I limiti del piano della Ue per fornire munizioni all’Ucraina

 

 

Il riarmo dell’Ucraina con equipaggiamenti di tipo occidentale e soprattutto carri armati e aerei da combattimento offre a oggi un bilancio non entusiasmante. Come riferiscono i dati più recenti dei circa 850 carri armati che si prevede verranno ceduti a Kiev quest’anno solo 250 saranno di costruzione occidentale e per quasi la metà si tratterà di vecchi Leopard 1 mentre 550 tank saranno T-72 di costruzione russo/sovietica.

La ragione era fin dall’inizio chiara a tutti coloro che volessero affrontare con sano pragmatismo la questione: gli eserciti europei hanno pochi carri armati (e poche artiglierie) e svuotati i magazzini dai mezzi da tempo fuori uso o in riserva nessuno è pronto a privarsi dei pochi tank efficienti disponibili in un contesto in cui i possibili sviluppi della guerra in Ucraina sono ancora tutti aperti.

La fornitura di aerei da combattimento (si è parlato a lungo di F-16, F-15. Mirage 2000, Eurofighter Typhoon, Gripen, Tornado, addirittura di AMX…..) ha impegnato a lungo media e politica ma si è risolta in un nulla di fatto, come era largamente prevedibile, almeno fino alla conclusione del conflitto, quando si procederà alla conversione delle dotazioni ucraine su mezzi e armi interamente standard NATO.

Di fatto gli unici aerei da combattimento che sono arrivati o arriveranno a rinforzo dell’Aeronautica Ucraina sono una trentina di Mig 29 slovacchi e polacchi e in futuro forse una decina di aerei dello stesso tipo dalla Bulgaria che avrebbe già fornito senza troppo clamore a Kiev una dozzina di Sukhoi Su-25.

Come Analisi Difesa ha sempre sostenuto, puntare sui mezzi di origine russo/sovietica (già ben noti ai militari ucraini) reperiti sul mercato dell’Est Europa e internazionale rimane l’unica opzione possibile per sostenere le forze di Kiev nei prossimi mesi, forse decisivi per l’esito del conflitto ucraino.

 

Dalla Ue un piano non realistico

Anche il nodo delle munizioni d’artiglieria che l’Europa vorrebbe fornire a Kiev sembra cozzare con i limiti delle forze armate e dell’industria della Difesa occidentale e in particolare europea.

Produrre proiettili da 155 mm a un costo medio di circa 4mila euro cadauno comporterà esborsi notevoli ma soprattutto tempi lunghi considerato che se gli Stati Uniti hanno iniziato l’anno scorso a ordinare ampi lotti di proiettili da 155 mm all’industria sud coreana e hanno attuato investimenti per incrementare la produzione nazionale da 15 mila a 25 mila proiettili al mese, in Europa le nuove commesse inoltrate da alcuni eserciti non sembrano aver determinato quel passaggio a una produzione su vasta scala che richiederebbe del resto investimenti miliardari sui scala continentale e il reperimento di migliaia di maestranze specializzate.

“Abbiamo un problema industriale, questo è il punto chiave – ha spiegato nei giorni scorsi un alto funzionario Ue all’agenzia Adnkronos riferendosi al piano, approvato oggi dai ministri degli Esteri della Ue, proposto dall’Alto Rappresentante Josep Borrell e basato su tre punti:

  • consegnare il più rapidamente possibile all’Ucraina munizioni da 155 mm prelevate dalle scorte esistenti degli stati membri o dalla riassegnazione a Kiev di ordini già esistenti rimborsando i partner Ue che accettano di cedere munizioni agli ucraini utilizzando un miliardo di euro dell’European Peace Facility, fondo finanziato per lo più da Germania, Francia, Italia e Spagna.
  • promuovere la domanda aggregata di munizioni, incoraggiando gli stati ad acquistare munizioni congiuntamente o tramite la European Defence Agency da produttori Ue per aumentare ordini e produzione dell’industria grazie a un altro miliardo di euro stanziato sempre per la European Peace Facility.
  • aumentare la capacità produttiva dell’industria della Difesa europea che, ammette Borrell, negli ultimi 30 anni ha accumulato “un significativo deficit di capacità produttiva”.

A Bruxelles si ritiene che il primo punto sia rapidamente conseguibile anche se probabilmente si tiene conto solo delle dichiarazioni dei politici, non di quelle dei vertici militari.

Il quantitativo di munizioni d’artiglieria (o di altri tipo) disponibile presso i singoli eserciti è ovviamente segreto ma in diverse nazioni europee rivelazioni giornalistiche oltre a rapporti e interrogazioni parlamentari hanno evidenziato ampie carenze e autonomie di fuoco in un conflitto di intensità simile a quello in atto in Ucraina limitate a pochi giorni.

Per questo pare illusorio ritenere che i vertici della Difesa dei paesi europei siano pronti a disfarsi oggi delle limitate scorte di munizioni da 155 mm per fornirle all’Ucraina con la remota speranza di poter riempire gli arsenali in un futuro non ben definito.

Anzi, la Ue ritiene che ordini congiunti per tali munizioni potrebbero ottimisticamente cominciare a venire contrattualizzati all’industria a partire dalla fine di maggio.

 

Quantità insufficienti e tempi troppo lunghi

Una tempistica peraltro definita dalla fonte sentita dall’Adnkronos “molto ambiziosa ma realistica” con “tempi di consegna che attualmente, si aggirano sui dodici mesi per questo tipo di munizioni”.

Il che vuol dire che le prime munizioni di nuova produzione per l’Ucraina come per gli eserciti europei sarebbero disponibili nel maggio 2024, forse troppo tardi per risultare utili alle truppe di Kiev nel conflitto mentre gli eserciti europei resterebbero per oltre un anno ancora più a corto di munizioni da 155 mm.

Bruxelles si augura che i partner forniscano almeno altri 3,5 miliardi per alimentare il fondo European Peace Facility e quindi sostenere nel tempo l’invio di armi e munizioni a Kiev tenendo conto che produrre un milione di proiettili da 155 mm per gli ucraini, come proposto dall’Estonia, costerà alla Ue circa 4 miliardi di euro.

Uno stanziamento che, come viene rilevato da alcuni partner Ue, non è certo possa portare i risultati sperati poiché sono incerti i tempi e le effettive capacità industriali di produrre una simile quantità di munizioni, pari oggi a 6 anni e mezzo di produzione statunitense di proiettili da 155 mm.

Se poi a queste valutazioni aggiungiamo che i processi decisionali della Ue non hanno mai brillato per rapidità ed efficienza non ci sono molte ragioni per guardare con ottimismo al “Piano Borrell” che disarmerà ulteriormente gli europei e potrebbe fornire troppo tardi e in quantità insufficiente le munizioni all’Ucraina.

Anche perché, considerato che Kiev ha presentato alla Ue richieste per 250mila proiettili d’artiglieria al mese, appare evidente che il milione di proiettili che l’industria europea potrebbe forse produrre in diversi anni agli ucraini basterebbe solo per 4 mesi se la guerra dovesse mantenere gli attuali ritmi.

Del resto a 13 mesi dall’inizio dell’offensiva russa in Ucraina l’industria della Difesa europea non sembra aver ricevuto dai governi né le commesse né i finanziamenti necessari ad aumentare sensibilmente la produzione allestendo nuovi stabilimenti e assumendo nuovo personale.

 

Produzione di guerra

Dalla tarda primavera del 2022 la Russia è invece passata di fatto a una “produzione di guerra” senza per questo militarizzare l’economia. Le maggiori aziende del comparto lavorano 7 giorni a settimana 24 ore al giorno con tre turni da 8 ore. Migliaia di operai, tecnici, ingegneri sono stati assunti offrendo ottimi stipendi, vari benefit e l’esenzione dal richiamo in servizio nelle forze armate in caso di mobilitazione di riservisti.

Tra i dati resi noti, il colosso industriale della Difesa Rostech nel 2022 ha aumentato del 30 per cento la produzione nel settore spaziale e nel 2023 punta a raddoppiare la produzione di elicotteri portandola da 160 a 300 macchine annue.

Certo la Russia è avvantaggiata perché energia, acciaio e materie prime li ha in casa mentre i componenti elettronici sembra vengano reperiti senza troppe difficoltà nonostante le sanzioni poste solo dall’Occidente.

In Europa invece i prezzi alle stelle di energia, acciaio (la cui produzione è al collasso nel Vecchio Continente) e materie prime uniti all’impennata dell’inflazione determinano costi di produzione in continua crescita e tempi di produzione e consegna lunghissimi.

Il caso della Germania è emblematico delle difficoltà dell’Europa. L’Esercito tedesco dovrà ad esempio attendere almeno fino al 2025 per poter mettere in linea i primi 6 esemplari dei 10 semoventi da 155 mm Pzh-2000 che dovranno essere ordinati a KMW per rimpiazzare i 14 ceduti all’Ucraina, secondo quanto riferisce il settimanale Der Spiegel che ha visionato il contratto inviato dal ministero della Difesa tedesco alla commissione Bilancio del Bundestag per l’approvazione.

In un’altra comunicazione riservata il ministero della Difesa di Berlino ha messo in guardia circa il rischio di ritardi nelle consegne definiti “medio-alti” a causa della situazione tesa sul mercato dei componenti elettronici così come viene definito “molto significativo” il rischio di aumento dei prezzi.

Alla luce di queste considerazioni i piani della Ue per armare Kiev rischiano al contempo di lasciare sguarniti gli eserciti europei e di consegnare all’Ucraina armi e munizioni (sempre più costose) troppo tardi.

La stessa Germania già nell’ottobre 2022 si è accorta che i famosi 100 miliardi annunciati da Olaf Scholz all’indomani dell’attacco russo non bastavano a coprire lo sforzo necessario per le nuove acquisizioni previste.

 

Una strategia alternativa

In queste condizioni la strategia più efficace e credibile per sostenere Kiev in tempi rapidi dovrebbe essere ben diversa da quella enunciata da Borrell.

Mentre i partner UE/NATO dovrebbero puntare su un pesante e accelerato riequipaggiamento e potenziamento di mezzi corazzati, artiglierie e munizioni, l’obiettivo di sostenere ora l’Ucraina sul campo di battaglia risulta perseguibile con efficacia solo puntando su prodotti di tipo russo/sovietico.

Ciò significa nel caso delle artiglierie su munizioni per obici calibro 122 e 152 mm da reperire ovunque possibile sui mercati internazionali acquistandole da nazioni che le impiegano e investendo subito sul potenziamento degli apparati industriali dei partner dell’est Europa, i cui stabilimenti hanno prodotto a lungo e in alcuni casi ancora producono armi e munizioni di standard sovietico che l’esercito ucraino è in grado di utilizzare nell’immediato senza bisogno di addestramenti particolari .

D’altra parte gli angloamericani già stanno cercando di comprare armamenti e munizioni di questo tipo per fornirli all’Ucraina, pagandoli in denaro o scambiandoli con prodotti militari occidentali di seconda mano.

Questa soluzione comporterebbe inoltre il vantaggio di ridurre l’incubo logistico che già da un anno caratterizza l’esercito ucraino, costretto a gestire oltre 160 diversi tipi di tank, veicoli ruotati e cingolati, artiglierie, missili terra-aria e anticarro; armi e munizioni di diversa origine, non standardizzabili e il cui mantenimento in servizio risulta molto arduo anche per la carenza di infrastrutture manutentive che impone in molti casi la cannibalizzazione o la manutenzione e riparazione oltre confine.

Infine, anche se sul tema viene mantenuta la massima riservatezza, diverse fonti informali riferiscono che un numero crescente di esemplari di obici da 155 mm trainati e semoventi di tipo occidentale è stato distrutto, danneggiato o usurato in battaglia.

Poiché i partner della NATO hanno crescenti difficoltà a fornirne altri per non ridurre pericolosamente le proprie già limitate unità d’artiglieria, non ha molto senso per l’Europa spendere miliardi per fornire all’Ucraina munizioni da 155 idonee a obici il cui numero in servizio è in drastica diminuzione e che non sono utilizzabili dai pezzi d’artiglieria di tipo russo/sovietico.

@GianandreaGaian

Foto: Rheinmetall, Bundeswehr e Ministero Difesa Ucraino,

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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