Per le forze afghane i contractors sono più preziosi delle truppe della Coalizione

Secondo gli accordi stipulati a fine febbraio 2020 tra l’amministrazione Trump ed i talebani, tutti i soldati americani ed il personale civile non diplomatico dovrebbero lasciare l’Afghanistan entro il 1° maggio 2021.

Mentre i riflettori sono tutti puntati sulla sorte di 2.500 militari statunitensi ancora presenti a Kabul e dintorni, nessuno pare prestare attenzione alle migliaia di contractors che stanno progressivamente lasciando il Paese, rischiando di paralizzarne letteralmente le Forze Armate (ANSF), in particolare l’Aeronautica.

Molti di loro provvedono all’addestramento dei piloti dell’AAF (Afghan Air Force) e, soprattutto, alla manutenzione dei loro aeromobili costringendoli, così a terra.

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Ancora una volta il fondamentale quanto celato supporto dei contractors si palesa quando viene a mancare, risultando stavolta ancor più imprescindibile dell’impegno militare diretto di Washington ed alleati.

 

L’accordo coi Talebani

 Il 29 febbraio 2020 Zalmay Khalilzad, rappresentante speciale degli Stati Uniti per la pace in Afghanistan e Abdul Ghani Baradar, capo dell’ufficio diplomatico talebano in Qatar hanno firmato a Doha uno storico accordo di pace, mirato a porre fine al più lungo impegno militare americano di sempre.

L’accordo complessivo, formato da quattro parti interrelate, prevede(va):

  1. Che il territorio afghano non venga utilizzato da individui o gruppi terroristici per minacciare la sicurezza degli Stati Uniti e loro alleati.
  2. L’annuncio di una exit strategy per tutte le forze straniere dal Paese.
  3. L’avvio – in data 10 marzo 2020 – di un negoziato intra-afghano tra Kabul e talebani.
  4. Un cessate il fuoco generale e permanente.

Per l’implementazione dei primi due punti, ritenuti connessi e preliminari agli ultimi due, gli Stati Uniti s’impegnano a:

  • Ritirare dal Paese i propri uomini, quelli della NATO e dei partner della Coalizione, incluso tutto il personale civile non diplomatico (security contractors, addestratori, consiglieri e personale di supporto) entro 14 mesi (il 1° maggio 2021) dall’entrata in vigore dell’accordo.
  • Effettuare (sempre entro il 10 marzo 2020) uno scambio di prigionieri: 5.000 talebani in cambio di 1.000 governativi afghani.
  • Avviare una procedura amministrativa per la rimozione delle sanzioni in capo ai talebani (entro il 27 agosto 2020) ed intercedere per il delisting di tutta una serie di loro esponenti (entro il 29 maggio 2020) anche davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
  • Sospendere il ricorso all’uso della forza ed ingerenze nelle questioni interne del Paese.

I talebani invece si impegnano a:

  • Sospendere le violenze.
  • Impedire che al-Qaeda ed altri gruppi jihadisti utilizzino i territori sotto il loro controllo per minacciare la sicurezza degli Stati Uniti e loro alleati.
  • Negare ad al-Qaeda ed altri gruppi jihadisti supporto logistico ed economico, reclutamento ed addestramento, rifugio, libera circolazione e finanziamento.
  • Impegnarsi seriamente e risolutivamente in negoziati con Kabul.

 

Chi c’è ancora in Afghanistan?

Sebbene i tempi del picco di oltre 132.300 soldati stranieri (2011) dispiegati in Afghanistan siano ormai lontani, a febbraio 2021 ve n’erano ancora 9.592, schierati nell’ambito dell’Operazione Resolute Support della NATO.

Provenienti da 36 diversi Paesi, i contingenti più numerosi sono quelli di Gran Bretagna (750), Georgia (860), Italia (890 uomini impegnati nell’addestramento, consulenza e assistenza a Forze Armate ed istituzioni afgane), Germania (1.300) e Stati Uniti (2.500).

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Per quanto riguarda gli americani, entro i primi 135 giorni dell’accordo coi talebani  (cioè entro il 13 luglio 2020) la loro presenza si è ridotta di circa 5.000 uomini, passando da 13.000 a 8.600 chiudendo inoltre 5 basi. Dai circa 4.500 uomini di fine 2020, in seguito ad un frettoloso annuncio del presidente uscente Trump, si è giunti il 15 gennaio a soli 2500; il quantitativo più basso dal 2001, inizio delle operazioni statunitensi nel Paese.

In realtà, i soldati americani attualmente dislocati in Afghanistan sarebbero 3.500. Oltre a quelli di cui tanto si sta parlando, infatti ve ne sarebbero altri 1.000: operatori delle Forze Speciali al seguito di CIA ed altre agenzie governative, oltre ad unità temporanee e di transizione.

Nel Paese sono presenti anche contractors al servizio di vari committenti governativi quali CIA, Dipartimento di Stato ed altre agenzie. L’unica rendicontazione disponibile riguarda solamente quelli del Dipartimento della Difesa.

Dopo il picco raggiunto nel marzo 2012 con 127.277 contractors, oggi ne sono dispiegati 16.832; di questi 6.147 sono cittadini americani, 6.399 di altri Paesi e 4.286 locali. Di sicurezza se ne occupano in 2.856, di cui 1.520 armati.

Dall’aprile 2020 – a poco più di un mese dall’accordo coi talebani – si è verificata una riduzione del 39,10%; il loro schieramento raggiungeva, infatti i 27.641 uomini. Quello del trimestre appena iniziato rappresenta il numero più esiguo di contractors in Afghanistan dal 2011.

 

L’importanza di manutentori ed addestratori

Il rimpatrio di migliaia di contractors dall’Afganistan – già in corso da tempo ed “ampiamente ignorato” – potrebbe avere effetti ancor più “devastanti” del ritiro stesso delle truppe della Coalizione, ha recentemente dichiarato John F. Sopko, Ispettore Generale Speciale per la Ricostruzione dell’Afghanistan.

Secondo Sopko il Governo afghano dipende ancora troppo dai contractors stranieri. In particolare, da quelli che si occupano di logistica, manutenzione ed addestramento.

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E’ infatti noto che gli afghani abbiano bisogno di loro per mantenere in funzione attrezzature, gestire i rifornimenti o addestrare militari e poliziotti all’utilizzo e manutenzione dei moderni mezzi ed equipaggiamenti forniti da Washington.

Nonostante ciò, dall’accordo coi talebani ad oggi il numero di contractors del Dipartimento della Difesa che si occupano di logistica e manutenzione è diminuito del 40,49%, mentre quello degli addestratori del 12,31%. Rispetto all’ultimo ritiro di truppe annunciato da Trump a novembre, il numero degli addetti alla logistica e manutenzione è calato del 26,30%; quello degli addestratori invece, in vista di un più o meno prossimo definitivo passaggio di consegne è l’unico ad essere aumentato (+3,66%). Attualmente sono comunque 5.559 (il 34,4% del totale) i contractors che si occupano di logistica e manutenzione e 1.133 (il 5,8%) quelli che curano l’addestramento delle forze afghane.

Scendendo maggiormente nel dettaglio, dal dicembre del 2017 la manutenzione dei veicoli terrestri delle ANDSF è stata concentrata in un unico contratto – il National Maintenance Strategy – per cui gli Stati Uniti hanno investito un totale di 787,5 milioni di dollari all’ottobre 2020. Il contratto, della durata di 5 anni, è stato aggiudicato alla PAE Government Services, Inc di Falls Church, Virginia.

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Società che, fino al 2022, sarà responsabile della manutenzione di oltre 100.000 veicoli terrestri delle forze di sicurezza afghane (militari e forze dei diversi corpi di polizia), in 31 siti distribuiti in tutto il Paese e dell’addestramento di manutentori dell’Esercito (ANA) e della Polizia Nazionale (ANP) afghani.

Un incarico per il cui adempimento PAE ha stretto una partnership con Automotive Management Services, impiegando circa 3.600 persone da 21 Paesi; l’88% delle quali di nazionalità afgana.

L’obiettivo finale è quello di una transizione di tutte le attività manutentive alle autorità locali, sebbene ciò sia distante anni dal concretizzarsi. Un processo complesso testimoniato, infatti, anche dal peggioramento rilevato negli ultimi due anni. Nel novembre 2018 l’ANA era in grado di effettuare il 51,1% della manutenzione dei propri veicoli, mentre l’ANP solo il 15,9%. A dicembre 2020 l’ANA non raggiungeva nemmeno il 20% mentre ANP superava di poco il 12%: entrambi ben al di sotto degli obiettivi prestabiliti: rispettivamente dell’80 e del 35%.

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Per quanto riguarda la manutenzione degli aeromobili della AAF, il TAC-AIR – Train, Advise and Assist Command Air – ha recentemente dichiarato che, avendo ritirato dal Paese il 94% del proprio personale militare, l’operatività della flotta aerea afghana è garantita solamente dai contractors. Essi forniscono il 100% della manutenzione degli elicotteri UH-60 Black Hawk e degli aerei cargo C-130 Hercules, assieme all’80% di quella degli elicotteri MD-530 e del 70% degli aerei d’attacco leggero A-29 Super Tucano.

L’unica piattaforma su cui le forze afghane effettuano la maggioranza dei servizi di manutenzione – circa il 95% – è l’elicottero russo Mi-17. Senza, tuttavia avere la possibilità di effettuarne una completa revisione, necessaria ogni 2.000 ore di volo.

Lapidaria la conclusione di TAC-AIR: nessun aeromobile afghano potrà rimanere operativo per più di qualche mese in assenza del supporto dei contractors.

A gennaio 2021 l’AAF è riuscita a compensare poco meno della metà delle sue carenze di personale addestrato e certificato per la manutenzione di aeromobili.

La costituzione di capacità organiche afghane richiede anni. Per addestrare un manutentore di livello base pienamente qualificato ci vogliono fino a 18 mesi; per uno di livello avanzato anche 7 anni e mezzo. Come se non bastasse, è stato riscontrato che l’Aeronautica Afghana non ha sviluppato un’adeguata strategia di reclutamento di personale e che gli americani non siano riusciti nemmeno a verificare che piloti e manutentori vengano impiegati in posizioni adeguate alle loro peculiari competenze.

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Tra la pandemia e l’aumento degli attacchi dei talebani, le forze armate afghane si sono trovate, ad esempio, a dover sacrificare le loro attività di manutenzione, destinando i propri meccanici ai checkpoint e ad altri incarichi operativi, come fossero fucilieri.

Tutto ciò ha portato inoltre l’AAF ad un impiego eccessivo di alcune tipologie di velivoli, tralasciandone altre. E’ il caso dei datati Mi-17 russi impiegati mediamente 35 ore al mese, contro le 25 consigliate.

Ritenuti più prestanti in termini di capacità di sollevamento, i Mi-17 vengono preferiti agli UH-60 che ne dovrebbero prendere il posto. Quest’ultimi, infatti sono ritenuti più dipendenti dal supporto logistico e manutentivo dei contractors, richiedendo altresì piloti con maggiori capacità che, attualmente, scarseggiano.

Gli UH-60 vengono, quindi utilizzati per aviotrasporto e MEDEVAC, principalmente nelle regioni orientali e meridionali del Paese, con una media di 19 ore di volo al mese, contro le 35 raccomandate. Al momento, questi sovrautilizzi hanno comportato solamente degli aggiustamenti contrattuali per lavori e costi supplementari di manutenzione.

Tuttavia, il rischio è che alcune delle debite manutenzioni ordinarie vengano tralasciate, dovendo affrontare in futuro interventi e fermo mezzi più impegnativi.

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Secondo il Dipartimento alla Difesa americano il ritiro di uomini in corso in questi mesi ha causato forti limitazioni alle attività operative, addestrative, di consulenza e di supporto. Una situazione peggiorata ancor più – e forse principalmente – dalle restrizioni per la Pandemia di Covid 19 che hanno reso operazioni ed attività dell’Aeronautica “ampiamente statiche”.

Nel corso del 2020 sono stati sospesi i contratti di addestramento avanzato per i piloti di MD-530 e UH-60, mettendo a rischio anche quelli per gli A-29 e tanti altri. Si sarebbe così assistito ad un declino delle prestazioni e della supervisione del personale in servizio, sia piloti che manutentori, e ad un aumento dello stress causato da turni estenuanti ed incarichi, spesso, oltre il proprio livello di esperienza.

Le sopraccitate condizioni hanno portato ad una maggior frequenza di incidenti: nel solo primo trimestre del 2020 sono andati persi 12 aeromobili, corrispondenti all’8% della flotta, inclusi 6 Mi-17.

Questo, nonostante l’Aeronautica, assieme alle forze speciali, rappresenti la componente più efficiente dell’apparato militare afghano. Da capacità praticamente inesistenti, ha fatto passi da gigante nella pianificazione ed esecuzione di attacchi al suolo, arrivando a fornire circa la metà del supporto aereo avanzato nel Paese.

I contractors che si occupano dell’addestramento “hanno continuato a riscontrare consistenti progressi da parte degli equipaggi nella selezione dei bersagli e stima dei danni collaterali, mostrando un’estrema abilità nel minimizzarli.”

 

 AAF: autosufficienza grazie a Raytheon?

L’ispettore generale Sopko, nella sua “brutale onestà”, ebbe a dire nel gennaio 2018 (e non per la prima volta) che l’Aeronautica afghana avrebbe dovuto iniziare a mantenere operativa la sua flotta, per conto proprio.

Un trasferimento di responsabilità che i precedenti contratti di manutenzione avevano sostanzialmente impedito. Da allora, pare essersi avviato un nuovo percorso in cui Raytheon ha trovato un rinnovato slancio.

Nell’estate 2019 la società del Massachusetts, nota per la produzione di missili, è stata selezionata per addestrare l’Aeronautica afghana alla manutenzione dei propri aeromobili, attraverso lo sviluppo di un nuovo programma addestrativo.

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Nell’ambito di un contratto dello U.S. Army’s Program Executive Office for Simulation, Training and Instrumentation da 108 milioni di dollari (chiamato Afghanistan Air Force Aircraft Maintenance Training o AMT), Raytheon supporterà l’Aeronautica Afghana nel raggiungimento dell’autosufficienza.

Il contratto AMT è stato aggiudicato nell’ambito dell’Enterprise Training Services Contract vehicle (ETSC) dell’anno precedente, avente come oggetto la fornitura di servizi addestrativi di base a comandi combattenti e loro partner in materia di sicurezza. E ancora, nel Maggio 2020 – nuovamente nell’ambito dell’ETSC – Raytheon si è aggiudicata un contratto da 145 milioni, della durata di tre anni, per l’addestramento dei piloti dell’Aeronautica Afghana.

Gli istruttori di Raytheon aiuteranno l’AAF a sviluppare team di piloti, sia per velivoli ad ala fissa che rotante, ed ufficiali estremamente competenti attraverso le più moderne tecniche e tecnologie addestrative. Una particolare attenzione verrà posta alla mentorship individuale e all’addestramento alla leadership.

Un programma, quello della Raytheon che, pur essendo iniziato nel 2010, ha visto un crescendo d’importanza dei compiti assegnati: dagli addestramenti di base al volo inziali, ad attività sempre più complesse. Il nuovo contratto comporterà l’assunzione di una varietà di ulteriori impegni ed attività di supporto per l’Aeronautica e partner internazionali.

Dal 2010, il Dipartimento della Difesa americano ha investito oltre 8,5 miliardi per sviluppare capacità aeronautiche sostenibili.

 

 Talebani all’attacco

Nell’accordo coi Talebani, alle parole sono seguiti solo parzialmente i fatti. Lo scambio di prigionieri, a causa di un intenso braccio di ferro sulla pericolosità di chi liberare o meno, invece che il 10 marzo, si è concluso solamente il 3 settembre 2020.

E’ così slittato anche l’inizio dei negoziati intra-afghani – sempre dal 10 marzo – al 12 settembre 2020. Un processo negoziale che, dopo il secondo round iniziato il 5 gennaio 2021, non ha visto sostanziali passi in avanti, tra dichiarazioni d’intenti ambigue e scambi di accuse reciproche di violazioni del cessate il fuoco.

Se da una parte, infatti i talebani hanno praticamente azzerato gli attacchi contro le truppe della Coalizione, nel Paese si è assistito ad un preoccupante surge di violenza contro le truppe afghane e civili.

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Nei primi 45 giorni dalla firma dell’accordo – tra marzo ed il 15 aprile 2020 – sono stati perpetrati più di 4500 attacchi. Un aumento di oltre il 70% rispetto all’anno precedente. Più di 900 i soldati afghani uccisi, mentre nello stesso periodo del 2019 erano stati 520. Addirittura, la settimana dal 22 al 28 giugno 2020 è stata la più sanguinosa degli ultimi 19 anni, con 291 soldati morti e 550 feriti in 422 attacchi con 42 civili uccisi e 105 feriti.

Si è assistito anche ad un’ondata di omicidi mirati di funzionari, giudici, giornalisti ed attivisti; in particolare di genere femminile.

Nel frattempo, le relazioni tra talebani ed al-Qaeda, secondo un report delle Nazioni Unite, rimangono “strette, basate su amicizia, una storia di lotta comune, simpatia ideologica e matrimoni misti”. Al-Qaeda continuerebbe, infatti ad operare in 12 province afghane, con 400-600 operativi ed un campo d‘addestramento.

Incompiuto, è rimasto anche l’avvio del processo di delisting e rimozione delle sanzioni in capo ai talebani.

Così come incompleto resterà – quasi certamente – il ritiro delle truppe americane e della Coalizione entro il primo maggio 2021. Il presidente Biden stesso ha dichiarato che “sarà difficile rispettare la scadenza del 1° maggio”, ma che sarà improbabile che i soldati americani restino nel Paese anche il prossimo anno.

Gli ha fatto eco Anthony Blinken, segretario di Stato, dicendo di voler porre fine alla guerra eterna, di voler portare a casa i propri uomini, ma anche della necessità di mantenere sul campo una forza sufficiente a gestire una qualunque riorganizzazione del terrorismo.

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In risposta, i talebani hanno garantito una ripresa di attacchi contro i contingenti internazionali se questi non si ritireranno completamente dal Paese come previsto dagli accordi. A riprova della concretezza di tali minacce, vi sono stati due attacchi a basi americane nelle ultime settimane: la FOB Chapman e la base di Kandahar.

Per quanto riguarda la dipendenza dai contractors, essa appare ben evidente nonostante i più di 88 miliardi di dollari investiti dagli Stati Uniti negli ultimi 20 anni per costituire, addestrare ed equipaggiare le forze di sicurezza afghane.

Gli sforzi di Stati Uniti e Coalizione sono stati erosi da un’endemica corruzione, sprechi, sopravvalutazioni della situazione e mancanze di lungimiranza da cui gli stessi americani non possono dirsi certamente estranei.

Uno dei più grandi errori commessi è stato quello di tentare di ricostituire le ANSF ad immagine e somiglianza di quelle statunitensi: con armi e mezzi made in USA invece di quelli russi più rustici e ben conosciuti dal personale afghano, o con sofisticate reti logistiche nonostante la maggior parte della popolazione del Paese fosse analfabeta e scarseggiassero disponibilità di energia elettrica e di connessioni ad internet.

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Basti pensare che nel 2020 sono stati destinati più di 14 milioni di dollari a un sistema per aiutare gli afghani a tracciare i propri veicoli ed armamenti; un sistema che, basato completamente sulla rete, non veniva utilizzato in ben 78 magazzini su 191 per mancanza di connessione o, addirittura, di copertura elettrica.

Pesanti perdite, ritmi estenuanti e la demotivazione – causata anche dalla diffusa corruzione – culminanti in numerose defezioni e diserzioni, rendono necessari continui arruolamenti e addestramenti: il tutto con evidenti sprechi di tempo, denaro ed incisive ripercussioni sulle capacità e progressi dalle truppe.

Altra trascuratezza nell’approccio adottato è stata quella di concentrarsi sulla costituzione di una forza esclusivamente combattente, trascurandone lo sviluppo di competenze nella gestione delle risorse umane, budgeting, logistica, procurement di armi e, soprattutto, manutenzione.

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E proprio sulle attività manutentive, Sopko ha spiegato come gli americani si siano sempre focalizzati su “obiettivi di breve periodo”, invece che sviluppare capacità locali organiche ed efficienti.

Lo stesso dicasi per la gestione del procurement e la mancanza di una strategia appropriata d’equipaggiamento ed addestramento. Ciò ha obbligato le forze di sicurezza afghane ad introdurre in continuazione nuovi sistemi d’arma ed equipaggiamenti (di cui spesso nemmeno avevano bisogno!) e a ricominciare da capo l’addestramento al loro impiego.

Il progetto di sostituzione degli elicotteri Mi-17 russi con gli americani UH-60 Black Hawk, ad esempio, ha rappresentato un’opportunità per l’economia del Connecticut, ma ha ritardato di diversi anni i traguardi prefissati dell’Aeronautica afghana. Piloti e manutentori hanno dovuto, infatti, riaddestrarsi con velivoli e procedure diverse.

Agli afghani, infine non è stato permesso di maturare opportune capacità, contando continuamente su servizi e supporto degli occidentali. Quando ciò ha cominciato a venir meno, i nodi sono venuti al pettine esplicitamente.

Se risulta ormai evidente che le forze di sicurezza afghane non possano sopravvivere senza il sostegno delle truppe occidentali, senza quello dei contractors non possono nemmeno combattere.

Foto: US DoD, USAF, Forze Aeree Afghane e Polizia Nazionale Afghana

 

Nato nel 1983 a Brescia, ha conseguito la laurea specialistica con lode in Management Internazionale presso l'Università Cattolica effettuando un tirocinio alla Rappresentanza Italiana presso le Nazioni Unite in materia di terrorismo, crimine organizzato e traffico di droga. Giornalista, ha frequentato il Corso di Analista in Relazioni Internazionali presso ASERI e si occupa di tematiche storico-militari seguendo in modo particolare la realtà delle Private Military Companies.

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