondo gli “immigrazionisti” l’Italia avrebbe invece l’obbligo morale e legale di accoglierli in base al concetto che chi ostacola la loro migrazione li condanna a morte. Uno sterminio di massa equivalente alla Shoa ebraica per mano dei nazisti. Esagerazioni? Certamente, ma l’insistita demonizzazione di chi richiama le Ong al rispetto delle regole è sotto gli occhi di tutti.

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Peraltro, l’assunto che i migranti abbiano il diritto di fuggire perché i loro Paesi di origine non saranno mai in grado di svilupparsi da soli è discriminatorio, per non dire razzista.

Queste tesi del mondo delle Ong, talvolta sostenute appunto anche da elevati livelli istituzionali di Paesi che pur si dicono amici dell’Italia, prima ancora che inaccettabili sono sbagliate, smentite dai fatti e ledono profondamente la reputazione di chi le sostiene.

La pretesa di poter agire unilateralmente al di fuori della legalità è insostenibile e distrugge ogni presunzione di superiorità morale invocata a giustificazione delle proprie azioni. Se le Ong non vogliono essere criminalizzate basta che si attengano ai dettami del diritto internazionale e nazionale dei Paesi in cui operano senza abusi e forzature. Il video dello speronamento in porto di una motovedetta della Guardia di Finanza italiana è in rete e tutti possono vederlo.

 

Il business dei soccorsi e dell’accoglienza

Nel 2018 la riduzione dell’80% dei migranti illegali giunti in Italia ha permesso al bilancio statale di risparmiare 1,6 miliardi di euro. Soldi precedentemente spesi in gran parte finanziando associazioni, cooperative ed Ong dedite a soccorso e accoglienza, spesso vicine alla Chiesa cattolica e a movimenti legati ai partiti di sinistra.

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Un vero e proprio business dell’accoglienza con migliaia di addetti, non sempre motivati da impulso morale. Un settore dove anzi la presenza del crimine organizzato (nazionale ed extracomunitario, a cominciare dalla mafia nigeriana) è purtroppo molto ben documentata.

Questo business in Italia è stato ridotto dell’80% e non stupisce quindi che siano molti di coloro che incassavano cifre elevate, rimasti ora senza finanziamenti pubblici, non risparmino lamenti e insulti contro il governo nato dalle elezioni del marzo 2018. E’ evidente che se l’Italia tornasse alla situazione precedente al 2018, le associazioni dedite all’accoglienza, anche quelle cattoliche, tornerebbero a incassare miliardi di euro solo in Italia.

E’ altrettanto chiaro a tutti che l’obiettivo delle Ong (e dei loro sponsor) non è solo quello dichiarato di salvare vite in mare, ma anche e soprattutto quello di portare i migranti in Europa, meglio se traghettandoli in Italia con un deliberato favoreggiamento del fenomeno globale della migrazione illegale di massa verso l’Europa.

La rotta del Mediterraneo centrale è solo una delle tante gestite dai trafficanti. Assume importanza mediatiche in Germania a causa dell’azione di alcune associazioni private impegnate a favorirla. Ong che giustificano il proprio operato sul piano giuridico con un calcolato mix, sapientemente selettivo, di richiami al diritto internazionale (in particolare le norme sulla Ricerca e Soccorso – SAR), al Diritto europeo di Asilo (regole di Dublino) e alle norme nazionali dei vari Paesi in materia di Asilo e Sicurezza. Non a caso alcune dedicano il 10% delle donazioni ricevute per le spese legali.

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Le costanti sfide, molto mediatiche, alle autorità italiane sono anche funzionali alla raccolta di donazioni come quella da 50mila euro del capo della Conferenza episcopale tedesca, il vescovo Reinhard Marx (nella foto a sinistra), a Sea Watch con l’obiettivo di far cadere la linea dei “porti chiusi” del governo italiano su cui convergono anche le insistenti proposte di Parigi e Berlino.

Secondo i dati Frontex, nel 2019 la pressione migratoria maggiore è nell’Egeo e lungo la rotta balcanica, seguita da quella occidentale verso la Spagna. Il Mediterraneo centrale è solo al terzo posto con circa 1/3 dei numeri della Spagna.

Se c’è oggi una crisi migratoria in Europa è dunque lungo la rotta balcanica dove arrivano persone da Paesi difficili come Afghanistan, Pakistan, Iran e Iraq. Per quanto riguarda l’Africa, chi migra non sono i più deboli e indifesi, ma chi ha le capacità fisiche ed economiche di affrontare il viaggio. Al 90% non si tratta di persone veramente bisognose di protezione internazionale, ma di migranti economici (nel 2016 il direttore di Frontex, Fabrice Leggieri, parlò di “80% di migranti economici” tra quelli sbarcati in Italia dalla Libia “che possono e devono essere espulsi”.

 

L’immigrazione illegale finanzia crimine e terrorismo

L’attraversamento del Mediterraneo è a pagamento a beneficio di trafficanti di esseri umani. Soppesando bene le parole, non si tratta quindi quasi mai di “disperati”, ma al contrario di persone “determinatissime” ad arrivare in Europa (e spesso con una buona disponibilità di denaro per gli standard africani) costi quello che costi.

Ben sapendo di non averne diritto, per poter presentare domanda di asilo politico e beneficiare del generoso sistema di accoglienza che questo comporta in Europa, molti migranti distruggono i propri documenti e dichiarano il falso. Il mondo delle Ong giustifica (anzi spesso incoraggia) questa prassi per favorire sbarchi e forme di asilo e accoglienza.

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Se migrare ovunque si voglia rivolgendosi a criminali (che secondo i servizi d’intelligence di mezzo mondo sono collusi con le organizzazioni terroristiche islamiche) è un diritto, mentire diventa una necessità: molti si dichiarano minorenni o omosessuali anche se non lo sono per ottenere ospitalità e forme di sostentamento in Europa.

Una volta giunti in Europa senza averne diritto, i migranti abusano del sistema di accoglienza concepito per i Rifugiati politici e non certo per chi persegue solo obiettivi economici.

Tecnicamente è una truffa, tanto più riprovevole in quanto le vittime non sono solo i contribuenti italiani ed europei, che vedono le loro tasse spese a beneficio di chi non ne ha diritto, ma i veri rifugiati politici che scappano veramente da guerre e persecuzioni, che vedono il sistema dell’accoglienza abusivamente intasato da altri.

Una volta radicati nel vecchio continente, i migranti illegali e le associazioni che li assistono contano infine sulla oggettiva difficoltà ad attuare le espulsioni.

 

Ong e trafficanti hanno interessi coincidenti

Se è comunque comprensibile la richiesta di non criminalizzare le Ong, come ha detto il Presidente Steinmaier, è altrettanto legittimo chiedere alla Germania di prendere atto che, nel Mediterraneo centrale, il modus operandi delle Ong è un oggettivo fattore di attrazione che favorisce i trafficanti di esseri umani.

I trafficanti pubblicizzano su Facebook il loro servizio di attraversamento del mare offrendo ai migranti anche la prospettiva di trasbordo su di una nave Ong come garanzia di arrivo in Italia. Anche quando non ci sono contatti diretti con le Ong (come invece affermano o millantano i trafficanti), il fatto che pubblicizzino la loro geolocalizzazione in mare sui social media costituisce in sé un fattore di attrazione.

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Come illustrato il mese scorso dal Ministro maltese Michael Farrugia all’ultimo Consiglio dei ministri dell’Interno della Ue di Helsinki, già questo coinvolgimento indiretto basta a configurare favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Infatti la nota interpretativa dell’articolo 8 dei Travaux préparatoires alla Convenzione di Palermo del 2000 e al relativo Protocollo addizionale sul traffico di migranti interpreta il concetto di “nave coinvolta in caso di favoreggiamento di immigrati clandestini”, ove il termine “coinvolta” (“engaged”) è riferito sia ai casi di coinvolgimento diretto sia a quelli di coinvolgimento indiretto.

La narrativa secondo cui le navi Ong sono essenziali per salvare vite umane in mare, purtroppo, non corrisponde al vero. Al contrario, la loro attività aumenta il rischio di inaccettabili perdite umane.

Il fenomeno dei gommoni sovraccarichi – palesemente incapaci di reggere la traversata, quindi molto pericolosi per i migranti – si basa infatti sul presupposto che l’imbarcazione venga soccorsa dopo poche miglia di navigazione e che il viaggio sia completato grazie alle navi di salvataggio, militari ai tempi dell’operazione Mare Nostrum e successivamente civili con l’arrivo delle Ong.

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La questione della collaborazione diretta o indiretta dei trafficanti con le Ong merita approfondimenti e chiarimenti. Ci sono stati casi di gommoni trainati dai trafficanti sottobordo le navi delle Ong: un “segreto di Pulcinella” verificabile dai video che si trovano in rete.

E’ così che è nata la fama delle Ong come “taxi del mare”, definizione che apparve, riferita alle navi delle Ong, nel rapporto “Risk Analysis 2017” redatto dall’agenzia europea delle frontiere (Frontex).

Questo fenomeno di commistione con gli scafisti fu denunciato già dai precedenti governi italiani, che chiesero alle Ong di aderire ad un codice di condotta che comportava diverse misure tra le quali avere poliziotti italiani a bordo, il divieto di spegnere il trasponder che ne segnala la posizione e di interferire con le operazioni di soccorso gestite dalla Guardia Costiera libica.

(FILES) This file photo taken on November 05, 2016 shows migrants and refugees on a rubber boat waiting to be evacuated during a rescue operation by the crew of the Topaz Responder, a rescue ship run by Maltese NGO "Moas" and the Red Cross, on November 5, 2016 off the coast of Libya. Italian Foreign Minister Angelino Alfano on April 29, 2017 said he "agreed 100 percent" with a prosecutor Carmelo Zuccaro who has repeatedly suggested charity boats rescuing migrants in the Mediterranean are colluding with traffickers in Libya. / AFP PHOTO / ANDREAS SOLARO

La risposta fu negativa per diverse Ong che iniziarono a incunearsi unilateralmente nel coordinamento SAR del Mediterraneo tramite il sistema privato di Alarm Phone per cercare di dettare loro le modalità di intervento. Una deliberata strumentalizzazione della normativa SAR mirata ad indirizzare i flussi in Italia dichiarando lo stato di necessità ed invocando il porto più vicino, ma saltando regolarmente Tunisi e Malta.

La verità è che con la politica della fermezza adottata nell’ultimo anno dal governo italiano i morti in mare si sono drasticamente ridotti e si potrebbero azzerare se si riuscisse a non far salpare neppure un’imbarcazione gestita dai trafficanti di esseri umani.

Questo sarebbe un successo senza precedenti, ovviamente se l’obiettivo fosse sinceramente quello di evitare la perdita di vite umane e non il traghettamento dei migranti illegali in Europa. Ecco allora che i morti in mare diventano funzionali alla giustificazione dell’iniziativa delle navi ONG.

 

Rifugiati in fuga dalla guerra?

Anche la narrativa – secondo cui i migranti che fuggono dalla Libia in barca sono tutti veri profughi in fuga dalla guerra e dalle persecuzioni, ed è quindi obbligatorio soccorrere ed accoglierli – si scontra con alcune evidenze difficilmente contestabili.

La prima è che per fuggire da Tripoli bastano due ore di autobus verso la Tunisia, che durante la guerra del 2011 accolse infatti un milione e mezzo di profughi, tutti rimpatriati grazie a in ponte aereo dell’ONU. Perché mai allora mettersi in mare su barche fatiscenti pensando di attraversare a pagamento il Mediterraneo?

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La seconda è che il 90% degli sbarcati in Italia risultano poi non essere legittimi richiedenti asilo, ma semplici migranti economici.

La terza è che il Governo di Tripoli a cui Ue è quello creato, riconosciuto e sostenuto dalle Nazioni Unite a cui la Ue e soprattutto l’Italia forniscono motovedette e addestramento per arginare i flussi di migranti illegali riportandoli indietro (quasi 6mila nei primi otto mesi del 2019) per poi farli rimpatriare dall’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni che ne ha riportati nei paesi di origine oltre 40mila negli ultimi due anni con voli charter decollati dall’aeroporto tripolino di Mitiga.

Il quarto punto è rappresentato dal fatto che dei 642 mila migrati presenti in Libia, la stragrande maggioranza non punta a venire in Italia e in Europa ma lavora e vive stabilmente nella ex colonia italiana come ha registrato un recente rapporto dell’OIM.

Se una parte infinitesimale dei miliardi di euro sperperati in Italia e in Europa nell’accoglienza di immigrati illegali fosse stata investita nel potenziamento delle capacità navali della Guardia Costiera libica e nel sostegno alla cooperazione tra Tripoli e le agenzie dell’ONU, il problema sarebbe stato risolto da tempo con l’accoglienza decorosa in Libia e il successivo rimpatrio di tutti i migranti diretti clandestinamente in Europa.

 

La battaglia in punta in diritto

Le ONG spendono il 10% dei finanziamenti raccolti in avvocati ed invocano regolarmente le altrui violazioni di diritto a giustificazione della propria condotta. La verità è che vi è un sistemico abuso delle norme SAR con il metodo di simulare salvataggi in mare di persone in stato di necessità (obbligatori) per coprire intercettazioni mirate al traghettamento di migranti illegali in Europa (vietati).

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Le norme SAR impongono ad ogni Stato di intervenire in salvataggio di chi è in effettivo (grave ed imminente) pericolo di vita. L’esperienza dimostra un costante intervento delle Ong nelle acque SAR libiche, mirato a battere sul tempo la Guardia Costiera nel trasbordo dei migranti. Queste operazioni non si possono quindi più definire come salvataggi di chi è in effettivo stato di pericolo, ma sono semplici intercettazioni in mare mirate al trasbordo di migranti illegali ed al loro traghettamento in Europa.

La giustificazione addotta per questo modus operandi è la necessità di non far tornare gli intercettati in mare in Libia perché non si tratta di un porto sicuro e la loro vita vi sarebbe in pericolo.  Questo esula tuttavia dallo spirito e dalla lettera della normativa SAR. Tale estraneità è del resto dimostrata dalla sistematica pretesa di scegliere loro stesse il “port of safety” (POS) dove sbarcare i migranti evitando con cura il Paese sicuro più vicino, che è abitualmente la Tunisia ed in subordine Malta.

Malta viene spesso esclusa perché non ha firmato il Protocollo Aggiuntivo del 2004 alla Convenzione di Amburgo e non si sente obbligata ad applicare le norme SAR ad intercettazioni in mare di questo tipo. Se non si tratta di veri salvataggi non concede mai il POS, se non in caso di disponibilità di altri Paesi Ue ad accogliere i migranti come accaduto in questi giorni con la nave Ocean Viking gestita da Medici senza Frontiere con 356 clandestini a bordo.

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Del resto una volta trasbordati i migranti sulle navi delle Ong nessuno è più in pericolo di vita e l’imbarcazione può proseguire la sua navigazione verso altre destinazioni. Questo è perfettamente legale per Malta, senza che per questo il suo governo venga demonizzato da alcuno.

Il diritto internazionale prevede esplicitamente che la nave soccorso sia essa stessa un “Place of Safety” dove la vita dei salvati non è più in pericolo (art. 6.14 del Protocollo Aggiuntivo del 2004 alla Convenzione SAR di Amburgo del 1979 che recita:

 A place of safety may be on land, or it may be aboard a rescue unit or other suitable vessel or facility at sea that can serve as a place of safety until the survivors are disembarked to their next destination).

Se la vita dei salvati in mare non è più in pericolo non vi è l’automatica necessità di procedere ad uno sbarco immediato nel POS più vicino. In tal caso la nave delle Ong può tranquillamente continuare a navigare fino al proprio Paese di bandiera. Quanto sopra vale a maggior ragione quando le Ong trasportano a bordo non salvati, ma intercettati in mare. Frutto cioè di condotte irregolari, come i trasbordi in acque SAR di Paesi terzi per battere sul tempo la Guardia Costiera del luogo.

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Nel 1979 Roma inviò tre navi della Marina Militare nel Pacifico a recuperare in mare i boat people vietnamiti (veri rifugiati) e li riportò in Italia, non certo in Germania od in Francia.

Diverso il caso in cui la nave non sia in grado di garantire la sicurezza delle persone a bordo. In tal caso le dovrebbe essere vietato condurre operazioni SAR mettendo a repentaglio la vita sia dell’equipaggio che degli intercettati in mare.

L’esperienza dimostra che navi delle Ong, pur di prevenire l’intervento elle motovedette libiche, trasbordano molte più persone di quante ne potrebbero accogliere su quegli scafi. Denunciano poi uno stato di necessità a bordo e chiedono di poter sbarcare in un POS in Italia. Una simile condotta è inaccettabile perché mette deliberatamente a rischio i migranti e li strumentalizza come forma di ricatto. Essa prefigura non solo il deliberato favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ma pone seri problemi di sicurezza nazionale.

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Anche lo stesso Protocollo Addizionale del 2004 alla Convenzione SAR di Amburgo del 1979 (commenti finali di diritto internazionale, punto 5) ricorda che ogni Stato ha il diritto sovrano di difendere i suoi confini e di escludere persone indesiderate dal suo territorio.

Il Diritto del Mare (art. 21 Convenzione UNCLOS) riconosce la facoltà di regolare il “passaggio inoffensivo” proprio al fine di prevenire l’immigrazione clandestina. Il testo recita:

As a general principle of international law, a State’s sovereignty allows that State to control its borders, to exclude aliens from its territory and to prescribe laws governing the entry of aliens into its territory. A State’s sovereignty extends beyond its land territory and internal waters to the territorial sea, subject to the provisions of UNCLOS and other rules of international law. Further, as provided in Article 21 of UNCLOS, a coastal State may adopt laws and regulations relating to innocent passage in the territorial sea to prevent, among other things, the infringement of that coastal State’s immigration laws.

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 Migrazione, legalità e difesa della sicurezza dei cittadini sono e restano le priorità che uno Stato dovrebbe garantire. Migrare in cerca di una vita migliore è certamente una aspirazione legittima, ma non conferisce il diritto di violare confini, norme SAR e leggi dei Paesi di transito e di destinazione.

L’incapacità di combattere il fenomeno della clandestinità produce legittimo allarme sociale, sfiducia e chiusura dei confini. Meglio ricordare che la Francia ha sospeso gli accordi Schengen da ormai tre anni adducendo ragioni di sicurezza.

Del resto qualsiasi politica di gestione dei flussi migratori deve partire dal rispetto del principio di legalità mentre occorre prendere atto che è in primo luogo l’illegalità diffusa a produrre allarme, intolleranza e chiusura.

 

L’accoglienza in Europa incentiva i traffici

Proporre meccanismi di sbarco automatico degli intercettati in mare dalla Ong costituisce un enorme fattore di attrazione dell’immigrazione illegale. Nessuno in Europa vuole vedere nuove ondate migratorie come quella del 2015 sulla rotta dei Balcani (circa un milione di persone) o come quella che tra il 2013 e il 2017 portò in Italia 667 mila migranti illegali dalla “rotta libica” con i loro inaccettabili costi umani, sociali, economici e politici.

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Il richiamo selettivo alle regole di Dublino sul Diritto di Asilo è parte integrante del modus operandi delle Ong, apertamente sostenuto dall’UNHCR. Quando le domande di asilo respinte arrivano a livelli del 90% è tuttavia evidente che si è davanti ad un sistematico abuso di diritto.

Una strategia deliberatamene basata sulla difficoltà di immediato rimpatrio dei clandestini recuperati in mare (nel trasporto aereo invece, un passeggero senza documenti viene automaticamente rispedito indietro con il vettore che lo ha portato) e sulla ancora maggiore difficoltà di rimpatrio dei clandestini dopo alcuni anni di radicamento indebitamente lucrati in Europa.

I migranti sbarcano in Italia, ma il loro obiettivo è sfruttare la libera circolazione per trasferirsi in Germania, Francia, Inghilterra e Nord Europa dove ci sono già reti di accoglienza (legali ed illegali) di amici e partenti, dove ci sono maggiori opportunità e l’assistenza più generosa.

Gli accordi di Dublino vorrebbero impedire questi movimenti secondari bloccando i migranti nel primo Paese di arrivo. Proposte di ripartizione degli sbarcati che si limitano al 10% – le persone che hanno effettivo diritto alla protezione internazionale – e lascia il restante 90% – i migranti economici illegali – a carico del Paese in cui i clandestini sono sbarcati non possono certo definirsi solidali.

Scontri politico-ideologici a parte la battaglia con l’Europa sui migranti illegali riguarda strettamente la difesa degli interessi nazionali. Va ricordato che fu il ministro dell’Interno Marco Minniti del PD (governo Gentiloni) ad avviare un contenimento dei flussi migratori illegali poi implementato e  rafforzato dalla politica dei “porti chiusi” anche con rigide misure nei confronti delle Ong quando al Viminale si è insediato Matteo Salvini.

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Minniti nel 2017 lamentò per primo, ma senza polemizzare con Bruxelles, che le navi militari europee dell’Operazione Sophia sbarcavano solo e unicamente in Italia i migranti illegali soccorsi in mare.

Pratica poi vietata dal governo Lega-M5S con la chiusura dei porti italiani anche alle navi miliari straniere cariche di migranti col risultato che i tutti i partner Ue hanno ritirato le loro navi dall’operazione navale europea composta ora solo da velivoli che, ovviamente, non possono imbarcare in mare immigrati clandestini.

Non è possibile pensare di risolvere una problematica che è di tutta l’Unione Europea attraverso la creazione di hotspot solo in pochi Stati di frontiera marittima. L’obiettivo primario deve essere quello di bloccare i flussi migratori illegali e chiudere tutte le scappatoie giuridiche di chi invece teorizza un’accoglienza indiscriminata ed illimitata.

Meglio ricordare, specie a chi accampa ragioni umanitarie, che in Italia sono stato accolte solo persone che avevano pagato i trafficanti per venire in Europa.

Alla pari delle norme SAR, anche il regolamento di Dublino non è stato concepito per affrontare la migrazione illegale di massa poiché si basa sulle Convenzioni sui Rifugiati di Ginevra degli anni ‘50.

Norme scritte in un contesto internazionale molto diverso dal mondo di oggi. Erano gli anni della guerra fredda e per rifugiati si pensava alle persone che scappavano dal blocco sovietico. Ai tedeschi dell’Est che scappavano in Germania Ovest. Stessa cultura, stesso popolo. Oggi invece una valutazione oggettiva della legittimità di una domanda di asilo politico riferita a situazioni molto geograficamente e culturalmente lontane è diventata molto complessa.

 

Politiche di asilo e politiche migratorie

Il sovraccarico di domande da parte di persone che non ne hanno diritto paralizza poi il sistema e facilita ulteriormente gli abusi. Non è un caso se Paesi come la Danimarca hanno recentemente rivisto la loro legislazione in materia di accoglienza dei Rifugiati ed il tema è molto sentito in tutto il mondo.

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I richiedenti asilo provenienti dal Sud Est Asiatico o dall’Asia Centrale, prima di arrivare in Germania hanno attraversato 10-12 Paesi. La loro vita era in pericolo durante tutto il percorso? La stessa valutazione vale per chi fugge da paesi dell’Africa subsahariana e del Sahel.

Una persona che fugge la persecuzione potrebbe accedere alla protezione internazionale già oltre la frontiera dal suo Paese di origine, dove subisce persecuzioni o la sua vita è a rischio, come prevede la Convenzione di Ginevra e come è accaduto per decenni.

Gli “immigrazionisti” e i sostenitori delle Ong confondono e sovrappongono deliberatamente richiedenti asilo e migranti economici, in modo da poter abusivamente estendere a questi ultimi i benefici previsti solo per i primi. È una condotta moralmente inqualificabile, come se chi arriva al pronto soccorso con codice bianco pretendesse e ottenesse di prendendo il posto dei codici rossi bisognosi di cure immediate perché in effettivo pericolo.

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Le prime vittime sono i più fragili e deboli rimasti indietro o condannati a restare più a lungo nei campi profughi nel mondo.

Un abuso orrendo ma incredibilmente giustificato in vario modo. Ad esempio argomentando che la popolazione europea è in declino e necessita di importare lavoratori immigrati, che i migranti non hanno alternative legali per entrare in Europa ecc. ecc.

In primo luogo ogni Stato ha il diritto (e il dovere davanti ai propri cittadini) di scegliere con cura la provenienza dei migranti economici da accogliere in base alla loro reale necessità e alla facilità di integrazione linguistica, culturale e religiosa senza subire “invasioni” peraltro gestite da organizzazioni criminali.

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Inoltre, per evitare che le norme europee sul diritto di asilo siano tanto abusivamente estese da vedersi applicate anche alle migrazioni economiche, occorre che l’Europa adotti una radicale distinzione tra Politica di Asilo e Politica Migratoria, oggi totalmente assente.

I trattati Ue prevedono la piena occupazione come obiettivo prioritario ma in Europa ci sono Paesi con tassi di disoccupazione molto elevati (dal 14% della Spagna al 10% di Francia ed Italia) con milioni di cittadini senza impiego.

Una politica migratoria europea dovrebbe riflettere la situazione del mercato del lavoro dell’Unione, applicando criteri di convergenza verso il pieno impiego e puntando alla riduzione della disoccupazione, non al suo incremento allo scopo di contenere i salari.

In molti sostengono che in Europa c’è bisogno di solidarietà. In tal caso la Commissione dovrebbe indirizzare i Paesi che hanno bisogno di importare manodopera, come la Germania, in primo luogo a cercarla all’interno dell’Unione favorendo al tempo stesso investimenti e apertura di aziende e stabilimenti nei paesi Ue a maggiore disoccupazione.

@GianandreaGaian

Foto: Marina Militare, AFP, Unione Europea, Frontex, Eunavfor Med, Sea Eye, MOAS e Guardia Costiera Libica

 

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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