Le forze armate finlandesi tra eredità del passato e sfide del presente

 

 

Mancano ancora le ratifiche della Turchia, dell’Ungheria e della Slovacchia ma l’iter di adesione della Finlandia alla NATO ha già incassato il sì di 27 parlamenti e governi alleati. E’ quindi opportuno interrogarsi sul potenziale bellico di Helsinki, su quale valore aggiunto apporteranno le forze armate finlandesi all’Alleanza Atlantica e come è strutturato lo strumento militare della nazione scandinava.

La Finlandia ha una fortissima tradizione guerresca come testimoniarono i combattimenti contro l’Unione Sovietica degli anni fra il 1939 e il 1944. Il coraggio e l’abnegazione di cui dettero prova i soldati finlandesi, contro un nemico soverchiante e strapotente, sono tuttora presi a modello e ricevettero all’epoca l’ammirazione di tutto il mondo.

Al termine della Seconda guerra mondiale (che la vide schierata con l’Asse) e in seguito al trattato di pace di Parigi del 1947, la Finlandia fu costretta a subire perdite territoriali e limitazioni notevoli al suo apparato militare: le forze terrestri furono configurate con un massimo di 34.400 uomini mentre la Marina, ridotta a 4.500 effettivi, fu costretta a rinunciare al naviglio superiore alle 10.000 tonnellate di dislocamento.

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Quanto all’Aeronautica fu stabilito un tetto di 3.000 unità e di 60 aerei mentre anche il procurement fu condizionato dal divieto di approvvigionarsi di materiali di origine tedesca, di missili guidati, di sottomarini, di siluranti e perfino di bombardieri.

Durante la Guerra Fredda, il paese seguì una politica di rigorosa neutralità fra la NATO e il Patto di Varsavia. I rapporti con l’ingombrante vicino dell’est hanno sempre risentito delle tensioni fra i due blocchi: negli anni ’60, era imperativo mantenere relazioni cordiali con Mosca e per dare prova di buona volontà e offrire un pegno del proprio spirito non aggressivo, Helsinki comprò materiali sovietici.

Ma continuò pure a rifornirsi in Occidente, soprattutto negli anni ’80, quando arrivarono gli addestratori britannici Bae Hawk e i cacciabombardieri statunitensi Boeing F/A-18 Hornet.

Dal punto di vista dottrinale, il decennio 1960-1970 influì notevolmente sull’evoluzione della difesa finlandese, plasmando un modello concettuale meta-regionale, destinato a fare scuola. Visti i limiti pattizi al numero di effettivi, la Finlandia cominciò da subito a scommettere sui riservisti, addestrandoli massicciamente. Le riserve costituiscono tutt’oggi il pilastro della sua strategia operativa.

 

Uno sguardo d’insieme

A dispetto di una popolazione di appena 5,5 milioni di abitanti, la Finlandia schiera forze armate rinomate, fortemente dipendenti dalla coscrizione, sia per le riserve, sia per i reparti operativi. I coscritti rappresentano i due terzi dell’Esercito, più della metà della Marina e un terzo circa dell’Aeronautica. Il periodo di leva dura cinque mesi e mezzo, con due classi l’anno, e sale a otto mesi e mezzo e a undici mesi e mezzo per gli ufficiali, i sottufficiali e per alcune specialità.

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Durante il periodo nella riserva, che dura fino a 50 anni per i sottufficiali e fino a 60 per gli ufficiali, i finlandesi devono prestare servizio per 80 giorni se soldati semplici, per 150 giorni se sottufficiali e per 200 giorni se ufficiali. Circa 18.000 uomini sono chiamati ogni anno a rindossare l’uniforme. In tutto, la riserva finlandese conta oggi 227.500 unità circa, con il grosso che integra l’Esercito (170.000 uomini). Vengono poi l’Aeronautica, che ha un bacino di 26.000 riservisti, quindi la Marina, con 20.000 riservisti, e il Corpo delle guardie di frontiera (11.500).

Il tutto è da rapportare alla componente in servizio attivo che conta 35.000 effettivi circa, così ripartiti: Esercito 23.790 uomini, fra 19.800 coscritti, 3.550 professionisti e 640 civili, Marina, forte di 1.400 professionisti e 3.500 coscritti e Aeronautica, con 2.000 professionisti e 1.300 coscritti e guardie di frontiera (2.700 uomini).

Fin dal 1968, le forze sono modellate per rispondere ai dogmi della difesa territoriale, imperniati sulla riattualizzazione della strategia della guerra d’inverno del 1939-1940, a partire da un altissimo grado di iniziativa accordato alle unità di base: un’Auftragstaktik incentrata su un combattimento ritardatore, seguito da un ripiegamento verso le aree urbane.

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Un po’ quello che si vede in gran parte in scena nel teatro ucraino oggi. Imbastite con la mobilitazione, le unità di base si fondano in primis sui coscritti che servono in battaglia in posizioni e scacchieri non distanti dai loro luoghi di dimora, per godere dei vantaggi della conoscenza minuziosa del terreno.

La difesa della Lapponia, nel nord del Paese, è però puntellata da guarnigioni ad hoc. Sebbene tutte le unità di base ricevano supporto di artiglieria, su richiesta, e in misura minore dell’aviazione, sono concepite per difendersi soprattutto con gli equipaggiamenti in dotazione, che sono missili e moltissime armi anticarro, cannoni senza rinculo e razzi.

Nel settore contraerei, a partire dagli anni ’80 e di fronte al rischio del jamming dei sistemi di concezione sovietica, i finlandesi hanno cominciato ad optare per i missili occidentali. Per un certo periodo sono stati mantenuti in linea i sistemi antiaerei SAM russi BUK-M1, abbandonati definitivamente dopo l’annessione della Crimea alla Federazione, nel 2014.

 

La strategia della difesa territoriale

I principi della difesa territoriale sono declinati in una strategia onnicomprensiva di difesa totale, includenti sfera militare e protezione civile. Una forma di difesa che rappresenta il modello più riuscito di strategia integrale che, in tempo di guerra, antepone la logica di difesa alle esigenze di ogni abitante e di qualsiasi altra attività.

L’insieme dei settori è coinvolto e sottoposto all’imperativo categorico della difesa, che federa la difesa economica, quella sociale, passando per la lotta contro le pandemie fino ad arrivare alle operazioni militari in senso stretto. In caso di crisi, il Parlamento vota la legge sulla difesa dello Stato e ogni ministero attiva i piani prestabiliti e testati periodicamente. In pratica, vengono mobilitate tutte le organizzazioni militari e civili, dalle Forze Armate alle istituzioni economiche e sociali, compresi governo, parlamento e singoli individui.

Spetta quindi al governo garantire il coordinamento generale dell’interezza delle misure adottate, con l’appoggio di un comitato per la sicurezza e la difesa. La prima delle misure è la mobilitazione generale, che può coinvolgere un effettivo di circa 900.000 militari.

 

Un clima più teso dal 2014

Molto è cambiato dal 2014. Dopo la fase di neutralità e coabitazione pacifica con la Russia, paese con cui la Finlandia condivide una frontiera di 1.340 chilometri, Helsinki ha adottato una postura più pugnace, per fronteggiare le recenti tensioni con Mosca.

Il paese del resto ha memoria storica non solo della guerra degli anni ’40 ma anche di quando la Finlandia, granducato indipendente, finì sotto il giogo russo per più di un secolo, dal 1809 al 1917.

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Sconfitta nel 1944, conservò la propria indipendenza al prezzo di enormi concessioni e in cambio della più rigida neutralità. Perse la regione della Carelia, che è tuttora una questione spinosa nei rapporti con la Russia. La politica finlandese al riguardo è riassumibile in poche parole: non parlarne mai, ma pensarci sempre.

Visto il cambiamento di scenario attuale, già nel 2015, su impulso del governo di Juha Sipila, primo ministro, il paese ha intrapreso un potenziamento marcato delle forze armate, puntando sulla mobilità e la potenza di fuoco dell’esercito e creando delle forze d’intervento rapido: le valmiusyksitot o unità di preparazione, formate essenzialmente da coscritti che, al termine della ferma prestabilita, continuano un percorso formativo semestrale specifico.

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Circa il 10% dei coscritti integra queste unità. Già nel 2017, osservatori indipendenti avevano notato che il livello di preparazione delle forze finlandesi era nettamente migliorato e che il paese era ormai in grado di dispiegare «migliaia di soldati» in poche ore per fronteggiare qualsiasi intrusione, senza citare esplicitamente il nemico, ovviamente russo.

Il paese dispone anche di una piccola Forza di Proiezione Rapida di 1.500 uomini, con uno stato maggiore proiettabile, più il 101° battaglione meccanizzato di Jaegers, il 102° battaglione del genio, una compagnia CIMIC, un’unità logistica, un gruppo tattico di fanti di marina e un distaccamento navale di tre navi per la guerra di mine.

Un modo per fiancheggiare gli eventuali alleati all’estero. Gran parte di queste unità è formata da volontari, generalmente assegnati alla Brigata meccanizzata Pori. Da qualche anno, il paese ha predisposto poi un contingente di 200 uomini per il Nordic Battlegroup dell’Unione europea, costituito nel 2005 e attivato per la prima volta nel 2007, comandato dalla Svezia e formato anche da militari norvegesi, estoni, lettoni, lituani e irlandesi, e mantenuto in allerta semestrale, pronto a integrare eventuali missioni militari dell’UE.

Per aumentare le capacità di proiezione, Helsinki ha integrato il gruppo internazionale SALIS e il consorzio NATO che impiega i cargo strategici C-17.

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Perché nonostante gli imperativi ineludibili della difesa nazionale, Helsinki partecipa assiduamente a molte le missioni internazionali fin dal 1956. Piano piano è diventata meno neutrale e da quando è scoppiata la crisi ucraina, nel 2014, ha rinsaldato i legami con la NATO, essendo già parte del Partenariato per la Pace.

Pur non essendo ancora parte della NATO, la Finlandia invia proprie forze militari a partecipare regolarmente alle sue esercitazioni e ha da tempo una rappresentanza permanente in seno ai due grandi comandi alleati: l’Allied Command for Operation, a Mons, in Belgio, e l’Allied Command for Transformation, a Norfolk, negli USA, e si è maggiormente integrata con gli stati maggiori regionali alleati, in primis con quelli dei paesi baltici, membri recenti dell’Alleanza Atlantica.

Helsinki è un fornitore privilegiato di hardware militare dell’Estonia. Strettissimi sono i legami militari con la Svezia, potenza tutelare fino all’inizio del 19° secolo. Parliamo di una rete di alleanze e di intrecci che ha avuto finora il compito primario di scongiurare il rischio di isolamento, sofferto durante il periodo sovietico.

 

La corsa verso la NATO

Per dare un’idea del clima mutevole, già nel giugno 2018, diversi quotidiani finlandesi hanno avviato una campagna d’informazione tesa a sollecitare la domanda di adesione alla NATO. Per la sicurezza, propria, del Baltico e dell’Europa tutta, i media non vedevano ormai che un’unica strada: la difesa comune e collettiva garantita dall’articolo 5 del patto atlantico.

Condizione necessaria per entrare nella NATO era che anche la Svezia facesse altrettanto, altrimenti la Finlandia si sarebbe cacciata in un vicolo cieco o, se si preferisce, in «una situazione delicata di avamposto privo di continuità territoriale con l’Alleanza».

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Al tempo stesso, nel caso in cui la sola Svezia fosse entrata nella NATO, la Finlandia si sarebbe ritrovata più esposta e più vulnerabile di adesso. Aderire alla NATO avrebbe rafforzato «la deterrenza contro qualsiasi attacco, ma sarebbe stata suscettibile di causare una grave crisi con la Russia per un periodo indefinito».

E infatti Mosca, a inizio gennaio 2022, aveva ammonito Helsinki e Stoccolma, ventilando «gravi conseguenze in caso di adesione». Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, era stata molto franca, paventando conseguenze «militari e politiche» e ricordando che la neutralità dei due paesi scandinavi è sempre stata considerata da Mosca come un fattore importante per la stabilità in Nordeuropa.

Inutile dire che non è stata ascoltata e che le garanzie di sicurezza della Federazione sono state calpestate per l’ennesima volta. A inizio anno, il presidente finlandese Sauli Ninisto e la premier Sanna Marin ribadirono infatti la totale libertà di scelta di Helsinki. L’opinione pubblica premeva, sempre più favorevole: un sondaggio del marzo scorso, rivelava che il consenso verso l’alleanza era aumentato dal 34% del 2021 al 62% dopo l’invasione dell’Ucraina.

Un buon 60% del campione sondato desiderava una decisione in merito all’adesione entro il 2022. Il 13 aprile allora qualcosa maturò. Dopo un incontro fra le premier svedese e finlandese, Marin aveva dichiarato che il suo paese avrebbe deciso sull’adesione nel giro di settimane, non di mesi. E il presidente della Repubblica aveva auspicato che ciò potesse accadere prima del vertice interalleato di Madrid del 29 giugno successivo.

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Il voto del parlamento finlandese appariva quasi scontato, anche se c’erano diverse questioni e sensibilità da soppesare. Poco importava, la procedura era ormai in itinere e la Finlandia pensava ormai di presentare la propria candidatura già nel maggio seguente.

Sarebbe occorso poi un invito formale dei membri della NATO al paese scandinavo. Stoltenberg si era spinto a dichiarare che la protezione a Helsinki da parte degli alleati avrebbe potuto essere garantita anche nel periodo interinario fra il deposito della candidatura e l’adesione formale, che avrebbe dovuto essere votata all’unanimità da tutti i membri dell’Alleanza Atlantica.

A precipitare gli eventi ci ha poi pensato non solo il conflitto ucraino, ma anche il nuovo Libro bianco sulla sicurezza finlandese, presentato lo stesso 13 aprile.

Il rapporto non propendeva direttamente per l’adesione ma lasciava la questione irrisolta, pur entrando nel merito delle conseguenze pratiche in tema di difesa e di sicurezza se il governo e il parlamento avessero deciso affermativamente.

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«La Finlandia è un provider di sicurezza, è interoperabile con la NATO e ne integra già i requisiti preliminari alla piena membership. Sarebbe un valore aggiunto per l’Alleanza e non ci sono ostacoli tecnici all’ammissione fra i partner formali».

Entrare nell’Alleanza avrebbe aumentato la sicurezza nazionale della Finlandia, della Svezia e dell’intera regione. L’efficacia deterrente dello strumento militare finlandese sarebbe stata enormemente rafforzata, potendo basarsi sulle capacità dell’intera NATO.

Vista l’ubicazione strategica del paese, il maggior contributo finlandese all’Alleanza sarebbe stata l’accresciuta sicurezza del Nord Europa, visto «che la Finlandia può difendere il proprio territorio» (ibidem). Anche entrando nell’Alleanza non vi sarebbe stato l’obbligo per il paese di ospitare sul suo territorio armi nucleari, basi permanenti o truppe.

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Il rapporto non supportava affatto un’apertura alle armi nucleari, ma apriva invece alla possibilità di accogliere basi o truppe (ibidem). «La Finlandia auspicherebbe comunque di mantenere una relazione funzionale con la Russia pur se entrasse nell’Alleanza».

Ma «dovrebbe al contempo prepararsi ad affrontare tensioni crescenti al confine». Il Libro Bianco ribadiva ancora una volta che «una stretta cooperazione con la Svezia durante l’iter di adesione sarebbe di estrema importanza. Un percorso di ammissione simultanea dei due paesi nella NATO potrebbe agevolare la prontezza di risposta a una possibile reazione russa» (ibidem).

Se uno solo dei due paesi avesse optato per l’ingresso, ci sarebbero stati limiti alla cooperazione bilaterale in tema di difesa.

«La tempistica della possibile formalizzazione della candidatura e la velocità del processo di ammissione sono di particolare importanza nello scenario corrente» (ibidem). Fare presto sarebbe stata la soluzione ideale per i due paesi scandinavi e per la stessa NATO, suggeriva il rapporto. Non reagire al mutamento del contesto di sicurezza «potrebbe indebolire la postura internazionale della Finlandia e ridurne il margine di manovra».

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Oltreconfine, la Russia accoglieva con disappunto il passo ulteriore del paese scandinavo, affiancato nell’iter dalla Svezia, che in quei frangenti aveva palesato l’intenzione di depositare la sua candidatura a giugno.

Per mostrare i muscoli, Mosca aveva reagito spostando attrezzature pesanti delle forze schierate nell’oblast di Leningrado dirigendole verso il Golfo di Finlandia e l’area di Vyborg, vicino al confine.

Dai video diffusi da Sky News si vedevano chiaramente, fra gli equipaggiamenti, sistemi di difesa costiera K-300P Bastion. Come se non bastasse, Dimitri Medvedev, citato dalla Reuters, aveva ventilato un’ulteriore possibile rappresaglia: «la fine dello status del Baltico come area libera dalle armi nucleari».

Non ci sarebbero stati più colloqui in merito e sarebbe stata una decisione drastica, che la Russia non avrebbe adottato in caso di rinuncia dei due paesi scandinavi. Sta di fatto che con la guerra ucraina il Cremlino stava ottenendo il contrario di quanto auspicato e si sarebbe presto ritrovato un’altra enorme porzione di frontiera sigillata dalla NATO.

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Danni collaterali della guerra, perché il 18 maggio 2022, Finlandia e Svezia ruppero gli indugi, trasmettendo simultaneamente al segretario generale della Nato, le lettere ufficiali di richiesta d’adesione. Al vertice di Madrid del 29 giugno, i capi di Stato e di governo dell’Allenza invitarono i due paesi a diventare membri dell’organizzazione. Il resto è noto. I protocolli di ammissione sono stati siglati il 5 luglio, in seguito a rapidi negoziati di adesione.

E le ratifiche governative sono state quasi immediate. L’Italia ha dato semaforo verde il 3 agosto scorso. Mancano ora solo i 3 paesi citati all’inizio. Intanto, il governo finlandese non ha perso un attimo. Ha già stretto le maglie dell’intesa con Washington, azionista di maggioranza e perno della Nato, optando per l’acquisto dei cacciabombardieri F-35: un modo per legarsi all’alleato americano per i prossimi decenni. E’ entrato inoltre a far parte della forza di spedizione comune Joint Expeditionary Force, a guida britannica e ha promosso molti cambiamenti alla struttura delle forze.

 

Le forze terrestri e speciali

Le forze terrestri finlandesi hanno innovato moltissimo negli ultimi anni. Dal 2007, il nucleo centrale di comando è passato dallo Stato maggiore generale di Helsinki a un nuovo stato maggiore di forza armata, il MAAVE, creato nel 2008 a Mikkeli, a nord-est della capitale, prossimo alle autorità politiche e ai vertici decisionali. Segno dei tempi, qualche anno fa lo Stato maggiore dell’esercito finlandese ha adottato un’organizzazione in direttorati da J1 a J9, sulla falsariga di quella della NATO.

La creazione del nuovo Comando dell’Esercito ha ridimensionato il ruolo delle quattro regioni militari, che conservano precipuamente compiti logistici e che dispongono ognuna di una brigata meccanizzata, in stato di allerta immediata.

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La regione di Helsinki è difesa in particolare dal reggimento dei Cacciatori della Guardia (Guards Jaeger), addestrati soprattutto al combattimento urbano.

Con la riorganizzazione, il MAAVE è diventato un vero e proprio centro decisionale e arbitrale, in contatto diretto con gli scaglioni subordinati di forza armata e con i principali comandi operativi.

Per facilitarne il ruolo, sono stati fatti molti sforzi nel campo C4I, così da creare sinergie proficue con le altre Forze armate. Sono sorti anche uffici militari locali presso tutte le guarnigioni, che fluidificano i contatti con i riservisti e coordinano il lavoro della difesa.

Per fronteggiare un’eventuale aggressione, l’esercito finlandese dispone di un corpo da battaglia il cui nerbo è rappresentato dalla brigata blindata e da quella d’artiglieria. Queste due unità, insieme alle brigate di Jaegers e alle brigate meccanizzate in allerta, raggruppano il grosso dei mezzi pesanti dell’esercito. In poche parole, l’esercito dispone di 5 brigate organiche:

  • la brigata blindata, dotata di un reggimento blindato, di uno d’artiglieria e logistico, di un reggimento di difesa aerea, incaricato della protezione della capitale e al tempo stesso di sovrintendere al centro di addestramento alla guerra elettronica;
  • la brigata Jaeger, che opera in Lapponia ed è specializzata in primis nel combattimento artico;
  • la brigata Kainuu che, in tempo di guerra, ha per missione la difesa della parte centro-mediana del paese
  • la brigata della Carelia è destinata a combattere nel sud finlandese. Quest’ultima brigata, in tempo di pace, forma anche i coscritti alla guerra meccanizzata;
  • la brigata di Pori ha competenza per l’ovest del paese in caso di guerra, altrimenti prepara i coscritti impegnati nelle future operazioni di mantenimento della pace.

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In contesto bellico l’organizzazione delle unità è imperniata sull’impiego di battaglioni, il che spiega la struttura particolare di alcune brigate. Quella di Carelia allinea ad esempio due reggimenti di artiglieria, due battaglioni di difesa aerea, di logistica, del genio o di trasmissioni, ma ha in organico un solo battaglione di fanteria.

Quanto ad articolazione, la suddivisione del territorio in 4 regioni militari raggruppa 22 distretti militari provinciali, cui compete la mobilitazione degli uomini afferenti al rispettivo territorio, l’organizzazione della difesa e l’appoggio alla difesa civile. In tempo di guerra, le regioni militari hanno autorità anche sulle unità delle guardie di frontiera, dipendenti usualmente dal ministero dell’Interno.

Queste unità hanno un’eccellente qualità operativa. Secondo il Libro Bianco della Difesa del 2017, l’alto livello di preparazione, la tipologia delle missioni e le capacità delle guardie di frontiera permettono loro di puntellare efficacemente le forze armate nella difesa dell’integrità territoriale del paese.

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I loro effettivi sono autorizzati in primis a garantire la difesa delle isole Aland, smilitarizzate e strategicamente vitali, a metà strada fra la Svezia e la Finlandia, all’imbocco del golfo di Botnia.

Parliamo in tutto di 2.700 uomini di prima linea e di 11.500 riservisti, come già anticipato, addestrati anche alle missioni del tipo commando e alle ricognizioni, con un’ottima conoscenza del terreno, abbondanza di armi leggere e anticarro, e mobilità garantita da una piccola aviazione, comprendente 2 aerei Do-228 da sorveglianza marittima, 5 elicotteri Super Puma da ricerca e salvataggio, 5 Bell 412/412EP e 4 AW119 Koala, e da una sezione navale dotata di 4 pattugliatori costieri e 41 vedette.

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Un mix che rende questi uomini particolarmente adatti a fornire un supporto di qualità alle forze di difesa in uno scenario che si è fatto sempre più minaccioso.

Le forze speciali sono composte da due unità indipendenti. La prima è il reggimento di forze speciali Jaeger Utti, formato da 220 coscritti e da 400 professionisti.

Il suo quartier generale è ubicato nella regione di Utti, 170 chilometri a nord-est di Helsinki, proprio dove si trovavano in precedenza la scuola delle truppe aviotrasportate e il centro di formazione delle forze speciali, che l’esercito ha riattivato nel febbraio 1962. La costituzione del reggimento Utti Jaeger è recente, essendo stato formato nel gennaio 1997 dalla fusione della Scuola Truppe Aviotrasportate, della Scuola di Polizia Militare e delle unità di elicotteri.

La Scuola delle truppe aviotrasportate è stata trasformata in Special Jaeger e le unità elicotteristiche si sono unificate in un solo squadrone. Oggi, il reggimento Utti Jaeger è al contempo un centro di addestramento per le forze speciali e per i paracadutisti dell’esercito finlandese, un’unità operativa e un’unità dedicata alle operazioni elitrasportate.

Previsto per operare autonomamente, non è integrato in nessuna delle brigate dell’esercito. La sua organizzazione ruota intorno a quattro formazioni: un’unità di elicotteri su NH90 e Hughes MD 500, un battaglione di cacciatori paracadutisti, un battaglione di Special Jaeger su due compagnie, componente principale delle forze speciali, e una compagnia di supporto e di servizi.

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Le forze speciali finlandesi odierne sono le eredi del distaccamento Torni e delle quattro Kaukopartio-osastot o distaccamenti da ricognizione a lungo raggio e del 4° battaglione distaccato Erillinen Pataljoona, tutti protagonisti della guerra mondiale al fianco del Terzo Reich.

Uomini che operarono per quattro anni in un clima enormemente ostile, utilizzando il terreno con una maestria ineguagliata e infliggendo pesantissime perdite ai sovietici. Gli Special Jaeger di oggi, loro eredi, sono adusi a svolgere l’intero ventaglio delle operazioni speciali: azione diretta, controterrorismo, combattimento in scenari urbani e così via anche in un contesto di cooperazione internazionale.

Nonostante la predominanza dottrinale della difesa del santuario nazionale, le forze speciali finlandesi hanno servito infatti in Kosovo e in Afghanistan, fianco a fianco con le omologhe occidentali.

Nella stessa ottica di integrazione più spinta con l’Occidente, Helsinki ha deciso già nel 2015 di equipaggiare i suoi commando con il fucile d’assalto belga FN SCAR-L, prima arma camerata in calibro 5,56×39 NATO utilizzata dalle sue forze armate. Ogni anno 200 volontari circa si presentano a Utti. Molti di loro hanno già servito come paracadutisti o sommozzatori combat durante il servizio di leva obbligatorio, ma l’unità di forze speciali è aperta anche ai coscritti in corso di servizio militare.

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Metà dei candidati viene scartata dopo i primi test medici, fisici e psicotecnici. Bisogna avere non solo doti fisiche e mentali molto stringenti, ma essere anche buoni sciatori, d’obbligo nella tradizione nordica.

Chi è ammesso segue una formazione iniziale di cinque settimane. Chi prosegue continua con un training intenso, incentrato sulle missioni di ricognizione e di combattimento, comprendenti l’uso di armi leggere polivalenti e di armi anticarro, il tiro di precisione, il paracadutismo e le operazioni eliportate. Tantissimi sono gli esercizi di terreno, a piedi, in motoslitta o su sci, che permettono di sondare la resistenza dei futuri commando parà.

Al termine di questi step, tutti i candidati seguono una formazione in comunicazioni, in ingegneria e in primo soccorso medico. Successivamente, si specializzano nel tiro di precisione, nella guida, nei lanci da altissima quota con respiratori e nel controllo di appoggio aereo Joint Terminal Attack Controller.

Tutti i paracadutisti sono formati per ricoprire in seguito posti da sottufficiali e il 20% circa diventerà ufficiale non appena sarà incorporato nella riserva.

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Oltre agli Special Jaeger, le forze speciali finlandesi includono i Coastal Jaeger (Rannnikkoprikaati o Brigata costiera), pensati per la guerra anfibia, la ricognizione navale e le operazioni non convenzionali, e la Nylands Brigad, il cui compito è formare i Coastal Jager e le altre truppe destinate all’impiego in ambito costiero.

La scuola di immersione della Marina Finlandese forma i sommozzatori nella base di Upinniemi, nel Golfo di Finlandia. La selezione è proibitiva: avviene nella 35a settimana. Tutti i futuri sommozzatori sono formati come sottufficiali o ufficiali della riserva e ogni allievo, durante la formazione effettua almeno 60 giorni di immersioni.

 

I materiali in servizio

Negli ultimi dieci anni, le forze finlandesi hanno conosciuto un intenso processo di svecchiamento, tradottosi con la radiazione di quasi tutti i materiali di origine sovietica, l’acquisto di sistemi filo-NATO e la razionalizzazione del parco mezzi.

La modernizzazione ha interessato dapprima l’Esercito, ma si è ora estesa anche a Marina e Aeronautica, con la sostituzione delle principali capacità di combattimento. Il procurement di nuovi materiali, finanziato in passato con fondi straordinari, potrà beneficiare a breve di un sostanzioso aumento del bilancio della Difesa, pari al 70%.

 

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Uno sforzo deciso dopo l’invasione russa dell’Ucraina e che vedrà stanziare fondi aggiuntivi di 800 milioni di euro nel 2023 e di 400 milioni negli anni successivi fino al 2026, quando le poste per le forze armate finlandesi supereranno i 7 miliardi di euro.

Fino al 2019, non si raggiungevano i 4 miliardi di euro. E gli effetti si vedranno presto. Nel frattempo, l’esercito ha già potuto beneficiare del rinnovo della componente corazzata, dell’armamento anticarro e dei veicoli da trasporto truppe.

Attualmente, il parco dei Main Battle Tank comprende 100 Leopard 2A6 d’occasione, comprati nei Paesi Bassi, e 124 Leopard 2A4, acquistati nel 2002-2003, un centinaio dei quali in riserva di materiali.

A dicembre, il ministero finlandese della Difesa ha autorizzato le forze armate a siglare un contratto con l’azienda tedesca Krauss-Maffei Wegmann per modernizzare entrambi i carri.

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L’upgrade riguarderà in primis il sistema di puntamento di entrambe le varianti, coinvolgendo anche le risorse umane e tecnologiche dell’azienda locale Millog Oy, partner storico dell’Esercito Finlandese. Per accompagnare i carri in battaglia, Helsinki ha poi scommesso sui veicoli da combattimento per fanterie CV-90 (nella foto sopra), sebbene disponga ancora di un centinaio di BMP-2, giudicati ancora efficaci e molto adatti al terreno finnico.

Oggi la Finlandia allinea 102 CV-9030, ordinati nel 2001 e nel 2004. Tutti i mezzi saranno aggiornati, in base ad un contratto da 33 milioni di euro siglato nell’ottobre scorso con BAE Hagglunds.

Non è chiaro quali modifiche subiranno i veicoli finlandesi, ma una volta aggiornati rimarranno in servizio fino al 2035. La componente di manovra dell’esercito di Helsinki può inoltre contare su un nutrito parco di trasporti truppe blindati, invero ancora eterogeneo. Sessantadue sono gli XA-360 Patria AMV   (nella foto sotto), affiancati da 260 XA-180-185, tutti di costruzione nazionale e armati con una mitragliatrice da 12,7 mm, da un centinaio di XA-102 e da 48 XA-203.

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Sono ancora in linea anche 389 MT-LB ed MT-Lbu, insieme a 74 RG-22M e a 20 BV308. Helsinki ha siglato con Riga un accordo di ricerca e sviluppo per un blindato congiunto, commissionato a Patria. Il mezzo sarà basato sullo scafo 6×6 svelato dall’azienda al salone Eurosatory 2018 e integrerà alcune caratteristiche degli AMV e degli XA. Peserà 24 t in ordine di combattimento, sarà servito da un equipaggio di due uomini e potrà imbarcare una squadra di 10 fanti equipaggiati. Il progetto prevede la possibilità di integrare una torretta.

Un organismo comune ai due paesi, diretto dalla Finlandia, supervisionerà lo sviluppo del mezzo secondo i requisiti congiunti e potrà cimentarsi in versioni future. A Helsinki non sono sfuggite le lezioni degli ultimi anni emerse dal teatro ucraino ed è stato compiuto un notevole sforzo anche nel settore delle artiglierie.

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Fin dal 2017, i finlandesi hanno acquistato 48 obici semoventi da 155 mm K9 Thunder, ribattezzati PSH17 (nella foto sopra). Il contratto del valore di 146 milioni di euro si è arricchito a ottobre 2021 di nuove prospettive, visto che il governo ha approvato la proposta d’acquisto di ulteriori 5 obici sudcoreani e ha autorizzato l’esercito a ordinarne altri 5 quest’anno. Entro la fine del 2022, la flotta di K9 in forza all’esercito salirà pertanto da 48 a 58 pezzi, un incremento del 20%.

Fra gli obici semoventi, spiccano però ancora materiali sovietici visto che 36 sono i 2S1 da 122 mm ancora in servizio. L’artiglieria trainata dispone di obici K-83/92 da 155 mm, K-54 da 130 mm e D-30 da 122 mm, in servizio in 234 esemplari cimplessivi. Nutrito è anche il parco di lanciarazzi campali multipli, fra RAKH07 da 227 mm e RAKH89 da 122 mm.

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I primi altro non sono che gli statunitensi M-270 (nella foto sopra), mentre i secondi corrispondono agli RM-70/85. Le bocche da fuoco per il tiro indiretto sono completate dai mortai semoventi XA-361, basati su mortai AMOS e veicoli AMV, cui si affiancano due centinaia di KRH92 da 120 mm e un numero imprecisato di KRH-71 da 81 mm.

Fra i missili e i razzi anticarro spiccano 185 lanciatori per Spike MR ed LR (nella foto sotto), ribattezzati qui PstOhj 2000. Dietro la stessa nomenclatura seguita dal numero di serie 83 si celano invece i TOW 2A e 2B.

I razzi anticarro sono gli NLAW, posseduti in 2.500 esemplari, tornati sotto i riflettori con il conflitto in Ucraina. Prodotti dall’azienda Saab, i Next Generation Light Anti Tank Weapon sono operati da un singolo soldato, possono perforare 500 mm di blindature a distanze di 800 metri dopo esser stati lanciati anche da spazi ristretti e chiusi.

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Nuove armi, cui si abbina la radiazione dei sistemi più vecchi. La mannaia si sta infatti abbattendo sugli APILAS, sui numerosissimi M-72 LAW e sul di cannoni senza rinculo da 95 mm S58-61 (almeno in parte ceduti o cedibili all’Ucraina).

Per la difesa antiaerea si annuncia a breve un enorme salto di qualità. Per proteggere il confine con la Russia, Helsinki acquisterà infatti sistemi israeliani e nel 2023 deciderà se optare per i Barak MX a lungo raggio di Israel Aerospace Industries o per il sistema David’s Sling di Rafael Advanced Systems. Entrambi sono efficaci alle alte quote e sono impiegabili contro velivoli, missili da crociera e vettori balistici a medio raggio.

«La situazione alle nostre frontiere è tranquilla, ma dobbiamo comunque essere attenti e rafforzare le nostre difese», ha precisato a marzo il ministro della Difesa, Antti Kaikkonen. Le aziende israeliane hanno battuto nella gara i concorrenti europei.

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I loro sistemi si affiancheranno alle 24 batterie di ITO 12 Nasams 2 (nella foto sopra), ognuna composta da:

  • 12 lanciatori per 6 tubi di lancio ciascuno; più 8 radar (AN/MPQ-64 F1 Improved Sentinel X band 3D);
  • un centro di controllo del fuoco (CTOC); un veicolo dotato di electro-optical camera MSP500
  • un veicolo dedicato alla Cellula per il Controllo Tattico (TCC).

Secondo alcune fonti sono tre i missili AMRAAM utilizzabili dal Nasams 2: l’AIM-120A/B, con raggio d’azione di 55–75 chilometri, l’AIM-120C-5, con portata fino a 105 chilometri e l’AIM-120D (C-8), fino a 180 chilometri.

Completano la difesa a medio raggio gli ITO 05R RBS-70 Bolide (nella foto sotto), su scafo Unimog o Nasu, e gli 86 lanciatori su affusto RBS-70 ITO 05. Il breve raggio, per la difesa di punto, è affidato invece a 20 ITO 90 Crotale NG su scafo XA-181, affiancati da duecento ITO-15 FIM-92 Stinger.

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L’artiglieria antiaerea comprende poi i cannoni da 35 mm Leopard 2 Marksman e agli ItK 88 Oerlikon. Completano gli organici le mitragliere da 23 mm ZU-23/2. Molti investimenti sono stati inoltre dirottati negli ultimi anni sul comparto dei droni tattici. Sono oggi in servizio 11 RUAG Ranger e 55 sistemi Orbiter 2B, corrispondenti a 250 macchine.

L’ala rotante è tutta nei 20 NH90 TTH e nei 7 MD500D/E, assegnati al Reggimento Utti Jaeger

 

I programmi della Marina

Di grande interesse è anche l’evoluzione della Marina (Suomen merivoimat), caratterizzata da un elevato livello di autonomia nazionale. Le piattaforme impiegate sono tutte di concezione nazionale (Esclusi i 3 cacciamine classe Katampaa realizzati dai cantieri Italiani Intermarine – nella foto in fo do al paragrafo), anche se armamento e sensori sono quasi sempre importati. Data la configurazione geografica del paese, le capacità nella guerra di mine sono privilegiate.

Helsinki si è specializzata nella posa di campi minati, facendone un perno della strategia di contrasto ad eventuali operazioni anfibie. Due posamine della classe Hameenmaa  (nella foto sotto) sono particolarmente ben armati. Oltre alle mine, sono dotati di cariche di profondità, di lanciarazzi per la lotta navale di superficie, di missili antiaerei Umkhonto e di un cannone da 57 mm: un mix che permetterebbe loro di operare anche durante un’eventuale offensiva russa.

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Le due unità rimarranno in servizio fino al 2025, affiancate dalle tre posamine Pansio a effetto di superficie, che continueranno a servire fino al 2030 inoltrato e da 12 unità ibride classe Jehu impiegate per trasporto truppe, pattugliamento e scorta.

La difesa costiera è completata dai 30 cannoni fissi K-53tK da 130 mm, dai 18 lanciatori Spike ER (impiegati dagli Jaegers come missili antinave costieri con testata a frammentazione) e dai lanciatori quadrupli MTO-85M su scafo Sisu, che adottano i missili RBS-15, senza dimenticare le fortificazioni lungo la linea costiera.

Stanno cambiando anche le capacità di combattimento navale: i 4 pattugliatori lanciamissili della classe Rauma saranno rimpiazzati da altrettante corvette da 3.900 t, mentre i 4 Hamina (neklla foto sotto), dopo l’upgrade, serviranno almeno per tutti gli anni ’30, similmente a una parte dei cacciamine e alle batterie della difesa costiera.

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Lanciate nel 2019 nell’ambito del programma Squadron 2020, le 4 corvette classe Pohjanmaa, sono in ritardo di circa un anno, complice la pandemia. La capoclasse dovrebbe essere consegnata non prima del 2025. Tutte le unità saranno realizzate in loco da Rauma Marine Construction e da Saab, che si occuperà di sviluppare e integrare i sensori e il sistema di combattimento.

Si tratterà di unità multiruolo con capacità rompighiaccio, con uno scafo rinforzato per poter fronteggiare le condizioni del mar Baltico e del golfo di Botnia.

Saranno lunghe 114 m e larghe 16, con un equipaggio massimo di 120 uomini. L’armamento sarà costituito da missili superficie-aria ESSM, missili antinave Gabriel V, siluri Torpedo 47, cannone da 57 mm e le unità potranno rilasciare mine. Kongsberg fornirà i sonar SS2030 e SD9500. mentre il sonar a profondità variabile sarà il Sonac DTS di Patria.

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Le corvette saranno inoltre dotate di radar AESA a lungo raggio in banda S Sea Giraffe 4A, con configurazione a 4 antenne planari; radar multimissione in banda X Sea Giraffe 1X e radar di controllo del tiro Ceros 200. Sempre targato Saab sarà il mast integrato SLIM (Saab Lightweight Integrated Mast).

Non mancherà una piazzola per elicotteri e un hangar. Se tutto andrà bene e si recupererà il tempo perso, tutte le Pohjanmaa entreranno in servizio nel 2028 e formeranno con gli Hamina il nerbo della flotta finlandese.

 

I programmi dell’Aeronautica

Sempre più marcatamente «occidentale» è anche l’Aeronautic (Suomen ilmavoimat). Se durante la guerra fredda Helsinki aveva optato per i caccia J-35 Draken svedesi e i MiG-21 sovietici, impiegati per missioni di superiorità aerea e di ricognizione, la situazione è mutata con il crollo dell’URSS.

Nel 1992 furono ordinati 57 F/A-18C Hornet e 7 F/A-18D. Nel 2004 ci fu un ulteriore passaggio, visto che il governo finlandese decise di equipaggiare i velivoli con un’avionica tale da consentire la gran parte delle missioni di attacco al suolo e l’adozione di munizioni di precisione.

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Fu allora che i velivoli ricevettero 250 missili AIM-9X e 300 AIM-120-C7. Nel 2007, furono ordinati anche i pod Litening e, dopo un rifiuto iniziale, la Finlandia fu infine autorizzata a comprare 70 missili da crociera AGM-158 JASSM. Non paga della prima modernizzazione degli Hornet, Helsinki lanciò nel 2015 il programma HX, per selezionare un nuovo cacciabombardiere con capacità aria-superficie e aria-mare, per sostituire gli Hornet, ritirandi progressivamente tra il 2025 e il 2030.

Alla gara, comprensiva anche di sistemi d’arma, sensori, attrezzature, supporto e addestramento, si presentarono Saab, con il Gripen E, Lokheed Martin con l’F-35A, Boeing con l’F/A-18E/F Super Hornet, più uno squadrone di E/F-18G Growler, Dassault con il Rafale F4 e il consorzio Eurofighter con il Typhoon T4.

A dicembre 2021, Helsinki ha rotto gli indugi e comunicato di aver scelto i caccia di Lockheed Martin. Prevede di ordinare 64 aerei con il pacchetto di sistemi d’arma e addestramento, nell’ambito di un contratto pluriennale da 8,379 miliardi di euro, che potrebbe coinvolgere anche lo stabilimento italiano FACO di Cameri per l’assemblaggio di diversi esemplari.

Per la costruzione degli hangar e delle altre attrezzature necessarie a implementare le basi finlandesi che ospiteranno gli F35A occorreranno non meno di 777 milioni di euro e altri 824 milioni di euro serviranno per il pacchetto di armi ottimizzato.

Nel complesso, il programma HX costerà all’incirca 10 miliardi di euro. «L’F-35 ha soddisfatto al meglio le nostre esigenze», ha precisato Kaikkonen.

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La Finlandia è stata la quattordicesima nazione ad acquisire l’F-35, poi seguita dalla Svizzera. I suoi velivoli entreranno in servizio a partire dal 2027, come conferma il capo di stato maggiore dell’Aeronautica, generale Pasi Jokinen.

«La scelta rafforza la cooperazione in materia di difesa della piccola nazione nordica con i suoi alleati, in particolare gli Stati Uniti e la Norvegia», riporta l’agenzia Reuters, citando il ricercatore Charly Salonius-Pasternak dell’Istituto finlandese per gli affari internazionali. «Finlandia e Norvegia si stanno già addestrando insieme nel nord, quindi sarà una decisione politica determinare quali informazioni saranno condivise e quando».

Vi è la forte possibilità che i jet delle due nazioni condividano i dati in tempo reale. La scelta di Helsinki è un passo ulteriore verso la standardizzazione e l’interoperabilità con gli USA e con molti paesi membri della NATO. Conferma l’orientamento del 2014, quando Finlandia e Svezia firmarono un accordo per l’addestramento congiunto e per consentire l’assistenza dell’Alleanza atlantica in caso di crisi.

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L’Aeronautica non ha fatto che precorrere il cammino futuro. Nella sua flotta allinea anche oltre 50 addestratori avanzati Bae Hawk (nella foto sotto), 30 addestratori Valmet L70,  un pattugliatore marittimo F-27/400 e un C-295M da intelligence elettronica. La componente da trasporto si basa su 3 Learjet-35A e 5 PC-12NG, affiancati da 2 C295M. Gli addestratori sono 16 Hawk Mk66, 31 Hawk Mk50/51 e 28 L-70 Vinka.

Le forze armate finlandesi costituiscono quindi un  deterrente per qualsiasi aggressore potenziale. Ogni riferimento alla Russia appare oggi scontato anche se Mosca è sulla difensiva, specie nei dintorni della penisola di Kola dove sta adottando le adeguate contromisure all’arrivo degli F-35.

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Le immagini satellitari, rilevate in sequenza fra il 2019 e il 2021, rivelano quanto sta accadendo non distante da Zapolyarny, una città mineraria a 10 chilometri dalla frontiera con la Norvegia. Il Barents Observer ha riferito per primo che il sito ospita ormai un sistema radar Rozonans-NE.

L’infrastruttura ospita quattro moduli radar, ognuno dei quali copre uno specchio di 90°, non ha antenne rotanti, ma un’antenna trasmettitrice e device per l’elevazione con sistemi di ricezione e di processamento di dati.

Al radar di Zapolyarny se ne aggiungeranno almeno altri sei, prossimi ad essere dislocati lungo la costa artica, fra la penisola di Kola, a ovest, e lo stretto di Bering, a est. Due Rezonans-NE sarebbero già visibili zoomando su Google Earth, appena sopra l’Artico europeo: uno si troverebbe nei pressi del villaggio di Sjojna, a Capo Kanin, e un altro vicino all’aeroporto Rogatsjovo, nella Nuova Zemlia. Secondo i costruttori, i Rezonans-NE possono scovare target aerodinamici fino a 600 chilometri di distanza e missili balistici in avvicinamento, a distanze di 1.200 chilometri.

L’ubicazione dei radar si spiega con la necessità di proteggere le basi sottomarine della costa del Mar di Barents, blindandone lo spazio aereo. Le acque fra Zapadnaya Litsa e la baia di Kola sono infatti la casa madre delle infrastrutture della Flotta russa del Nord, forte di sottomarini d’attacco e di sommergibili lanciamissili balistici a propulsione nucleare.

Pochi altri luoghi al mondo, oltre la penisola di Kola, contano tante armi nucleari in stato di allerta. E nel raggio operativo del radar di Zapolyarny rientrano sia l’aerodromo di Evenes, in Norvegia, a 570 chilometri di distanza, sia quello di Rovaniemi, in Finlandia, lontano 380.

Nel primo sono già operativi due F-35 norvegesi in Quick Reaction Alert per intercettare e identificare i velivoli russi che si spingano troppo a ovest. Rovaniemi è invece candidata a ricevere per prima gli F-35 ordinati da Helsinki. Un aspetto rilevante soprattutto perché il Rezonans-NE ha già dato prova della sua efficacia.

Due anni fa l’agenzia TASS rivelò che uno di questi sensori, venduto all’Iran, aveva individuato e tracciato alcuni F-35 statunitensi che volavano a poca distanza dai confini persiani. Finlandesi e norvegesi sono avvisati: la Russia li osserva e li monitora.

 

Foto: Ministero e Stato Maggiore della Difesa finlandesi

 

 

 

Francesco PalmasVedi tutti gli articoli

Nato a Cagliari, dove ha seguito gli studi classici e universitari, si è trasferito a Roma per frequentare come civile il 6° Corso Superiore di Stato Maggiore Interforze. Analista militare indipendente, scrive attualmente per Panorama Difesa, Informazioni della Difesa e il quotidiano Avvenire. Ha collaborato con Rivista Militare, Rivista Marittima, Rivista Aeronautica, Rivista della Guardia di Finanza, Storia Militare, Storia&Battaglie, Tecnologia&Difesa, Raid, Affari Esteri e Rivista di Studi Politici Internazionali. Ha pubblicato un saggio sugli avvenimenti della politica estera francese fra il settembre del 1944 e il maggio del 1945 e curato un volume sul Poligono di Nettuno, edito dal Segretariato della Difesa.

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