Il Covid gonfia le spese militari

Dalla Germania alla Gran Bretagna, dall’Italia alla Svezia passando per la Francia, l’emergenza sanitaria determinata dal Covid 19 sta determinando un evidente e per molti versi inaspettato incremento della spesa militare e per la sicurezza in tutti i paesi europei. Una tendenza con qualche eccezione, come nel caso della Russia che invece prevede di ridurre le spese militari a causa della crisi determinata dal virus cinese.

In molti stati si può affermare che la pandemia non abbia fermato una tendenza al rialzo delle spese militari già consolidatasi da qualche anno tra molti alleati della NATO, in altri invece il 2020 potrebbe costituire lo spartiacque tra un’epoca di bilanci militari ridotti o stagnanti e una nuova fase di incremento della spesa.

E’ il caso dell’Italia che ha visto la spesa per le tre Forze Arnate (Funzione Difesa) crescere nel 2020 fino a 15,32 miliardi di euro contro i 13,98 del 2019 con un incremento di ben 1,3 miliardi (+9,6%) mentre nel 2021 tale stanziamento dovrebbe salire a circa 17 miliardi con almeno 7 miliardi (4 del bilancio e 3 dai fondi del Ministero dello sviluppo Economico) destinati ad acquisire nuovi mezzi, armi ed equipaggiamenti.

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Oppure della Gran Bretagna dove il premier Boris Johnson ha recentemente annunciato “il più grande programma di investimenti nel settore della difesa dalla fine della Guerra Fredda” aggiungendo che “l’Era dei tagli al budget della Difesa è finita” con lo stanziamento di 16,5 miliardi di sterline (18,5 miliardi di euro) nei prossimi 4 anni. Un incremento preannunciato l’anno scorso nel programma elettorale del Partito Conservatore ma che innalza ulteriormente un bilancio della Difesa che da sempre guida la classifica europea delle spese militari.

Se da un lato la pesante crisi economica che sta colpendo quasi tutto il mondo, con crolli del PIL particolarmente rilevanti in Europa (e soprattutto in Italia), dovrebbe indurre a ritenere inattuabili incrementi significativi della spesa militare, dall’altro sono propri i repentini mutamenti della politica economica europea a favorire, insieme ad altri fattori, questa tendenza.

Dopo anni di austerity imposta dalla Germania a tutti i partner Ue, l’epidemia e le sue conseguenze hanno fatto tornare prepotentemente in auge le “politiche economiche espansive” basate sull’aumento del debito e sulla spesa in deficit che fino a ieri determinavano l’accusa di “sovranismo populista” a chiunque osasse proporle.

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Senza i parametri di Maastricht da rispettare e con i fondi europei del Recovery Fund (forse) in arrivo, aumentare la spesa militare consente innanzitutto di destinare importanti risorse alle commesse industriali necessarie non solo a rinnovare e ammodernare le forze armate ma anche a garantire posti di lavoro e sopravvivenza alle industrie nazionali della Difesa, Aerospazio, Cyber, Intelligenza Artificiale e in generale dell’Alta Tecnologia.

Aziende che soffrono il crollo o il congelamento delle commesse civili soprattutto nel settore dell’aviazione commerciale o delle navi da crociera e che di conseguenza necessitano di forti commesse militari, dal mercato interno e dai mercati esteri, per superare questo periodo di difficoltà garantendo i livelli occupazionali.

Al tempo stesso la politica economica espansiva consente di investire in modo adeguato in Ricerca e Sviluppo puntando sulle nuove tecnologie. Inoltre investire nella Difesa e Aerospazio conviene in termini di ritorni finanziari, tecnologici, occupazionali e pure di export, anche se, in quest’ultimo campo, ampi settori della politica italiana continuano a fare di tutto per ostacolarlo.

Un ulteriore aspetto che rende rilevante e necessario l’incremento delle spese militari è legato al fatto che mentre l’Europa e soprattutto l’Italia si occupavano, politicamente e mediaticamente, quasi esclusivamente di Covid, nel mondo i motivi di tensione e le crisi militari non si sono certo affievolite, neppure nel nostro “cortile di casa”, il Mediterraneo più o meno “allargato”.

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“I paesi nel mondo hanno reagito in modo diverso al COVID anche per quanto riguarda gli investimenti in Difesa, ma finora non ci sono stati tagli sostanziali. Perché se è vero che la pandemia ha messo i budget nazionali sotto pressione, è altrettanto vero che le tensioni internazionali sono ulteriormente alimentate proprio dal COVID” ha detto un paio di settimane or sono l’amministratore delegato di Leonardo Alessandro Profumo, Intervenendo al panel “Aiming Ahead: New Security Trends and the Future of the Defence Industry”.

 Circa il ruolo dell’industria della Difesa, l’ad di Leonardo ha aggiunto che “penso che non si debba essere né guida, né spettatori, ma veri e proprio partner dei governi, con cui c’è bisogno di un dialogo continuo al fine di definire una strategia comune, nell’interesse della nazione stessa”.

Per quanto concerne le Forze Armate, due ulteriori elementi sembrano incentivare l’incremento della spesa militare. Il primo concerne l’ormai evidente considerazione che in Italia nessun tipo di emergenza è ormai gestibile senza ricorrere abbondantemente al personale e ai mezzi militari.

Che si tratti di sgombrare le strade da neve o rifiuti, di gestire i soccorsi durante alluvioni o terremoti, di pattugliare strade e piazza contro crimine organizzato, terrorismo o semplici ladruncoli, di allestire ospedali campali o distribuire materiali di ogni tipo e vaccini (con l’Operazione EOS in corso in questi giorni), l’Italia ha sempre più spesso avuto bisogno dei militari.

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Un aspetto che giustamente inorgoglisce chi indossa l’uniforme e facilita lo stanziamento di maggiori fondi per le Forze Armate ma che indica drammaticamente il livello di inefficacia, inefficienza e inoperatività di tante strutture e amministrazioni pubbliche, ormai trasformate in puri “stipendifici” e che sarebbe consigliabile rimettere in sesto invece di puntare sempre su chi veste l’uniforme per colmarne le gravi lacune.

E’ vero che l’emergenza Covid ha visto in tutto il mondo la mobilitazione più o meno intensa dei militari per compiti sanitari e logistici ma in Italia il fenomeno ha da molti anni dimensioni sempre più ampie in tutti i possibili campi d’applicazione.

Il secondo elemento che favorisce l’incremento della spesa militare e per la sicurezza è legato al fatto che l’emergenza Covid ha imposto in molti Paesi (Italia in testa) un inedito schieramento di forze di polizia per il controllo dei cittadini con un grottesco impiego di droni, mezzi navali e velivoli per monitorare i movimenti della popolazione durante il periodo di confinamento e coprifuoco.

Provvedimenti considerati da molti una violazione dei diritti civili e costituzionali e che sono stati definito illegittimi anche da alcune sentenze giudiziarie inclusa quella più recente del Tribunale di Roma  ma al tempo stesso paradossali, specie se si considera come lo stesso Stato che vieta ai propri cittadini di attraversare i confini del proprio comune sia invece disponibile ad accogliere immigrati clandestini che varcano impunemente i confini nazionali dopo aver pagato lautamente organizzazioni criminali e che altrettanto impunemente fuggono dai centri di quarantena e accoglienza.

Non sorprende che analisti e apparati di sicurezza prevedano da tempo che la crisi economica generata dall’emergenza sanitaria determini il rischio di gravi disordini se non di vere e proprie rivolte.

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Elementi già ben visibili quotidianamente in Francia, dai “gilet gialli” alle periferie dominate dalla criminalità e dal separatismo islamici (peraltro presenti ben prima dell’arrivo del virus dalla Cina) ma in crescita anche in altri paesi del Nord Europa.

Neppure l’Italia è esente da rischi di questo tipo tenuto conto anche del fallimento delle iniziative di contrasto all’epidemia: abbiamo registrato infatti il record mondiale di morti rispetto agli abitanti (a dispetto del confinamento più lungo e severo che avrebbe dovuto invece contenere il numero di vittime) ma al tempo stesso abbiamo subito anche il record mondiale di crollo del PIL.

Se a questo uniamo la misera entità di ristori, sussidi e cassa integrazione distribuiti alle diverse categorie di lavoratori e l’inevitabile impennata della disoccupazione è facile prevedere un rapido incremento di disagio sociale e povertà in concomitanza con una crescente sfiducia nelle istituzioni.

In un futuro a breve termine tutti gli elementi citati potrebbero causare disordini su vasta scala in molte aree urbane europee, rafforzando ulteriormente la necessità di disporre di forze militari in grado di affiancare con efficacia quelle di polizia.

@GianandreaGaian 

Foto: Difesa.it e Ministero dell’Interno

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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