Presentato a Roma il rapporto ICSA “Rischi e minacce dello Stato Islamico”

 

 

Dalla liberazione della città irachena di Mosul nell’estate del 2017 in poi la milizia ha perso tutti i territori che controllava in Medio Oriente oltre che la capacità di condurre azioni organizzate in Occidente. Di conseguenza il tema sulla pericolosità di ISIS, sulla sua persistenza nel teatro mediterraneo e sulle sue capacità operative è progressivamente svanito dai media lasciando sempre più spazio ad altri temi ritenuti più impellenti e importanti. Ma ISIS è stato veramente sconfitto? Davvero ciò che resta non rappresenta più una minaccia di cui preoccuparsi?

Queste sono le domande che hanno animato l’ultimo Rapporto elaborato dall’Osservatorio per la Sicurezza del Mediterraneo (OISMED) della Fondazione ICSA dal titolo “Rischi e minacce dello Stato Islamico”, che mira a fare il punto sulla situazione attuale di ciò che resta a livello di rischio sul medio-lungo termine della milizia islamica che solo pochi anni fa ha dominato lo scenario mediterraneo.

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Per tentare di rispondere a qualcuno dei precedenti interrogativi, la Fondazione ICSA, insieme a Formiche in qualità di media partner, ha organizzato il 15 febbraio una Tavola rotonda online di presentazione del Rapporto.

Il  generale Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione ICSA, rivolgerà un indirizzo di saluto in apertura ed il direttore di OISMED, Prof. Andrea Beccaro illustrerà sinteticamente i principali contenuti del Rapporto. Successivamente interverranno il Pref. Carlo De Stefano, vicepresidente ICSA e già Direttore del Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo (C.A.S.A.) dal 2001 al 2009, il Dott. Giancarlo Capaldo, consigliere scientifico ICSA e già capo del Pool Antiterrorismo della Procura della Repubblica di Roma fino al 2017 e gli analisti della Fondazione ICSA Elettra Santori e Filippo Tiburtini. Concluderà i lavori, il Dott. Diego Parente, Direttore centrale della Polizia di Prevenzione del Ministero dell’Interno. L’evento sarà moderato dalla Dott.ssa Flavia Giacobbe, direttore di Airpress e di Formiche.

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I temi della ricerca: uno sguardo complessivo al problema dello Stato Islamico – Il Rapporto dal titolo “Rischi e minacce dello Stato Islamico” “prende in esame -osserva il Direttore dell’Osservatorio, prof. Andrea Beccaro- le modalità e i luoghi in cui il cosiddetto Stato Islamico è tutt’ora attivo. È vero che ISIS è oggi una minaccia più contenuta rispetto a qualche anno fa, ma non per questo va sottovalutata. Da un lato, si tratta di un gruppo che nella sua storia ormai più che decennale ha dimostrato di sapersi adattare alle situazioni politico e militari che si trova ad affrontare: una delle sue caratteristiche è la flessibilità operativa che gli ha consentito di sopravvivere anche in condizioni difficili per poi trovare nuovi sbocchi in un secondo momento. Dall’altro, le ragioni profonde economico-politiche così come il vuoto politico e l’instabilità di diversi Paesi che hanno permesso al gruppo di nascere e radicarsi in varie regioni non sono state completamente eliminate lasciando quindi spazio a possibili ritorni in futuro”.

Il fatto che ISIS sia ancora una seria minaccia in alcune aree è dimostrato da qualche dato: tra il gennaio 2018 e il maggio 2019 nel solo Iraq ISIS ha condotto 28 attacchi con veicoli suicidi (una media di circa due al mese), mentre dal marzo 2020 a quello 2021 il gruppo ha portato a termine 1.146 attacchi di varia natura in 19 diverse province irachene, ovvero una media di tre operazioni al giorno.

Non è quindi un caso -continua Beccaro- che la coalizione internazionale (composta da 83 membri tra cui 78 nazioni e 5 organizzazioni internazionali) si sia riunita a Roma a fine giugno 2021 per discutere della situazione legata allo Stato Islamico al fine di non abbassare la guardia, come dichiarò il Segretario di Stato americano Blinken. Uno dei risultati più significativi di quella riunione è stato sicuramente quello relativo alla proposta italiana di creare un gruppo di lavoro sull’Africa che non affronti la minaccia jihadista solo dal punto di vista militare, ma si occupi anche dei fattori sociali che portano parte della popolazione a sostenere ISIS”.

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L’ultimo sanguinoso trimestre 2021 in Europa. Non solo quindi esistono tutt’ora aree dove la minaccia è quotidiana e persistente, ma essa è ancora presente in Italia e in Europa malgrado il rischio di grandi attentati si sia ridotto. In questo contesto si deve fare riferimento in particolare al problema della radicalizzazione che porta cittadini e immigrati ad abbracciare le ideologie estremiste e violente. Il 13 ottobre 2021 Espen Andersen Brathen, 37 anni, danese convertitosi all’Islam e radicalizzatosi ha ucciso con arco e frecce cinque persone nella città norvegese di Kongsberg. Il 15 ottobre 2021 in Gran Bretagna il parlamentare David Amess è stato accoltellato a morte da Ali Harbi Ali già noto alle forze di sicurezza per la sua vicinanza all’estremismo religioso e per questo inserito in un programma di de-radicalizzazione. L’Italia non è immune a questi rischi come dimostra l’arresto avvenuto il 17 novembre 2021 a Milano della diciannovenne italo-kosovara Bleona Tafallari. affiliata a gruppi jihadisti con basi in Kosovo, Albania e Macedonia, per i quali si diceva pronta al martirio.

Lo sguardo geopolitico alla minaccia. Il primo capitolo del Rapporto, a firma di Andrea Beccaro, prende in esame le più recenti operazioni dello Stato Islamico nella regione MENA analizzando nello specifico la situazione in Siria e Iraq e mettendo in luce alcune peculiarità di ISIS per interpretarlo più correttamente come una milizia in grado di compiere azioni guerrigliere e terroristiche e di legarsi profondamente con la popolazione locale.

Il secondo capitolo curato da Andrea Sperini è un dettagliato studio di due gruppi legati a ISIS ma con sigle diverse e che operano in un’area oggi centrale per comprendere appieno la minaccia jihadista, ovvero l’Africa centrale e il Sahel.

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Nel capitolo tre, Paolo Napolitano ricostruisce la situazione della lotta a ISIS in Iraq attraverso un’analisi dettagliata della NATO Mission Iraq (NMI) ovvero la missione di addestramento delle forze di sicurezza irachene sotto l’egida della NATO la cui guida verrà assunta dall’Italia nel 2022. Alessandro Natali, invece, nel capitolo quattro, offre uno spaccato della situazione in Marocco, un Paese dove il pericolo terroristico è presente, ma in cui le forze di sicurezza sono riuscite a contenerlo significativamente.

Il capitolo cinque a firma di Giampaolo Ganzer ricostruisce le operazioni internazionali del nostro Paese in chiave anti-ISIS al fine di offrire una valutazione dei vantaggi, dei rischi e dei pericoli di tali operazioni. Ciò dunque ci conduce a riflettere in modo più sistematico su quello che sono i pericoli del terrorismo oggi in Italia e in Europa, come ha fatto Carlo De Stefano che, nel sesto capitolo, ha dimostrato come il nostro Paese sia in prima linea nell’azione di contrasto della minaccia terroristica in Italia ed in Europa.

In tale contesto risultano centrale i temi della radicalizzazione e della de-radicalizzazione su cui riflette Elettra Santori nel capitolo sette in cui vengono ricordati i frequenti e recenti attacchi terroristici in Europa.

Secondo l’ultimo rapporto Europol gli attentati di matrice jihadista non si sono spenti con lo scoppio della pandemia: nel 2020 nell’Unione Europea sono stati compiuti 10 attacchi terroristici (senza contare quelli sventati e/o falliti), con un totale di 12 morti e 47 feriti, a cui bisogna aggiungere 3 attentati avvenuti in Gran Bretagna e 2 segnalati come probabili attacchi jihadisti in Svizzera: un numero decisamente superiore ai 3 attentati di matrice islamista avvenuti nella UE (compreso il Regno Unito) nel 2019.

Il lavoro si conclude con un’appendice curata da Filippo Tiburtini e dedicata alla situazione in Afghanistan. Si tratta di un focus approfondito, già pubblicato dalla Fondazione a ridosso del difficoltoso ritiro americano dal Paese a fine estate 2021 che viene qui riproposto sia perché nello studio vengono citati dati molto approfonditi sia per dare un quadro più esaustivo alle capacità di ISIS.

 

Linee guida per capire e contrastare la minaccia

Dallo studio emerge chiaramente come ISIS, pur territorialmente molto ridotto, e gruppi affini siano tutt’ora in grado di controllare aree geografiche e questo non può che essere un elemento molto inquietante che in prospettiva potrebbe significare una trasformazione del gruppo in senso più territoriale e guerrigliero.

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Uno degli aspetti fondamentali per capire ISIS è quello di descriverlo non come gruppo terroristico, bensì come un gruppo insorgente che impiega tattiche guerrigliere o terroristiche a seconda dei diversi contesti tattici, operativi e strategici. Infatti, le capacità militari di ISIS rimangono squilibrate in termini sia geografici sia di intensità e frequenza delle azioni, ma il gruppo sembra aver riacquistato slancio.

Le cellule hanno piena conoscenza del terreno in cui operano e ricorrono alla strategia del raid muovendosi in piccoli gruppi e usano armi leggere, per colpire e ritirarsi immediatamente senza permettere una risposta efficace e senza trasformarsi in un obiettivo statico. Spesso queste azioni potrebbero apparire disorganizzate e di basso profilo, ma possono essere sintomo di una strategia più articolata che mira a indebolire la presa del governo sulla popolazione e a spingerla ad appoggiare la milizia islamica.

Infatti, la popolazione locale gioca un ruolo centrale. Non sono rari gli scontri a carattere più settario che rappresentano uno degli elementi più pericolosi da prendere in considerazione per valutare la persistenza di ISIS in grado di sfruttare queste linee di faglia tra la popolazione per far breccia in un settore della stessa. Lo Stato Islamico è una milizia e dunque vive tra la popolazione del luogo, di conseguenza uno sradicamento completo è estremamente difficile e richiede molto tempo.

Inoltre, il legame con una parte della popolazione mette in luce un problema sociale, politico ed economico di fondo: ovvero una disaffezione, quando non un vero e proprio confronto e opposizione, con il governo centrale. Finché quest’ultimo non riesce a riguadagnare legittimità agli occhi di quella parte di popolazione che, seppur minoritaria, supporta le cellule estremistiche, ben difficilmente queste verranno completamente eliminate.

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Dallo studio del caso siriano e iracheno e della zona del Sahel appare, inoltre, evidente come un punto di forza delle milizie sia quello di agire senza prendere inconsiderazione i confini statuali su cui invece si devono necessariamente basare le operazioni di contrasto.

Indubbiamente la minaccia posta dallo Stato Islamico in tutta la regione MENA e oltre ha aperto nuovi scenari di crisi che vanno affrontati e l’Italia è in prima linea ma l’attuale approccio necessita di essere ricalibrato. Da un lato tali azioni militari e di ricostruzione rientrano nei normali meccanismi della cooperazione internazionale, ma dall’altro lato, anche alla luce di risorse per la Difesa sempre piuttosto esigue, sarebbe preferibile, anziché partecipare a tutto, assumere oneri e responsabilità solo per alcune missioni alla nostra portata, pur nell’ambito di un sistema integrato, o per missioni che possano rientrare in un contesto di interessi nazionali più rilevanti.

La crisi legata allo Stato Islamico si lega inoltre a una di più vasta portata e con radici molto più profonde, ovvero una ristrutturazione dell’architettura politica internazionale e dell’area del Mediterraneo più nello specifico. Ciò è figlio di varie dinamiche che nascono almeno dalla fine della Guerra fredda e che non avranno termine nel breve periodo, ma in questo quadro decisamente fluido e complesso i rischi per la sicurezza nazionale sono innumerevoli e il contesto geopolitico del Mediterraneo sta radicalmente mutando, di conseguenza anche il nostro Paese deve trovare un nuovo ruolo geopolitico nel Mediterraneo allargato.

Nel contesto di un riposizionamento del nostro Paese in un quadro geopolitico più ampio e sfaccettato, l’Italia ha l’occasione nel 2022 di collocarsi alla guida di una situazione strategica importante in Medio Oriente e dare continuità al suo lungo impegno in Iraq dove, pur in modo non continuativo, siamo operativi sin dal 2003.

La minaccia jihadista è quanto mai attuale, anche perché molti aspiranti jihadisti, forse la maggior parte, continuano ad aderire alle formazioni terroristiche non per un richiamo ideologico o religioso, ma essenzialmente perché nei loro paesi di origine, contrassegnati dalla disoccupazione e dai fenomeni di corruzione diffusa hanno risposto al richiamo delle consorterie criminali e/o terroristiche per sopravvivere.

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Si può affermare che una buona parte degli stranieri coinvolti nelle indagini condotte in Italia sull’estremismo islamista abbiano fatto ingresso illegalmente nel territorio nazionale e successivamente abbiano tentato di regolarizzare in qualche modo la loro posizione di soggiorno attraverso diversi strumenti, compresa la richiesta del riconoscimento dello status di rifugiato. Ciò è un elemento di debolezza del sistema della sicurezza italiana ed europea in generale che va risolto per contenere la minaccia.

Serve però chiarire che i contatti tra immigrazione clandestina e organizzazioni terroristiche presenti seppure in embrione in Italia hanno un carattere di occasionalità e di sporadicità connesso alla eventuale facilitazione dell’ingresso e della permanenza sul territorio nazionale di soggetti coinvolti nell’attività dei gruppi eversivi.

La zona del Sahel è sicuramente una delle più problematiche e instabili nel contesto attuale e dove i gruppi jihadisti hanno più facilità nell’operare. Tuttavia, l’Islamic State in the Greater Sahara sembra mancare di una reale progettualità rappresentando al momento solo una minaccia dinamica che ancora non è riuscita a porre le basi per una ulteriore fase evolutiva capace di dar corso a una progressiva strutturazione socio-identitaria.

L’Islamic State in the West Africa Province ha rapidamente intrapreso una individuale e strategica azione di conquista e controllo degli spazi, definendosi come attore protagonista nel nord Nigeria, Ciad e Camerun seguendo un doppio binario: quello militare, necessario principalmente alla contrapposizione rispetto le forze governative e Boko Haram, e quello sistemico, caratterizzato da una vocazione strategico-finanziaria, volta ad acquisire spazi economici da gestire anche attraverso il reclutamento e l’inclusione dei giovani delle realtà sociali della zona d’interesse.

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Nel contesto della zona del Sahel la formula impiegata dai gruppi legati a ISIS o ad altre realtà del jihadismo internazionale e che mirano a farsi “stato” si basa su quattro diversi elementi: controllo dello spazio; gestione dei traffici illeciti; inclusione dei locali negli stessi; rimodulazione degli assetti culturali attraverso l’introduzione di una disciplina jihadista dai caratteri temperati ma assolutamente funzionale rispetto al fine di un controllo sociale.

La pervasività della minaccia jihadista in Europa è testimoniata dai dati: nel 2020 nell’Unione Europea sono stati compiuti 10 attacchi terroristici (senza contare quelli sventati e/o falliti), con un totale di 12 morti e 47 feriti.

Quattro dei dieci lupi solitari che hanno agito nella UE erano in possesso della cittadinanza europea. Cinque di loro erano entrati nell’UE come richiedenti asilo o migranti irregolari; in quattro casi, si trattava di soggetti entrati nell’UE diversi anni prima di portare a termine il loro attacco. Ciò dimostra la necessità di un maggiore controllo sui flussi migratori.

La minaccia è mutata nel corso del tempo, poiché dagli attacchi relativamente complessi e spettacolari di qualche anno fa, siamo arrivati a metodi decisamente meno sofisticati (coltello, attentati con autoveicoli e speronamento, incendi) che inoltre sono molto più difficili da prevenire per le forze di sicurezza.

Nessun intervento di assistenza sociale può garantire una percentuale di successo del 100%, ma quelli di deradicalizzazione sono più soggetti di altri a critiche e dubbi da parte dell’opinione pubblica, soprattutto all’indomani di attacchi terroristici che coinvolgono individui già sottoposti a programmi di riabilitazione, come spesso è successo anche recentemente. Nel complesso, l’analisi degli interventi di deradicalizzazione effettuati sino a oggi in paesi occidentali e non occidentali non ha ancora individuato criteri certi e univoci di valutazione dell’efficacia.

Fonte: ICSA

Foto: Amaq, SITE e Stato Islamico

 

 

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