L’espansione del mercato internazionale della Difesa

 

 

Articolo di Michele NonesIstituto affari Internazionali

 

Lo scorso decennio si è chiuso con un costante incremento delle spese militari passate da 1790 miliardi di dollari nel 2011 (SIPRI a valori costanti 2019) a 1960 miliardi nel 2020 con un incremento di quasi il 10%, con solo una piccola flessione a metà periodo.

Il mercato internazionale della difesa è rimasto, invece, costante nei due quinquenni, ma ha visto al suo interno importanti cambiamenti: un piccolo passo indietro per Russia, Regno Unito e Italia e un grande passo avanti per Corea del Sud, Israele e Francia e, in maniera più contenuta, per la Germania.

 

Armamenti in crescita

La produzione di armamenti è salita dai 439 miliardi di dollari del 2011 ai 531 del 2020 con un aumento del 21%. Fra le prime 100 imprese operanti nel settore della difesa troviamo molte novità rispetto al passato: cinque sono cinesi (tutte fra le prime 20 e ben tre fra le prime 10); cinque giapponesi; cinque sud-coreane; tre israeliane; tre indiane; una turca.

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Complessivamente le esportazioni dei dieci maggiori esportatori nel periodo 2016-20 sono state così distribuite: USA 37%, Russia 20%, Francia 8,2%, Germania 5,5%, Cina, 5,2%, Regno Unito 3,3%, Spagna 3,2%, Israele 3%, Corea del Sud 2,7%, Italia 2,2%. I maggiori paesi importatori sono stati, invece, Arabia Saudita con 11%, India 9,5%, Egitto 5,8%, Australia 5,1%, Cina 4,7%, Corea del Sud 4,3%, Algeria 4,3%, Qatar 3,8%, Emirati Arabi Uniti 3%, Pakistan 2,7%.

L’incremento del Medio Oriente è confermato dal confronto fra i due quinquenni: 33% nell’ultimo quinquennio contro il 26% precedente. Non ci sono ancora dati sull’ultimo biennio pandemico, ma quelli sul fatturato delle principali imprese (che coprono anche il 2020) sembrano confermare che la crescita di spese e mercato militari non si è interrotta.

 

Il nuovo, vecchio mondo

In realtà non sembrano esserci stati motivi per invertire la tendenza. Lo scenario strategico internazionale non è certamente diventato più rassicurante. Restano le stesse numerose aree di crisi, anche se è aumentata la disattenzione dei governi e delle opinioni pubbliche nei paesi democratici a causa della pandemia e della crisi economica (oggi aggravata da quella della catena delle forniture, a partire da componenti, semilavorati e materie prime, fra cui primeggiano quelle energetiche).

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Si sono aggravate le tensioni in molti paesi confinanti con la Russia e la sua proposizione più assertiva ha indurito i rapporti con la Nato e, in particolare, ha fatto crescere le preoccupazioni nei suoi vicini. La competizione/confronto fra Stati Uniti e Cina ha ormai assunto contorni anche militari, coinvolgendo altri paesi dell’area indo-pacifica.

Su scala minore anche la Turchia sta portando avanti una politica interventistica su più scacchieri, contribuendo all’instabilità del Mediterraneo orientale e mettendosi a volte in contrapposizione con la Nato di cui continua a far parte.

Questo quadro ha spinto molti paesi verso il rafforzamento delle loro capacità di difesa e sicurezza, puntando a rafforzarsi nel dominio aereo e navale e in particolare nel settore dei velivoli da combattimento, sia pilotati che a pilotaggio remoto, in quello navale, anti-aereo e anti-missile e spaziale.

La spinta dei paesi acquirenti si somma a quella dei produttori, alle prese con salti generazionali in tutti i settori e con la nuova sfida dell’approccio multi[1]dominio, oltre che della cibernetica e dell’ormai dirompente militarizzazione dello spazio.

 

Innovazioni e l’evoluzione del settore

Fra i principali cambiamenti che si stanno registrando alcuni sono più evidenti:

  • La comparsa di nuovi paesi produttori con le loro imprese. Cina, Israele, Corea del Sud hanno ormai quote significative del mercato internazionale, precedendo l’Italia ormai scesa al decimo posto. 22 delle prime 100 imprese operanti nella difesa appartengono a questi paesi e a Giappone, India e Turchia. Quando queste ultime avranno consolidato la loro attività grazie al mercato interno, inevitabilmente si rivolgeranno al mercato internazionale, creando nuova competizione.

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  • Un settore che sta conoscendo una forte crescita è quello dei velivoli a pilotaggio remoto (sistemi ormai collaudati, facilmente utilizzabili e “spendibili” negli scenari a minore intensità militare). Anche se è difficile quantificarne le esportazioni, la Turchia sta incontrandovi crescenti successi, ma altri paesi potrebbero seguirla, a partire dall’Iran.
  • Lo stesso sta avvenendo con i missili ipersonici dove Russia e Cina sono riuscite a sorprendere Stati Uniti e Nato, portandosi per ora in netto vantaggio e confermando che, alla fine, l’innovazione tecnologica nell’utilizzo dello spazio (sia per i satelliti di osservazione, navigazione e comunicazione, sia per i lanciatori) è un moltiplicatore di potenza anche in campo militare.

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  • Più indietro, ma altrettanto pericolosa è l’evoluzione della subacquea (a propulsione nucleare o convenzionale con i nuovi motori indipendenti dall’aria). La “furtività” dei sottomarini consente loro di operare in prossimità di una novantina di paesi marittimi oltre che di minacciare il sistema di trasporto navale, produzione e trasferimento di energia, linee di trasmissione dati. Essendo sistemi complessi, la loro produzione e diffusione segue un ritmo più lento, ma è destinata a pesare molto sul futuro mercato della difesa (anche a prescindere dallo sviluppo di sistemi automatizzati).

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  • Queste nuove “spade” spingono inevitabilmente verso il rafforzamento di ogni tipo di “scudo”, ma, in particolare, dei sistemi di difesa missilistica. Per intercettare efficacemente droni, velivoli pilotati e missili serve una difesa multistrato in grado di arrivare il più lontano e prima possibile e ridurre progressivamente il numero di bersagli in arrivo sull’obiettivo. Sono oggi i sistemi più complessi da sviluppare, per ora solo alla portata dei produttori più avanzati anche perché coinvolgono spazio, comando-controllo-comunicazioni, armi a energia diretta e missilistica.

 

Europa: il progetto di difesa comune tra luci e ombre

Il mercato europeo della difesa sta facendo registrare segnali positivi e negativi. È partito finalmente, seppure ridimensionato rispetto agli ambiziosi obiettivi iniziali, l’EDF-European Defence Fund che nei prossimi sette anni contribuirà a sostenere lo sviluppo tecnologico nel campo della difesa.

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Sta per essere approvato lo Strategic Compass che dovrebbe guidare il rafforzamento delle capacità europee di difesa e sicurezza. Ma restano irrisolti sullo sfondo troppi problemi che rischiano di allontanare nel tempo, se non impedire, la costruzione di un’Europa della difesa.

Una parte non irrilevante dei decisori europei continuano a trastullarsi con l’ipotesi di penalizzare l’industria della difesa con una nuova forma di ostracismo etico che la assocerebbe alle attività più negative per la salute, per l’ambiente e per la pace internazionale.

Mentre si incentivano i programmi di cooperazione, non si punta a sciogliere il nodo della politica esportativa, rischiando che i veti incrociati dei partecipanti ai programmi rendano impossibile ogni sbocco extra-europeo, di fatto azzerando i vantaggi economici della cooperazione e degli eventuali finanziamenti comunitari.

La PESCO-Permanent Structured Cooperation potrebbe finire su un binario morto se non si supera il principio dell’unanimità: per questo già oggi sono di fatto esclusi molti dei programmi per il rinnovamento dei principali sistemi d’arma.

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Il quadro istituzionale della difesa europea resta troppo complicato e confuso e non adeguato alle sfide della globalizzazione e della minaccia a livello internazionale.

Un primo passo avanti potrebbe essere compiuto dai principali paesi, accordandosi fra loro sulle aree tecnologiche e industriali su cui concentrare investimenti e ambizioni (anche in condivisione), creando così una prima rete di interdipendenze e di specializzazioni in cui ad ogni passo indietro rispetto alle ormai velleitarie soluzioni nazionali corrisponda un passo avanti nel rafforzamento di altre capacità.

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L’obiettivo, quindi, deve essere quello di condividere una sovranità tecnologica reciproca in cui ciascun grande paese dovrebbe accettare di dipendere da un altro in alcune aree.

Questo consentirebbe di rafforzare le imprese interessate concentrandone le attività su pochi segmenti in cui competere efficacemente sul mercato internazionale, abbandonando definitivamente la logica dei “salvataggi” nazionali che finiscono con il condannare ogni strategia di razionalizzazione della base tecnologica e industriale europea.

Quasi ventiquattro anni fa i sei principali paesi europei cominciarono a definire un percorso comune nel settore della difesa che era probabilmente prematuro e si arenò rapidamente. Oggi i tempi sembrano maturi affinché i cinque rimasti (Francia, Germania, Italia, Spagna e Svezia) raccolgano nuovamente nelle loro mani la sfida dell’innovazione e della competizione globale.

Foto: MBDA, IDF, Fincantieri, Marina Militare, Eurofighter evMinisteri Difesa USA, Russia e Cina.

 

 

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