Massud jr. sfida i talebani nella Valle del Panshir: la guerra afghana torna indietro di 25 anni

 

 

(aggiornato alle ore 14,45)

Le forze di resistenza dell’esercito in Afghanistan, installate nella valle del Panshir, si preparano a “un conflitto di lunga durata” se non ci saranno negoziati con i talebani. Lo ha detto ieri Ali Maisam Nazary, portavoce della resistenza al regime talebano guidata da Ahmad Massud (nella foto sotto) all’Agenzia France Presse.

Secondo il portavoce sono migliaia gli afgani civili e militari rifugiatisi nella provincia del Panshir per combattere i talebani o trovare rifugio sotto la guida del figlio del comandante Ahmed Shah Massud assassinato il 9 settembre 2001 da al-Qaeda due giorni prima degli attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono.

Massud ha riunito circa 9.000 combattenti secondo Ali Maisam Nazary che apre le porte a un negoziato con i talebani. “Le condizioni di un accordo di pace con i talebani sono la decentralizzazione, un sistema che garantisca la giustizia sociale, l’uguaglianza, diritti e libertà per tutti”.

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Sempre ieri i talebani hanno annunciato che centinaia dei combattenti si stanno dirigendo verso la valle del Panshir “per prenderne il controllo dopo che le istituzioni locali si sono rifiutate di consegnarlo pacificamente” ha riferito una fonte talebana sempre all’AFP.

Il 21 agosto l’ambasciatore russo a Kabul, Dmitry Zhirnov, aveva riferito che i talebani hanno chiesto alla sua ambasciata di trasmettere la loro offerta di accordo alla resistenza.

Il diplomatico ha spiegato che un membro anziano della leadership politica dei talebani ha chiesto alla Russia di riferire ai combattenti nella valle del Panshir la volontà di raggiungere un accordo politico per risolvere la situazione per evitare spargimenti di sangue nella regione. La valle del Panshir, a nord di Kabul, è l’unica provincia che non è caduta in mano ai talebani

Il 19 agosto, il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha precisato che “i Talebani non controllano l’intero territorio dell’Afghanistan. In una situazione in cui l’intero Paese era inghiottito dalla guerra civile, abbiamo sostenuto la necessità di una transizione immediata al dialogo nazionale con la partecipazione di tutte le forze, di tutti i gruppi etnici e religiosi, proprio come ora, con i Talebani che hanno preso il potere a Kabul e nella maggior parte delle altre città, nella maggioranza delle province, sosteniamo la stessa cosa, un dialogo nazionale che renderà possibile definire un governo nazionale per una soluzione definitiva per questo Paese che da tempo soffre”, ha spiegato Lavrov.

Il trionfo dei talebani conseguito nelle ultime settimane potrebbe quindi non aver raggiunto l’obiettivo di concludere il conflitto afghano che, al contrario, rischia di tornare a replicare le stesse caratteristiche di 25 anni or sono, quando il regime talebano dovette fronteggiare la resistenza dei miliziani tagiki del “Leone del Panshir”, Ahmed Shah Massud (nella foto sotto) fino all’invasione anglo-americana dell’ottobre 2001.

Shown here in 1997, the "Lion of the Panjshir," Ahmad Shah Massoud (left), fought against the Soviets in the 1980s, was a central figure in the Afghan civil war of the '90s and led the resistance against the Taliban until his death on Sept. 9, 2001, the victim of al-Qaida suicide bombers.

In quella stessa provincia i miliziani fedeli al figlio del leggendario comandante, hanno ripreso le armi unendosi alle forze fedeli al vicepresidente afghano Amrullah Saleh (nella foto sotto), anch’egli tagiko e originario del Panshir, autoproclamatosi presidente ad interim dopo la fuga all’estero di Ashraf Ghani.

Massud, 32 anni, ha chiesto aiuto all’Occidente grazie anche alle ottime relazioni col mondo anglosassone. Il giovane leader ha frequentato un corso annuale all’accademia militare britannica di Sandhurst, si è laureato in Studio dei conflitti al King’s College di Londra, città dove ha poi conseguito un master in Politica Internazionale alla City of London University.

Un iter che fornisce qualche credibilità alle voci che ritengono fondati i rapporti tra Massud e l’intelligence di Londra, da tempo molto critica nei confronti del ritiro dall’Afghanistan imposto da Washington agli alleati.

In un editoriale pubblicato dal Washington Post, Massud afferma che “l’America può ancora essere un grande fautore della democrazia” sostenendo le sue milizie. “Scrivo dalla valle del Panshir, con i combattenti mujaheddin che si preparano ad affrontare ancora una volta i talebani. Ma abbiamo bisogno di più armi e munizioni”, sottolinea vantando qualche successo sul campo di battaglia.

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Il 20 agosto infatti i suoi miliziani hanno annunciato la riconquista dei distretti di Pule Hisar, Deh Saleh e Banu nella provincia settentrionale di Baghlan, a nord di Kabul. Si tratterebbe della prima sconfitta subita dai talebani dopo la vittoriosa galoppata che li ha portati a conquistare tutte le città capoluogo di provincia e la stessa capitale.

Il successo degli uomini di Massud, simbolicamente rilevante, non migliora molto la pessima situazione strategica in cui si trovano i suoi combattenti nella provincia del Panshir circondata da territori in mano ai talebani.

Oggi i talebani hanno annunciato la riconquista dei tre distretti perduti a Baghlan: In un tweet il portavoce Zabihullah ha scritto inoltre che “il passo di Salang è aperto e il nemico è sotto assedio nel Panshir”.

La resistenza anti-talebana nella valle del Panshir, guidata da Ahmad Massud, ha “migliaia di persone pronte a combattere”, ha detto oggi il portavoce del Fronte nazionale di resistenza dell’Afghanistan (Fnr) Ali Nazary, alla Bbc. “Migliaia di forze sono pronte alla resistenza” ma il Fronte vuole prima di tutto dialogare in maniera pacifica. Ma se i negoziati “falliranno non accetteremo alcun tipo di aggressione”.

La questione della resistenza ai talebani, in assenza di un accordo tra le parti, complica gli scenari della crisi afghana anche per la comunità internazionale e per l’Occidente. Tra le opzioni sul tavolo sembra oggi prevalere quella di prendere tempo per valutare l’atteggiamento reale del regime talebano che ha promesso aperture alle opposizioni e la rinuncia a ogni rappresaglia sui vinti.

 

Quanto durerà il ponte aereo?

Difficile infatti che si decida quale approccio avere con la resistenza di Massud e Saleh fino a quando non verrà completato il ponte aereo teso a evacuare cittadini stranieri e i tanti afghani che hanno collaborato con le forze USA e NATO.

Un ponte aereo effettuato sotto gli occhi dei talebani che di fatto lo autorizzano e che Biden vorrebbe concludere entro il 31 agosto, anche perché i vincitori della guerra prima o poi vorranno assumere il controllo anche dell’aeroporto.

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Proprio oggi i talebani hanno avvertito che ci saranno delle “conseguenze” nel caso in cui gli Stati Uniti e le forze Nato ritardassero il ritiro dei propri militari dal Paese dopo il 31 agosto. Lo ha dichiarato in un’intervista all’emittente televisiva satellitare “Sky News” a Doha, in Qatar, il portavoce politico dei talebani Suhail Shaheen: “Se gli Stati Uniti o il Regno Unito dovessero cercare più tempo per continuare le evacuazioni, la risposta è no. In caso contrario vi saranno conseguenze”. Secondo Shaheen, l’eventuale posticipo di un ritiro “creerà sfiducia” tra le parti.

il sottosegretario alla Difesa britannico, James Heappey, ha proposto di chiedere a statunitensi e talebani il via libera a un allungamento del ponte aereo.

“Se gli Stati Uniti potranno essere persuasi a rimanere è questione che riguarda domani il primo ministro, ma poi seguiranno conversazioni coi talebani – ha affermato – I talebani potranno scegliere se confrontarsi con la comunità internazionale o dire che non c’è possibilità di una estensione”. Dalla caduta di Kabul la Royal Air Force ha evacuato 6.631 persone da Kabul, di cui 1.821 nelle ultime 24 ore.

Nelle ultime 24 ore, dalle 3 ora locale del 22 agosto alle 3 di oggi, 28 voli militari americani hanno evacuato circa 10.400 persone da Kabul secondo quanto annunciato da un funzionario della Casa Bianca che ha aggiunto che 61 aerei della coalizione hanno evacuato circa 5.900 persone. Dal 14 agosto scorso, vigilia della caduta della capitale afghana, gli Stati Uniti hanno evacuato e facilitato l’evacuazione di circa 37mila persone, 42mila dalla fine di luglio.

Il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, aveva evidenziato nelle ore precedenti oggi che sono già state evacuate da Kabul 30 mila persone. “Nelle ultime 24 ore, circa 8.000 persone su circa 60 voli sono state evacuate dall’aeroporto di Kabul”, ha detto Blinken a Fox News. “Da quando questo sforzo è iniziato alla fine di luglio, sono state evacuate circa 30.000 persone, in tutto, sui nostri voli militari e sui voli charter che abbiamo aiutato a organizzare e ad uscire dall’aeroporto”.

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Gli Usa hanno “raggiunto accordi con circa una ventina di Paesi in quattro continenti che ora stanno aiutando o aiuteranno presto con il transito di persone da Kabul. E questo è un modo per assicurarci di avere una capacità di volo sufficiente per spostare le persone da quei luoghi alle loro destinazioni finali”. Attivo anche il programma americano Special Immigrant Visa: “queste sono le persone che ci hanno aiutato, che sono state con noi, traduttori, interpreti, eccetera, che ci siamo impegnati a portare fuori dall’Afghanistan, se vogliono lasciarlo” ha detto Blinken ammettendo l’emergenza e in tempi stretti per gestirla.

 

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“Credevamo che il governo afghano non sarebbe crollato e che l’esercito non stesse per svanire e che avremmo avuto il tempo di fare tutto in modo efficace”.

Ieri sera (ora italiana) nel suo terzo intervento pubblico in pochi giorni, il presidente Biden ha auspicato di chiudere il ponte aereo entro il 31 agosto pur ammettendo di non avere un’0idea precisa neppure di quanti cittadini americani siano ancora a Kabul.

Il Presidente ha ringraziato gli alleati (non lo aveva ancora fatto sollevando non pochi malumori in ambito NATO) ma tra i leader dei diversi paesi con i quali si è confrontato circa l’emergenza afghana non ha citato quello del Pakistan.

Considerato che dietro alla vittoria talebana c’è senza dubbio la mano del Pakistan e dei suoi servizi segreti militari (ISI) e che i giochi sul futuro politico dell’Afghanistan vengono discussi o decisi a Islamabad appare quanto meno paradossale che la Casa Bianca non si sia confrontata con il premier pachistano Imran Khan.

Altro aspetto non secondario è che i talebani hanno reso noto che non verrà varato nessun nuovo governo in Afghanistan  fino a quando l’ultimo soldato americano non avrà lasciato il paese, come hanno riferito oggi fonti dei talebani all’Agenzia France Presse.

 

Il tempo delle decisioni

In ogni caso sembra quindi chiaro che solo terminata l’evacuazione dall’aeroporto di Kabul (nella foto sottop) si porrà per la comunità internazionale il dilemma se riconoscere il regime talebano e quindi sostenere la pace dei vincitori, o quanto meno accettarne l’esistenza incoraggiandone per quanto possibile la “moderazione”, o se invece riconoscere e sostenere come rappresentanti legittimi dell’Afghanistan Massud e Saleh.

In quest’ultimo caso si tornerebbe allo stesso contesto bellico del 2001, con le forze anti-talebane capaci di resistere nella roccaforte del Panshir ma non in grado di sconfiggere il nemico e riprendere Kabul senza un massiccio intervento militare straniero.

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Considerata la rapidità con cui si sono susseguiti i recenti eventi, non si può escludere che entro la fine di agosto il Panshir cada in mani talebane o vi sia un accordo tra talebani e l’asse Massud/Saleh.

In assenza di sviluppi simili, la questione della resistenza afghana ai talebani riguarda da vicino anche Russia, Uzbekistan e Tagikistan, il cui supporto come “retrovia” risulterà presto di nuovo indispensabile alla resistenza delle milizie di Massud jr. come già lo fu per le milizie fedeli a suo padre.

Proprio i circa 2mila militari afghani fuggiti nell’ultimo mese oltre i confini con Tagikistan e Uzbekistan potrebbero costituire un valido supporto alle forze di Massud e Saleh, specie se potranno impiegare la cinquantina di velivoli che hanno sconfinato nelle due repubbliche ex sovietiche con a bordo oltre 700 militari nelle ore in cui Kabul cadeva in mano talebana.

 

Le forze aeree afghane

Ben 22 aerei e 24 elicotteri delle forze aeree afghane con 585 militari a bordo hanno raggiunto l’Uzbekistan mentre altri 3 aerei e 2 elicotteri con 143 militari il Tagikistan.

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Potrebbe trattarsi di una parte rilevante dei velivoli in grado di volare nel momento in cui è caduta Kabul tenuto conto che il tasso di disponibilità dei velivoli afghani è sceso dal 77 per cento del giugno scorso a circa il 30% dopo che i tecnici delle società americane o comunque straniere che gestivano la manutenzione hanno lasciato l’Afghanistan insieme ai contingenti militari alleati.

Altri velivoli sarebbero andati distrutti nell’ultimo raid aereo effettuato dai cacciabombardieri statunitensi sull’aeroporto di Kandahar un cui sarebbero rimasto uccisi decine di talebani ma che potrebbe aver avuto l’obiettivo di non lasciare in mano ai talebani velivoli dell’Aeronautica Afghana quali i cargo C-130 (4 in servizio), i velivoli da attacco A-29 Super Tucano (23), da trasporto, attacco e e intelligence Cessna AC/C-208 (33), Pilatus PC-21 da trasporto e intelligence (18), da trasporto Harbin Y-12 (2), addestratori Cessna 182 (6), elicotteri multiruolo Mi-8 (56), UH-60 Blackhawk (45) , da attacco/ricognizione MD-530 (50), da combattimento Mi-24 (8) e multiruolo UH-1H (10).

Negli scontri degli ultimi giorni almeno una decina di velivoli sarebbero andati distrutti tra i quali almeno 3 elicotteri Blackhawk e un A-29.

Dalle informazioni emerse nei giorni scorsi i talebani avrebbero catturato almeno un A-29, un Cessna 208, una decina di elicotteri Mi-17 già notati in volo su Kabul, un elicottero da attacco Mi-24 (catturato all’aeroporto di Kunduz, nella foto a lato), 4 Blackhawk e 8 MD-530 non è noto in quali condizioni di efficienza.

@GianandreaGaian 

Foto: Twitter, US DoD e UK MoD

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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