I baltici rottamano Ottawa e sdoganano le mine antiuomo

 

(Aggiornato alle ore 9,40)

Dopo il debito pubblico, fino a ieri tabù in Europa ma oggi apertamente incoraggiato dalla UE per il riarmo anti-russo, ora è la volta delle mine antiuomo, fino a ieri una immorale e riminale minaccia per le future generazioni nelle aree di guerra e oggi sdoganate come “toccasana” per scoraggiare l’invasione russa dell’Europa.

La Lettonia, seguendo l’esempio di Polonia, Lituania, Estonia e Finlandia, ha reso noto in aprile la decisione di ritirarsi dalla convenzione internazionale che vieta l’uso delle mine antiuomo e inizierà a minare il confine con la Russia e la Repubblica di Bielorussia.

All’inizio del mese scorso il Presidente finlandese Alexander Stubb, in un post pubblicato su X ha reso noto che Helsinki aumenterà la spesa per la difesa al tre per cento del PIL entro il 2029 per proteggersi dalla minaccia di aggressioni della Russia e ha avviato le pratiche per il ritiro dalla Convenzione di Ottawa contro le mine anti uomo.

Un passo considerato necessario per proteggere il confine di 1.340 chilometri con la Russia. Motivazione analoga a quella che aveva indotto in marzo la Polonia ad annunciare lo stesso passo per poter minare i confini con la Bielorussia nel quadro del programma “Arcza Wschód” (Scudo Orientale), annunciato nel maggio 2024 e comporterà investimenti per oltre 2,5 miliardi di euro per realizzare campi minati, fossati e ostacoli anticarro sbarramenti e mettere in campo sensori e altri strumenti per la sorveglianza dei confini.

Sono bastati tre anni di guerra in Ucraina e un po’ di proclami bellicosi alimentati dalla paura dell’invasione russa a spazzare via 30 anni di narrazione moralistica e apocalittica sulle mine antiuomo, presentate per decenni come fonte di ogni disgrazia postbellica e dei tanti invalidi civili determinati da questi ordigni in tante aree del mondo.

Una minaccia senza dubbio concreta e a simili appelli i civilissimi popoli nord europei sono sempre stati molto sensibili, al punto che tutta Europa ha rinunciato a produrre, impiegare, esportare mine antiuomo distruggendo addirittura in molti casi gli stock esistenti.

Valutazioni umanitarie avevano spazzato via in pochi anni la razionale valutazione che i campi minati, anche con ordigni antiuomo, in guerra sono utili e necessari. Non a caso non hanno mai aderito alla Convenzione nazioni che sanno che dovranno combattere o che si aspettano di doverlo fare, nonché nazioni già di fatto in stato di guerra aperta o potenziale: USA, Cina, Russia, Coree, Egitto, molte nazioni del Nord Africa, Asia Centrale e del Medio Oriente.

Dopo aver fatto la morale a quanti non volevano rinunciare a un’arma così importante e al tempo stesso così subdola, ad alcune nazioni europee è bastato il timore dei russi per buttare in cantina la “Convenzione internazionale per la proibizione dell’uso, stoccaggio, produzione, vendita di mine antiuomo e relativa distruzione” del 1997, nota come Trattato di Ottawa, che vede l’adesione di 133 nazioni, meno le 5 europee che hanno annunciato l’uscita.

Possibile che in futuro altre nazioni che si considerano di prima linea contro l’ipotetica minaccia russa si uniscano a baltici, polacchi e finnici, anche se la Germania ha fatto sapere di voler mantenere il divieto sulle mine antiuomo. “La posizione del governo federale sulla Convenzione di Ottawa resta invariata“, ha affermato una portavoce del ministero degli Esteri tedesco.

Anche l’Ucraina, che aveva aderito alla messa al bando di tali ordigni, dopo l’inizio cella guerra contro la Russia ha manifestato il possibile ritiro dal trattato a causa di “necessità militari” pur non avendo mai compiuti passi ufficiali in tal senso.

Ciò non ha impedito alle forze militari ucraine di fare un massiccio uso di mine antiuomo nei propri territori e nella regione russa di Kursk, impiegando anche le massicce forniture di armi di questo tipo da parte degli Stati Uniti, che come la Russia non hanno mai firmato il trattato.

E’ però curioso notare che il moralismo sulle mine antiuomo (come su molti altri tipi di armamenti) è tipico delle nazioni che ritengono di non dover mai più combattere, almeno conflitti convenzionali. E’ stata sufficiente un po’ di propaganda tesa a gonfiare la possibilità che le orde siberiane si lancino alla conquista dell’Europa per riportare in auge gli ordigni tanto esecrati e di cui si è così a lungo condannata l’esistenza e bandita la produzione.

Abbiamo detto al mondo in guerra che doveva fare a meno delle mine antiuomo per motivi umanitari e ora che servono a noi siamo pronti a cancellare il Trattato di Ottawa.

Con la solita spocchia che caratterizza l’approccio dell’Europa al resto del mondo (l’Alto commissario per la politica estera e di sicurezza UE, Josep Borrell, disse che “noi siamo il giardino, fuori è la giungla…”) abbiamo di fatto sancito che le mine antiuomo sono un crimine se servono ai “popoli della giungla” ma diventano strumenti legittimi e necessari per “difendere il giardino” e forse addirittura armi sante se servono a fermare le orde russe.

Alle tante ipocrisie che caratterizzano l’Europa “quasi belligerante” (ma pur sempre da operetta) di questi anni, vanno unite valutazioni di tipo strategico e geopolitico che riguardano soprattutto la Finlandia, che ancora fresca di ingresso nella NATO deve già interrogarsi sulla bontà di quella scelta.

Specie ora che deve proteggere oltre 1.300 chilometri di confine con la Russia, rimasti tranquilli e privi di tensioni dalla fine dalla Seconda guerra mondiale fino a ieri grazie alla neutralità di Helsinki e che oggi, con l’ingresso nella NATO, costituiscono una nuova “Cortina di ferro”.

Un confine di fatto indifendibile per una nazione più grande dell’Italia ma che ha solo 5,6 milioni di abitanti e forze armate composte 23.850 militari dei quali 17.400 nell’Esercito, 3.150 nella Marina, 3.300 nell’Aeronautica e 2.900 nella Gendarmeria. Forze così esigue che in caso di crisi verrebbero rafforzate da 233.000 riservisti, di cui 180.000 dell’Esercito, 24.000 della Marina, 29.000 dell’Aeronautica e 12.000 della Gendarmeria.

Di questi riservisti però solo 18mila vengono richiamati ogni anno per 80 giorni (150 per i sottufficiali e 200 giorni per gli ufficiali) di aggiornamento e addestramento, come rileva il Military Balance 2025. Per difendere un confine così lungo e divenuto caldo dopo l’ingresso nella NATO, l’esercito dispone quindi di 4.400 professionisti e 13 mila coscritti oltre a 180 mila riservisti richiamabili.

Se tutti i militari in servizio fossero impiegabili in prima linea la Finlandia disporrebbe di 13 militari per ogni chilometro di confine con la Russia da difendere, che salirebbero in caso di mobilitazione dei riservisti a 147 militari per chilometro. Comprensibile quindi che nell’attuale contesto lo stato maggiore di Helsinki guardi senza alternative all’impiego di sensori di sorveglianza e diversi milioni di mine per difendere la lunga frontiera con la Russia.

Specie oggi che l’evidente ridimensionamento dell’impegno statunitense in Europa rischia di lasciare gli alleati e la Finlandia in particolare “con il cerino in mano”. Cioè quasi da sola a far fronte alla Russia lungo il confine della Carelia, dopo essere uscita dal confortevole status di nazione neutrale per entrare in una NATO oggi più traballante che mai.

Parlando dell’Ucraina, ma forse pensando anche alla sua nazione, il 10 aprile il ministro della Difesa finlandese Antti Hakkanen si è espresso circa le garanzie di sicurezza che Washington rifiuta di fornire a Kiev. “Dal punto di vista finlandese riteniamo che gli Stati Uniti siano un attore cruciale per garantire una sicurezza duratura. Per questo sottolineiamo che debbano essere coinvolti in qualche modo”.

Pochi giorni prima, il 5 aprile, il ministro degli Esteri, Elina Valtonen, aveva ribadito in un’intervista alla televisione pubblica YLE che la Finlandia “ha preso la decisione giusta quando ha aderito all’Alleanza Atlantica”, la quale “ha soddisfatto in modo eccellente le aspettative della Finlandia”.

Secondo Valtonen è importante che la Finlandia sostenga l’Ucraina e indebolisca la Russia con strumenti quali le sanzioni economiche. “L’economia russa non sarà in grado di combattere questa guerra per sempre” sostenendo che la popolazione russa sia insoddisfatta perché i prezzi al consumo stanno aumentando. In questa prospettiva, “la situazione della sicurezza in Europa e in Finlandia è radicalmente cambiata. La Russia è e rimarrà una minaccia per tutta l’Europa. La Finlandia e l’Europa devono valutare tutte le misure volte a rafforzare le loro capacità di deterrenza e di difesa, individualmente e nella NATO”.

Concetto ribadito i 7 maggio dal ministro Valtonen. “La Russia, chiaramente, non è interessata alla pace. Quindi la strategia in cui l’Unione europea, insieme ai partner e agli alleati, è impegnata, che si articola in tre punti: primo, aiutare l’Ucraina, indebolire la Russia attraverso le sanzioni e lavorare anche sulla nostra difesa e deterrenza, sia per il presente che per il futuro, è esattamente quella giusta”.

Insomma, la Finlandia ha migliorato a tal punto la sua sicurezza passando dalla neutralità alla NATO che deve sperare che sanzioni e crisi economica portino la Russia alla sconfitta nel conflitto attualmente in corso. A ben guardare le stesse certezze espresse nel 2022 da Ursula von der Leyen, Mario Draghi e innumerevoli leader politici europei che avevano scommesso sul disastro militare ed economico russo.

Non tutti sostengono le valutazioni del governo finlandese. Nel settembre 2024 un interessante articolo del professore norvegese Glenn Diesen (titolo originale “The Militarisation of Scandinavia & the Great Northern War 2.0 How a Region of Peace Became an American Frontline”), ripubblicato in italiano da Analisi Difesa evidenziava che “la militarizzazione della Scandinavia comprometterà drasticamente la sicurezza della regione e determinerà nuovi conflitti poiché la Russia sarà costretta a rispondere a quella che potrebbe diventare una minaccia esistenziale”.

L’analisi di Diesen, scritta all’epoca dell’Amministrazione Biden negli Stati Uniti, sosteneva che “la capacità della Scandinavia di essere una regione di pace si basava sulla padronanza dell’equilibrio deterrenza/rassicurazione. Finlandia e Svezia erano stati neutrali come parte importante della cintura di stati neutrali dal nord al sud dell’Europa durante la Guerra Fredda, il che ha contribuito a ridurre le tensioni. La Norvegia era un membro della NATO ma si è imposta delle restrizioni non ospitando basi militari straniere sul suo territorio e limitando le attività militari degli alleati nella regione artica. Era di buon senso che la sicurezza derivasse dallo scoraggiare i sovietici senza provocarli. Questo buon senso è ormai scomparso da tempo”.

Nel mettere insieme precedenti storici e analisi strategica, Diesen sostenne che “si presume che gli Stati Uniti condividano gli interessi della Scandinavia e stiano costruendo disinteressatamente una presenza militare lì per garantire la sicurezza.

Gli Stati Uniti hanno una strategia di sicurezza basata sull’egemonia, che dipende dall’indebolimento di tutti i rivali emergenti…..Mentre la Scandinavia ha interesse a mantenere confini pacifici con la Russia, gli Stati Uniti hanno definito i propri interessi nel destabilizzare i confini russi”.

Oggi, per sostenere la preparazione alla guerra con Mosca, la Finlandia sta addestrando i vigili del fuoco a intervenire in aree bombardate prendendo spunto dalle esperienze maturate dai soccorritori in Ucraina e acquistando elmetti e giubbotti antiproiettile per i pompieri.

“Purtroppo in Ucraina è frequente che prima ci sia un’esplosione e che, quando arrivano i soccorritori sul posto, ci sia una seconda esplosione“, ha spiegato Petri Strandberg, capo dei vigili del fuoco presso il dipartimento di Helsinki.

L’esperienza dall’Ucraina mostra che la minaccia può venire da bombardamenti ma anche da droni: “Ci auguriamo chiaramente di non averne bisogno qua in Finlandia. Ma sappiamo che dobbiamo essere pronti. Si tratta di una nuova iniziativa per preparare i nostri soccorritori in caso di episodi violenti”, ha aggiunto Strandberg, intervistato da YLE.

Il 1° aprile il Cremlino ha accusato Svezia e Finlandia di aver azzerato le relazioni con la Russia. “Lasciatemi ricordare le parole del presidente Putin che con Finlandia e Svezia non avevamo alcun problema. Ma ora stanno prendendo provvedimenti per ospitare l’infrastruttura militare della NATO sul loro territorio”, ha affermato il portavoce Dmitri Peskov.

“Non c’erano problemi. Era una cooperazione realmente reciprocamente vantaggiosa”, ha dichiarato Peskov, secondo la Tass. “Le aziende di entrambi i paesi hanno tratto dividendi e vantaggi da questa partnership. Sfortunatamente, sia la Finlandia che la Svezia hanno scelto di ridurre le relazioni con la Russia praticamente a zero. Questo riflette il triste stato delle nostre relazioni attuali”.

@GianandreaGaiani

Foto: CIA Word Fact Book, PAP e Esercito Finlandese

Leggi anche:

La militarizzazione della Scandinavia e la Grande Guerra del Nord 2.0  

Le forze armate finlandesi tra eredità del passato e sfide del presente

 

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

Login

Benvenuto! Accedi al tuo account

Ricordami Hai perso la password?

Lost Password

Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy: