Ennesimo flop della Ue: l’Operazione Irene resta una chimera

Ancora un flop per l’Unione Europea, ormai giunta sotto il livello minimo di credibilità. Dopo la mancata solidarietà sanitaria e finanziaria all’Italia colpita dalla grave epidemia di Coronavirus, la Ue non è riuscita neppure a varare l’Operazione Irene con la quale si era impegnata, dopo la Conferenza di Berlino del gennaio scorso, a garantire il rispetto (almeno sul mare) dell’embargo decretato dall’ONU sulle forniture di armi alle fazioni libiche.

Sull’avvio dell’operazione navale Irene, che dovrebbe sostituire l’Operazione Sophia (che però aveva anche compiti di contrasto ai trafficanti di esseri umani e da un anno è priva di navi), “ci sono ancora questioni pendenti”, che riguardano principalmente “la ridistribuzione” di eventuali migranti salvati in mare, ha detto il 23 marzo l’Alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell, al termine di una videoconferenza con i 27 ministri degli Esteri. Borrell ha auspicato che “sia trovato un accordo nei prossimi giorni, entro la fine del mese”.

Fregata Schleswig Holsetein

La vicenda mostra quale infimo livello di deterrenza e credibilità militare sia in grado di esprimere oggi l’Unione.

L’obiettivo di bloccare flussi di armi diretti in Libia porterebbe di fatto le navi dell’Unione a scontrarsi con i turchi che riforniscono di armi Tripoli utilizzando cargo scortati da fregate della Marina di Ankara ma il vero problema su cui si è arenata Irene è quello dei migranti.

Pattugliare le acque davanti ai porti della Tripolitania sotto il controllo del Governo di accordo nazionale (GNA) di Fayez al-Sarraj costituirebbe un sicuro fattore di attrazione per trafficanti e migranti clandestini ma siccome nessuna nazione europea vuole rischiare di dover soccorrere migranti illegali che l’Italia non intende più accogliere (almeno finché perdura l’emergenza Coronavirus) e gli altri partner Ue non intendono sbarcare nei rispettivi porti, l’Operazione Irene resta congelata.

Nel tentativo di sbloccare la situazione Borrell ha accettato che la forza navale Ue operi più a est, nelle acque di fronte alle coste controllate dall’esercito Nazionale libico (LNA) di Khalifa Haftar (da dove non sono mai salpati migranti clandestini) e la condizione che nel caso barconi e gommoni carichi di clandestini si dirigessero verso le navi Ue l’operazione Irene verrebbe sospesa e le navi ritirate.

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Misure che rendono perfettamente l’idea di quale assurda percezione delle operazioni militari domini la politica estera (se proprio vogliamo chiamarla così) della Ue.

L’ipotesi che flotte da combattimento composte da fregate da mezzo miliardo di euro ognuna vengano messe in fuga da gommoni e barconi dei trafficanti   ben evidenzia quale peso strategico e geopolitico sia oggi in grado di rivestire l’Unione Europea.

151118 Soprattutto perché la soluzione al problema sarebbe molto semplice: annunciare che eventuali migranti illegali soccorsi in mare verrebbero consegnati dalle navi dell’Operazione Irene alla Guardia Costiera libica o alle agenzie dell’ONU (UNHCR e OIM) a Tripoli.

Del resto riportare indietro i migranti illegali lo hanno fatto negli ultimi anni mercantili privati, navi militari turche, forse anche le autorità maltesi, la polizia spagnola a Ceuta e Melilla, le navi della Guardia Costiera greca impegnate nelle acque sul confine turco e le navi della Marina Australiana e nessuno dei paesi citati ha subito per questo ripercussioni, sanzioni o embargi internazionali.

I cosiddetti respingimenti in Libia assicurerebbero diversi vantaggi:

  • salverebbero vite scoraggiando ulteriori partenze di clandestini
  • favorirebbero la linea assunta dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che ha negato ogni disponibilità ad accettare nuovi sbarchi in Italia in questa fase di emergenza in cui è Roma a chiedere aiuto per l’epidemia di Coronavirus
  • farebbero cadere le riserve sull’operazione navale di Austria, Ungheria e altri Paesi che temono nuovi flussi di migranti illegali e programmi di ridistribuzione interna alla Ue
  • consentirebbero alla Ue di assicurare un minimo di credibilità all’Operazione Irene.

Un punto quest’ultimo che dovrebbe essere tenuta in maggior conto proprio da Roma considerato che il comando di Irene, come quello dell’Operazione Sophia, resterà affidato a un ufficiale italiano, il contrammiraglio Fabio Agostini.

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Non che ci si possa attendere molto in termini operativi dall’Operazione Irene: molte armi giungono ai contendenti in Libia attraverso i confini terrestri o con ponti aerei (soprattutto i rifornimenti destinati all’LNA di Haftar) ed è improbabile che la Ue cerchi lo scontro sul mare con la flotta turca che rifornisce Tripoli.

Tuttavia la UE ha oggi un disperato bisogno di dimostrare la sua esistenza e la sua efficacia. Se in termini politici e finanziari si giocherà tutto nella capacità o meno di favorire gli interventi a supporto delle economie italiana e spagnola devastate dall’epidemia Covid-19, in termini militari e di politica internazionale deve assolutamente mostrarsi in grado di varare e gestire in modo decoroso almeno un’operazione navale di monitoraggio.

Specie dopo il totale fallimento dell’Operazione Sophia che in cinque anni non ha mai ostacolato i trafficanti (di cui avrebbe dovuto “interrompere il modello di business” come recitavano gli enigmatici ordini dell’Alto commissario Federica Mogherini) limitandosi a sbarcare in Italia (e solo in Italia), 45 mila clandestini.

Un bilancio umiliante per una missione di fatto conclusasi in modo ridicolo un anno or sono quando, per iniziativa del vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini, il governo italiano pretese che ogni nave europea sbarcasse nei propri porti nazionali i migranti illegali soccorsi in mare. Tutti i “partner” Ue ritirarono le navi dall’Operazione Sophia lasciando solo un pugno di aerei ed elicotteri che, non galleggiando, non rischiano di imbarcare clandestini.

@GianandreaGaian

Foto Eunavfor Med/Operazione Sophia

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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