Il caso Austin e i problemi di leadership degli Stati Uniti  

 

Il segretario alla Difesa statunitense, Lloyd J. Austin III, 70 anni, rimane ricoverato in ospedale dopo aver subito un intervento chirurgico ma le sue condizioni di salute e la sua uscita di scena a causa del ricovero sono diventate un caso politico.

Il Pentagono ha precisato ieri che Austin ha subito un intervento il 22 dicembre ed è tornato a casa il giorno successivo ma è stato ricoverato in terapia intensiva il 1° gennaio quando ha iniziato a provare forti dolori postoperatori. La nota del Dipartimento della Difesa ha aggiunto che il 6 gennaio ha avuto un colloquio con il presidente Joe Biden ma anche che non si sa ancora quando sarà dimesso dall’ospedale.

Nessun dettaglio sul tipo di intervento subito ma il portavoce Pat Ryder ha aggiunto che Austin è stato in contatto con il vice segretario alla Difesa Kathleen Hicks, con il capo dei capi di stato maggiore congiunti, il generale CQ Brown Jr. e il suo staff. Fonti governative hanno riferito a diversi media che Austin ha trascorso quattro giorni nel reparto di terapia intensiva. Intanto la CNN ha reso noto che Kathleen Hicks non sapeva del suo ricovero in ospedale quando ha assunto alcuni dei suoi poteri il 2 gennaio.

 

Perplessità istituzionali

Proprio l’assenza di informazioni circa il ricovero rischia di compromettere la posizione di Austin, che si è assunto la responsabilità di aver mantenuto la riservatezza al riguardo. “Comprendo le preoccupazioni dei media per la trasparenza e riconosco che avrei potuto fare un lavoro migliore assicurando che l’opinione pubblica fosse adeguatamente informata. Mi impegno a fare meglio. Ma è importante dirlo: questa é stata la mia procedura medica e mi assumo la piena responsabilità delle mie decisioni in merito alla divulgazione”, ha dichiarato Austin in un comunicato.

Il segretario alla Difesa ha ringraziato “gli straordinari medici e il personale infermieristico del Walter Reed per le cure eccezionali” e il calore dimostrato a lui e alla sua famiglia. “Sono molto felice di essere in via di guarigione e non vedo l’ora di tornare presto al Pentagono”, ha affermato, senza rivelare altri dettagli sulla sua situazione clinica.

Il 1° gennaio, quando è stato ricoverato, Austin aveva partecipato in collegamento telefonico ad una riunione alla Casa Bianca sulla crisi in Medio oriente. Qualche giorno dopo si è fatto sostituire da un alto funzionario del Pentagono, Sasha Baker, ad una riunione alla Casa Bianca sulla situazione ad Haiti. Né il Consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, né lo stesso Baker, sapevano che in quel momento Austin era ricoverato al Walter Reed National Military Medical Center per le complicazioni di un intervento chirurgico mentre la vice segretaria Kathleen Hicks, in vacanza a Portorico, aveva dovuto assumere alcuni compiti del suo capo.

Venerdì molti alti funzionari sono rimasti sorpresi quando Kelly Magsamen, capo dello staff di Austin, ha inviato una mail per informare i vertici militai e civili del Pentagono dello stato di salute del segretario alla Difesa. Sia la mail che l’annuncio pubblico diramato due ore dopo contenevano informazioni molto scarne e il Congresso è stato informato solo un quarto d’ora prima del comunicato pubblico.

 

La questione politica

Il caso ormai ha assunto una dimensione politica. “Il Pentagono ha impiegato tre giorni e mezzo per informare la Casa Bianca”, ha sottolineato il New York Times. Solo venerdì (5 gennaio) sera il portavoce del Pentagono, Pat Ryder, ha rivelato in una nota che il segretario Austin si stava riprendendo dopo essere stato ricoverato il lunedì all’ospedale militare Walter Reed di Bethesda, nel Maryland, per “complicazioni derivanti da una procedura medica non urgente”.

Il dipartimento della Difesa ha precisato che l’assenza di Austin non era stata resa pubblica subito per ragioni di privacy e perché’ la situazione era “in evoluzione”. Sempre secondo il NYT il presidente Biden avrebbe confermato la sua piena fiducia al segretario alla Difesa.

“Qualche testa deve cadere”, titola il quotidiano on line Politico che riferisce come la vicenda abbia messo in imbarazzo l’amministrazione Biden anche se quattro fonti sentite dal giornale hanno assicurato che per ora Austin non rischia di perdere l’incarico sia per la situazione di tensione internazionale, con le guerre in Ucraina e in Medio Oriente in corsoi, sia in vista delle elezioni presidenziali di novembre sia perché cambiare del segretario alla Difesa richiederebbe temi lunghi per l’approvazione da parte di un Congresso sempre più diviso.

Le stesse fonti ritengono però che “qualche testa dovrà cadere” poiché “non informare la Casa Bianca, il Congresso e i media che era ammalato, e dire allo staff del Pentagono che lavorava da casa… questo è un problema – nota un ex funzionario del Pentagono – qualcuno ha preso la decisione di tenere tutto nascosto. Quella persona probabilmente dovrà andare via a breve”.

I repubblicani al Congresso hanno del resto reagito con indignazione alla notizia e alcuni chiedono che Austin si dimetta, come riferisce la testata Axios.

Per l’ex vice presidente Mike Pence, si tratta di una “Inadempienza al dovere totalmente inaccettabile”. Per Jim Banks, membro della commissione della Camera per le forze armate “Austin è stato un disastro sin dal primo giorno e dovrebbe essere sostituito da qualcuno che si concentri sul rendere le forze armate pronte a combattere e vincere guerre invece di promuovere le cause politiche dell’amministrazione Biden”.

Roger Wicker, membro della commissione del Senato per le forze armate, valuta che quanto accaduto “erode ulteriormente la fiducia nell’amministrazione Biden”. Anche l’ex presidente Donald Trump, candidato alle prossime elezioni, ha pubblicamente invitato il presidente Joe Biden a licenziare il segretario alla Difesa Lloyd Austin.

Dal suo account Truth Social Trump ha scritto che “il fallito segretario alla Difesa Lloyd Austin dovrebbe essere licenziato immediatamente per condotta professionale impropria e inadempienza ai suoi doveri”.

 

Chi tiene le redini?

Al di là del dibattito politico, reso più acceso dalla campagna elettorale, restano aperti seri interrogativi che riguardano direttamente l’attuale leadership statunitense.

Già in più occasioni il Presidente Biden ha dato segni di scarsa lucidità e consapevolezza. Lo ha fatto in pubblico ed è quindi lecito ritenere che tali manifestazioni, indicatori di gravi problemi di salute, avvengano in misura anche maggiore lontano da eventi pubblici e telecamere. Naturale quindi che la ricandidatura di Biden per un secondo mandato, che in caso di vittoria lo lascerebbe alla Casa Bianca fino a gennaio 2029, susciti non poche perplessità negli Stati Uniti anche tra molti sostenitori e membri del Partito Democratico.

La vicenda di Austin si inserisce infatti in questo contesto lasciando aperti diversi interrogativi anche perché nei giorni in cui il capo del Pentagono era ricoverato all’insaputa persino della Casa Bianca le forze statunitensi hanno condotto operazioni militari non proprio “di routine” che rischiano seriamente di allargare il conflitto in Medio Oriente: dall’intercettazione di missili e droni Houthi nel Mar Rosso al raid del drone che ha ucciso il 4 gennaio tre leader delle milizie scite Forze di Mobilitazione Popolare (PMU) nel centro di Baghdad.

L’attacco statunitense in Iraq è avvenuto durante le commemorazioni dell’anniversario della morte di Abu Mahdi al-Muhandis, ex vice capo delle PMU e comandante di Kataib Hezbollah, uno dei gruppi armati più importanti della coalizione, ucciso nell’attacco americano che nel gennaio 2020 eliminò nella capitale irachena il generale iraniano Qasem Soleimani.

L’attacco ha fatto infuriare il primo ministro iracheno, Mohammed Shia al-Sudani (nella foto sotto) che lo ha definito una violazione della sovranità irachena e ha ribadito che avvierà le procedure per il ritiro delle truppe statunitensi dall’Iraq. Al-Sudani ha affermato che gli Stati Uniti hanno aggirato il governo iracheno, che è “l’organo autorizzato a imporre la legge” mentre il vertice militare iracheno ha fatto sapere di non essere stato informato del raid americano sul quartiere generale delle PMU.

Al-Sudani ha aggiunto che la Forza di Mobilitazione Popolare “rappresenta una presenza ufficiale affiliata allo Stato e parte integrante delle nostre forze armate” e che “gli attacchi contro le nostre forze di sicurezza vanno oltre lo spirito del mandato che ha creato la Coalizione internazionale”, facendo riferimento alla forza multinazionale guidata dagli Stati Uniti contro lo Stato Islamico e che mantiene le proprie forze in Iraq: Washington ha risposto di rispettare la sovranità irachena ma di dover difendere i propri soldati in Iraq dagli attacchi delle milizie filo-iraniane.

Della Coalizione, è bene ricordarlo, fa parte anche l’Italia che schiera in Iraq ancora qualche centinaio di militari che rischiano, come gli altri alleati, di venire coinvolti nelle conseguenze del confronto in atto tra Stati Uniti e le milizie scite e dalle “esecuzioni unilaterali”. Azioni certo decise a Washington ma, viene oggi da chiedersi, da quale catena di comando?

Se Austin è ricoverato dal 1° gennaio e la sua vice e il presidente Biden neppure lo sapevano chi ha ordinato il raid a Baghdad? Chi avrebbe gestito una eventuale reazione delle forze di Baghdad, delle PMU o dell’Iran? Certo la catena di comando e controllo statunitense, dagli Stati Maggiori Congiunti al Central Command responsabile per le operazioni in Medio Oriente, è ben oliata ma considerato l’impatto politico-strategico delle decisioni assunte sul piano militare, specie in un contesto così esplosivo come quello attuale e tenuto conto delle condizioni di salute di Biden e Austin, appare naturale chiedersi chi prenda a Washington decisioni le cui conseguenze sono così rilevanti per tutti.

@GianandreaGaian

Foto: US DoD, Getty Images e Governo Iracheno

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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