L’industria della Difesa terrestre turca 

 

Ormai autosufficienti al 60% per la fornitura di equipaggiamenti, le Forze Armate turche (TKK) sono sostenute da un’industria terrestre dinamica e rampante, in grado di supportare con soluzioni indigene quasi tutti i requisiti dell’Esercito, della Gendarmeria e della Polizia in fatto di mezzi cingolati e di blindo ruotate.

Il prossimo obiettivo è completare la produzione del carro armato (Main Battle Tank – MBT) di terza generazione Altay, con un impianto propulsivo e una blindatura autoctoni, sfida per un’industria nazionale che ha sfornato soluzioni in un’infinità di segmenti produttivi, che spaziano dai veicoli da combattimento ruotati 4×4, 6×6, 8×8 e 6×4 ai blindati da ricognizione tattica, ai veicoli protetti MRAP, ai getta-ponte mobili da assalto, ai blindati per le forze dell’ordine, ai mezzi per la gestione delle folle, ai corazzati da combattimento, senza dimenticare le soluzioni di ammodernamento e di upgrade per i veicoli da combattimento per fanteria e i trasporti truppe blindati.

Molti di quei mezzi, come i 4×4 Cobra I e Cobra II di Otokar, gli 8×8, 6×6 e 4×4 Pars, i cingolati ACV-15 di FNSS e i corazzati anfibi Kunduz, i Nurol Makina ve Sanayi Ejder Yalçic-I/II/III e gli MRAP Kirpi di BMC hanno partecipato alle più recenti operazioni militari nazionali, operando ad Afrin, nel Kurdistan siriano, nel gennaio 2018, contro gli insorti del PKK nel Kurdistan iracheno nel maggio 2019 e in altre aree del Kurdistan, fra l’occidente turco e l’Iraq, a ottobre 2019 e a giugno 2020. Senza dimenticare le forze di Cipro Nord e l’afflusso di mezzi e truppe in Tripolitania da gennaio 2020.

 

L’organizzazione del tessuto industriale

Il nerbo del settore delle piattaforme terrestri è formato in Turchia da compagnie private come Otokar, BMC, Nurol Makina ve Sanayi (NMS), Anadolu Isuzu & Anadolu Savunma, Katmerciler, Tümosan ed FNSS, che rifornisce pure la Marina con il suo MAV (Marine Assault Vehicle) Zihrli armato di torretta remotizzata Caka. Ma ci sono anche diversi stabilimenti militari parastatali, affiliati al ministero della Difesa, che hanno ricoperto un ruolo cardine nei progetti di modernizzazione dei carri armi armati Leopard 1T ed M60T e che stanno ora supportando i veicoli dell’Esercito.

Il 1° Direttorato principale di Supporto Industriale, subentrato al 1° Centro Principale di Manutenzione, è stato istituito con un decreto legge emergenziale il 24 dicembre 2017 e opera sotto gli auspici delle industrie militari del Direttorato militare generale del ministero della Difesa nazionale. Nella sua attività può far leva su 27 aziende e militari e su 3 cantieri navali per una forza lavoro complessiva di 20.000 maestranze.

L’Associazione parastatale delle industrie e dei cantieri militari, posseduta dal sottosegretariato al Tesoro, ma vigilata dal ministero della Difesa, è autorizzata a impiegare tutte le infrastrutture militari, le piattaforme, le munizioni, i sottosistemi e i tavoli di prova con il consenso della Difesa.

L’atelier di modernizzazione e manutenzione degli MBT del 1st Main Maintenance Factory Directorate, che i turchi chiamano anche Officina di camion e tank di Arifiye, dal nome della località in cui è ubicata, dovrebbe essere peraltro interessato dal piano di privatizzazioni per i prossimi 25 anni, in vista della produzione seriale dell’MBT Altay (https://journal.umy.ac.id/index.php/jhi/article/view/7129/pdf_13, vedi pag. 59). Il decreto presidenziale 481, firmato da Erdogan nel 2018 prevede che la privatizzazione si faccia per tappe.

Il 1° Direttorato, con tutti i suoi stabilimenti, dovrebbe essere ceduto in leasing a BMC, azienda di Smirne e joint-venture turco-qatariota che fabbrica veicoli protetti contro mine e ordigni improvvisati (MRAP) ed è prime contractor per la produzione dell’Altay. Il contratto durerebbe 25 anni e le attività di produzione di quest’ultimo si svolgerebbero nelle sue officine. Stando agli accordi, BMC sborserebbe inizialmente 40-50 milioni di dollari per svecchiare le linee di assemblaggio e di produzione del Direttorato.

L’azienda punterebbe poi a convertire l’intera fabbrica in un centro di produzione per l’Altay. Il presidente Recep Tayyp Erdogan, parlando a una cerimonia presso BMC, si è premunito dicendo che quella del 1° Direttorato è una mera cessione di diritti di management, un ‘trasferimento’ e non una ‘privatizzazione’, un do ut des fatto entro determinate condizioni, periodi e restrizioni.

La situazione è resa ancora più confusa dai legami personali di Erdogan con la dirigenza aziendale di BMC, azienda che ha oggi diversi problemi di sostenibilità finanziaria. Ethem Sancak, uomo d’affari del clan ristretto di Erdogan, si è ‘impossessato’ di BMC nel 2014, rilevando tutte le quote azionarie della compagnia dal fondo assicurativo Savings Deposit, alla cifra fuori mercato di soli 300 milioni di dollari, come denunciato dall’opposizione parlamentare turca. Alcuni sono giunti a ipotizzare che il vero proprietario di BMC sia in realtà Erdogan stesso e che Sancak abbia funto da prestanome.

Subito dopo l’acquisizione, Sancak ha trasferito il 49,9% della compagnia al Ministero della Difesa del Qatar, incassando 300 milioni di dollari e diventandone comproprietario. Più tardi, Sancak ha venduto il 25,1% delle sue quote a Talip Öztürk, un parente di Erdogan. Nel giugno 2021, Fuat Tosyalı, un altro imprenditore della cerchia ristretta del Presidente, ha comprato tutti i pacchetti azionari appartenenti a Sancak e Öztürk, scalando il 50,1% di BMC. L’affare è stato concluso a 480 milioni di dollari. Insomma c’è una commistione di interessi privati poco chiari.

 

Le velleità di Ankara

La Turchia gioca da molto tempo in politica Estera e di Difesa in parte “sottobanco”, perché dalla Guerra del Golfo del 2003 in poi sente di non potersi più fidare ciecamente dei vecchi alleati occidentali e per supportare un ampio ventaglio di iniziative nazionali in diversi scenari e teatri di crisi ha puntato  sullo sviluppo di un’industria della Difesa robusta e il più possibile indipendente.

Gli esordi sono stati modesti, ma i risultati sono dirompenti. Le aziende turche sono sempre più arrembanti sui mercati esteri, effervescenti in patria e presenti ai saloni internazionali della Difesa, da almeno un decennio a questa parte. Lo si è visto anche all’ultimo DSEI londinese. I colossi del ramo terrestre contribuiscono al 40% dell’export totale dell’industria della Difesa e dell’Aerospazio nazionale e al 36% dei profitti e un fatturato che si aggirava sui 315 milioni di dollari nel 2010 e oggi supera i 3 miliardi.

E la proiezione internazionale si arricchisce continuamente. IDEF 2023 è stato un successo che ha spalancato nuove porte in Medioriente lanciando un partenariato con le SAMI (Saudi Arabia Military Industries). Molti i protagonisti, con un nome su tutti: Otokar, un gigante attivo in oltre 40 paesi amici e alleati sparsi in 5 continenti, capace di vendere quasi 33mila blindati e di ricavare dall’export i 4/5 dei suoi profitti. Parliamo dell’azienda turca più antica che, a inizio anni ’60, aveva mosso i primi passi producendo bus con componentistica tedesca. Il suo primo vero successo è stato il blindato leggero Cobra, che riprende lo scafo e la motorizzazione degli Hummer americani.

Acquistato dall’Esercito turco, il mezzo è stato al contempo il primo successo dell’industria nazionale sul mercato straniero. Acquisito da almeno 22 forze armate in tutto il mondo tra cui Algeria, Arabia Saudita, Azerbaigian, Bahrein, Bangladesh, Burkina Faso, Ciad, EAU, Ghana, Georgia, Kazakistan, Kosovo, Macedonia del Nord, Malesia, Mauritania, Montenegro, Nigeria, Pakistan, Ruanda, Senegal, Slovenia, Siria, Tunisia e Nazioni Unite.

Il successore, Cobra II, è stato comprato in 180 esemplari dalle TKK nel 2016, per un valore di 121 milioni di dollari. L’anno prima, l’Esercito turco aveva già acquistato 82 mezzi, spendendo 52 milioni di dollari. Da quel momento in poi il Cobra II ha cominciato a far breccia anche all’estero.

Il Bangladesh ne ha voluto 67 esemplari nel 2019, seguito l’anno dopo dall’Uganda, che ha comprato un numero imprecisato di questi veicoli ruotati protetti e di blindati Arma 8×8, sborsando 110 milioni di dollari. Anche il Ghana ne ha voluti 40. Il mezzo, acquistato anche dalla Tunisia e dall’Ecuador, sta combattendo attualmente con l’Esercito ucraino nell’oblast di Kharkiv.

Con uno scafo a V, misura 5,61 m in lunghezza, è largo 2,5 metri ed è alto 2,2. Ha una configurazione classica, con un gruppo motopropulsore davanti e un abitacolo dietro. Il propulsore ruota intorno ad un turbodiesel V8 a sei cilindri da 6,7 l che sprigiona una potenza di 360 cavalli a 1.400 giri al minuto. Il tutto è abbinato a una scatola del cambio automatico Allison 2550 a sei rapporti.

Una scatola di trasferimento a due stadi e un differenziale facilitano gli spostamenti fuoristrada. Il gruppo motopropulsore ha un tubo di scarico carenato che corre lungo il montante destro del parabrezza. Così configurato, l’insieme garantisce alle 13,6 t in ordine di combattimento del mezzo di raggiungere la velocità massima di 110 km/h su strada e di 8 km/h in modalità anfibia. I 200 litri di carburante immagazzinati nel serbatoio permettono un’autonomia di 700 chilometri.

L’armamento della versione standard comprende una mitragliatrice leggera MAG FN da 7,62 mm o una FN M-2 da 12,7 mm, cui può essere alternato un lanciagranate da 40 mm. La panoplia può essere montata su una torretta remotizzata Uçok, munita di un telemetro laser e di una camera termica collegata ad uno schermo LCD. Ma sono disponibili anche altre torrette e sistemi d’arma, inclusa la stazione aerea Rafael (OWS) con missili anticarro Rafael Spike, lanciagranate da 40 mm e cannone Nexter M621 da 20 m.

L’armamento secondario comprende in genere 8 lancia-fumogeni, 4 dei quali davanti e gli altri dietro. Questo 4×4 è apparso all’ultimo IDEF pure in due nuove varianti, una delle quali in configurazione APC, integrata da un modulo UAV, e un’altra in configurazione sanitaria. Otokar offre, anche sul mercato interno,  l’APC Ural per la Gendarmeria, un 4×4 modulare che spazia da una versione più protetta ad una più leggera, a seconda dei requisiti di missione. A IDEF si mostrava equipaggiato dell’Open Turret System.

 

Cenni sugli MRAP e sugli IFV

BMC si sta imponendo a sua volta nel ramo degli MRAP. Alle TKK ha venduto nell’agosto 2017 il suo prodotto di punta, il Kirpi (Istrice), in ben 529 esemplari per 350 milioni di dollari. Il veicolo ha avuto un buon successo di export con un ordine arrivato dal Qatar e 300 esemplari venduti al Pakistan, alla Tunisia e al Turkmenistan mentre alcuni esemplari sono stati donati da Ankara all’esercito somalo e altri ancora trasferiti a libici e ucraini.

Finora Kiev ha ricevuto due lotti di questi MRAP, il primo nell’agosto 2022 (200 mezzi) e il secondo a partire da novembre, a beneficio di due brigate di Fanti di Marina. Con una piccola precisazione: i Kirpi del secondo lotto sono diversi da quelli osservati precedentemente in teatro perché, al posto della Browning M2 da 12,7 mm, montano una torretta remotizzata (RCWS) Anubis, della rumena Pro-Optica S.A, un gruppo affiliato all’israeliana Elbit Systems. Stranamente questa RCWS rimpiazza l’omologa SARP, in dotazione ai Kirpi turchi .

L’unica ragione è che Ankara non abbia voluto cedere un sistema d’arma prezioso e a rischio di reingegnerizzazione, a meno che BMC, pensando di risparmiare, abbia optato per un sistema più a buon mercato. In attesa di capire meglio, accontentiamoci di sapere che il Kirpi II è attualmente valutato anche dall’esercito indonesiano, che potrebbe acquistarlo in numeri copiosi, insieme al Vuran. La nuova variante del Kirpi si presenta come un 4×4 dal peso di 20 t, abbastanza capiente da ospitare fino a 13 uomini.

Anche il Vuran è un 4×4, pesante 16 tonnellate e concepito per trasportare fino a 9 soldati ed armabile con un mortaio o un sistema di lanciarazzi multiplo. I turchi li hanno impiegati entrambi in Libia.

Successi di export anche per Nurol-Makina che si è distinta in Georgia con il suo veicolo da trasporto truppe 6×6 Ejder, o Dragone, che ha piazzato in 72 esemplari.

Parliamo talvolta di lotti limitati, con una svolta arrivata grazie ai veicoli da combattimento per fanterie del consorzio FNSS Savunma Sistemleri.

Nato ad Ankara nell’estate 1987 dalla fusione fra FMC e Nurol Savunma Sanayii, il Consorzio è stato subito coinvolto dall’esercito turco nel programma per un nuovo cingolato da combattimento per la fanterie. FNSS ha tirato fuori dal cilindro un progetto basato sull’M-113A1 americano, ampiamente presente nei ranghi delle forze terrestri di Ankara.

Il cingolato è stato ordinato nel 1992 in 2.249 esemplari con il nome di ACV‑15, oggi in fase di aggiornamento. Il programma di upgrade, scaglionato in due tempi, prevede un lavoro simultaneo di FNSS ed Aselsan. La prima fase, relativa a 133 mezzi, terminerà nel 2024, nell’ambito di un contatto da 100 milioni di dollari. I primi 5 veicoli sono stati già girati alle TKK con il nuovo nome ZMA-15 Zihrli. Intanto, il Ministero della Difesa ha commissionato a FNSS l’upgrade di altri 52 mezzi sui 551 totali oggi in servizio.

I lavori dovrebbero terminare fra due anni fornendo un mezzo dotato di una nuova torretta remotizzata FNSS, armabile con un cannone da 25 mm, una mitragliatrice da 12,7 mm o un lanciagranate da 40mm, un sistema di sorveglianza close-range per la situational awareness e una mitragliatrice coassiale da 7,62 mm.

Fra gli upgrade previsti figurano anche una nuova unità di potenza ausiliaria, un navigatore, un sistema per tracciare automaticamente i bersagli, un sensore di allerta laser, un dispositivo a intensificazione luminosa per la visione notturna e interfacce uomo-macchina separate per l’armiere e per il capo mezzo.

Anche lo scafo sarà rivisitato e migliorato nella climatizzazione, nei sistemi antincendio e nei soppressori degli effetti delle esplosioni. Il Zihrli avrà una vita operativa di almeno vent’anni.

Rustico ed economico, questo cingolato si è imposto anche all’estero, nella variante più vecchia. Ha infatti fatto breccia in due macroaree  in cui Ankara coltiva ambizioni di mercato: Medio ed Estremo Oriente. Gli Emirati Arabi Uniti che ne hanno comprato 136 esemplari, seguiti dai giordani, che si sono fermati a 100 mezzi. Nel 2000 FNSS ha siglato con la Malesia un contratto per 267 ACV-15 (nella foto sotto), ribattezzato per l’occasione ACV-300 Adnan e che Kuala Lumpur ha ora intenzione di far progredire nella vetronica »

Sono stati i primi passi di un’espansione fruttuosa, costruita intorno al successo di un prodotto e a una fitta trama di relazioni ricamate a contorno, prodromo di future commesse. Prova ne sia la dinamica del rapporto di fiducia instauratosi fra Kuala Lumpur e Ankara. Nel 2011, il governo malese cercava un veicolo da combattimento per fanterie ruotato di quarta generazione e si è rivolta nuovamente a FNSS che ha risposto proponendo il meglio del catalogo di allora, il recentissimo Pars 8×8, il ‘Leopardo d’Anatolia’, ora proposto anche nella variante Scout, svelata a IDEF 2023 con torretta Saber 25 da 25 mm. Lo Scout sarà il primo 8×8 in forza all’esercito turco, impiegato per missioni di ricognizione e sicurezza interna.

Ha una blindatura modulare, ma il suo livello STANAG è ancora ignoto. Ha uno scafo a V, un rapporto peso-potenza di 20 cavalli per tonnellata, payload incluso  ed è aviotrasportabile su cargo A400M, C-5, C-17, Il-76 e AN-124.

Anche l’8×8, come il 6×6, sarà fornito alle Turkish Land Forces e alla Gendarmeria in 5 varianti diverse. Ma facciamo un passo indietro, alle origini della piattaforma Pars 8×8. La sua genesi risale a dieci anni prima dell’interesse malese, quando FNSS aveva sviluppato con l’americana GPV (General Purpose Vehicles) uno scafo 8×8 a partire dal prototipo Captain. La prima comparsa pubblica del Pars 8×8 ebbe luogo all’IDEX di Abu Dhabi del febbraio 2005.

Visto il successo, FNSS approfittò di IDEF 2005 per svelare l’intera gamma, incluse le versioni 4×4 e 6×6 altrettanto incentrate sulla modularità. Attratti da questi scafi moderni e poliedrici, alcuni paesi mediorientali avviarono test intensi. Fu allora che le tre versioni effettuarono migliaia di chilometri nel deserto, rivelando capacità di primordine nell’affrontare qualsivoglia terreno. Tuttavia, FNSS non raccolse i successi commerciali sperati con il Pars in quest’area geografica e dovette accontentarsi della collaborazione con la Malesia, che comprende anche un trasferimento di tecnologia.

 

Il Pars 8×8 e il contratto malese

Kuala Lumpur ambiva a disfarsi della vecchia flotta di blindo ruotate, risalente a metà anni ’80 e composta da Condor tedesche e Sibmas belghe. L’azienda malese DRB-HICOM Defence Technology fu scelta per produrre il Pars 8×8 su licenza, adottando peculiarità locali.

Il contratto definitivo da 2,5 miliardi di dollari fu firmato ad Ankara il 23 febbraio 2011. Verteva su 257 esemplari declinati in 12 versioni: una da combattimento per fanterie con cannone da 30 mm, da acquistare in 24 unità, un’altra con cannone da 25 mm, meno prestante ma più numerosa visto che i malesi l’hanno comprata in 46 pezzi e un’altra ancora per la lotta anticarro (54 unità).

Gli altri Pars 8×8 in itinere per i malesi sono in versione da trasporto truppe con mitragliatrice pesante da 12,7 mm (54 esemplari), 24 mezzi sono per la sorveglianza del campo di battaglia, 13 in versione da posto comando, 9 da soccorso, altrettante ambulanze, 9 da manutenzione, 8 da appoggio-fuoco mortaio da 120 mm, 4 da ricognizione NBC e 3 da guerra elettronica.

Da notare che una variante anticarro è stata sviluppata anche per il Pars 4×4. Entrambi i blindati turchi possono ricevere due missili anticarro del tipo Kornet-E o Umtas. L’ultimo è un prodotto di Roketsan ed è equipaggiato con una carica cava in tandem, ottimizzata contro le blindature reattive.

Dispone di una guida del tipo ‘fire and forget’ o ‘fire and update’, che permette di distruggere bersagli distanti fino a 4.000 m con un attacco diretto o dall’alto. Ad aprile 2011, DRB e FNSS avevano mostrato congiuntamente il simulacro del loro Pars 8×8 al salone di Kuala Lumpur, durante il quale fu deciso di chiamare il mezzo AV8 Gempita, o rumore di tuono, quasi un anno prima della presentazione al pubblico del primo prototipo, avvenuta nel marzo 2013. Nel dicembre successivo, il Gempita esordiva con le forze reali malesi.

Oggi ne equipaggia due reggimenti. Il mezzo si caratterizza per uno scafo a forma di V. Misura 8 m in lunghezza, 2,7 m in larghezza e 2,17 in altezza. Si compone di placche di allumino saldate, rafforzate da placche d’acciaio a protezione del personale contro i tiri di armi leggere che non superino il calibro di 7,62 mm.

Per potenziare il tutto, a prua dello scafo e sui fianchi, è stato adottato un kit di blindatura additiva STANAG di livello IV, sufficiente a resistere ai razzi anticarro e alle munizioni di calibro fino a 14,5 mm. Il treno di rotolamento comprende 8 ruote motrici permanenti, ognuna provvista di sospensioni indipendenti con un’articolazione di 52 cm massimo.

Tutte direzionali, le ruote offrono un raggio di sterzata di 7,8 metri. Un sistema di sospensioni oleo-pneumatiche, a comando elettrico, permette al pilota di variare l’altezza dal suolo, seguendo la configurazione del terreno e la percentuale di pendenza, procurando all’equipaggio notevole conforto, in una cabina stagna alle contaminazioni NBC. Non basta, perché un sistema di comando centralizzato permette di modulare la pressione degli pneumatici alveolati adattandola alla natura del terreno.

La disposizione del pilota e del capo mezzo è davanti, in un compartimento spazioso, fianco a fianco, con sette episcopi a disposizione, per una visione ottimale, cui si associa un tavolo di bordo ultramoderno dotato di due schermi LCD da 15 pollici, collegati a due camere termiche esterne. L’originalità dell’insieme sta nel fatto che il sedile di guida, montato su slitta, può essere spostato a sinistra o a destra dell’abitacolo.

Dietro il conducente, fra il primo e il secondo asse, è ubicato il gruppo motopropulsore, il cui tubo di scappamento si trova sul lato sinistro dello scafo. Il nerbo del tutto è un motore tedesco Deutz BFM 2015 Diesel 6 cilindri da 550 cavalli e 2.100 giri al minuto, abbinato a una scatola del cambio automatico ZF a 7 velocità avanti e dietro che spingono le 30 t del Gempita a velocità massime di 100 km/h su strada, coprendo itinerari combat di 1.000 chilometri grazie ai 650 l di carburante in riserva.

Ovviamente la velocità anfibia del mezzo scende a 6 km/h. Le capacità dinamiche del veicolo sono notevoli, visto che il mezzo può sormontare pendii del 70%, inclinazioni del 60%, ostacoli verticali alti 0,7 m, trincee di 2,4 m e guadi di 2 m senza preparazione.

La parte posteriore dell’abitacolo ospita sedili ergonomici per 9 fanti che accedono da una rampa azionata idraulicamente e provvista di una porta di soccorso. Sui mezzi malesi sono in servizio due torrette.

Sul modello standard, anfibio, è installata la torretta stabilizzata FNSS Sharpshooter, armata con cannone Bushmaster da 25 mm dell’americana ATK. I modelli non anfibi, anticarro, comunemente detti ‘ pesanti’, sono invece dotati della torretta biposto LCT 30, sviluppata dall’azienda sudafricana Denel. La LCT 30 monta un cannone Denel EMAK 30, con doppia alimentazione, che permette di mixare le raffiche di munizioni esplosive da 1.100 m/s con quelle perforanti (1.400 m/s). La gittata è di 3.000 m, con una cadenza di tiro in raffica pari a 30 colpi al minuto.

Il cannone è alimentabile con un massimo di 210 proiettili, stivabili nel mezzo, 74 dei quali pronti all’uso e così ripartiti: 40 nel vano destro, 30 in quello di sinistra e 4 nel vano di alimentazione principale. L’armamento secondario è imperniato su una mitragliatrice coassiale FN MAG da 7,62 mm, alimentata con 800 colpi e con 1.600 proiettili in totale, e su 22 lancia-fumogeni, 16 dei quali sullo scafo e 6 sul cielo della torretta.

Quest’ultima è dotata di un visore per il tiratore, abbinato a una camera termica, a un sensore diurno/notturno e a un telemetro laser. Il comandante della torretta dispone di un visore panoramico indipendente, stabilizzato ed avente le stesse funzioni di quello del tiratore, oltre alla modalità hunter-killer, che facilita la ripartizione fra l’osservazione e la designazione degli obiettivi da trattare.

Senz’altro la più potente e meglio dotata, la versione anticarro del Pars 8×8 Gempita è armata con la torretta LCT 30 e con due tubi lanciatori doppi installati ai lati, armati con missili anticarro sudafricani Ingwe. Ordinati in 216 esemplari, gli Ingwe sono accreditati di un raggio di 5.000 m. Non basta, perché al salone DSA 2022, la compagnia malese DRB-Hicom Defence Technologies ed FNSS hanno annunciato una collaborazione per proporre pure i Pars 4×4 e 6×6 all’esercito indigeno, in vista della radiazione dei mezzi tedeschi Condor 4×4 e belgi SIBMAS 6×6. Le due aziende stanno già manovrando anche per sviluppare e costruire gli AFV 8×8 AV8 dell’esercito malese, versione più spinta della piattaforma Pars 8×8.

 

Il doppio successo in Oman e la partnership duratura con la Malesia

Forte del successo del Gempita, FNSS ha venduto nel Golfo Persico il Pars 8×8 nel 2015. Contro ogni aspettativa la commessa non è arrivata dagli EAU, già acquirenti degli ACV-15 e partner da inizio anni ’90, ma dall’Oman. Il contratto firmato a settembre 2015 prevedeva l’acquisto di 172 mezzi costruiti ad Ankara. Ormai chiamato Pars III, il modello omanita differisce leggermente dal Gempita malesiano.

Ha un gruppo motopropulsore meno prestante, da 483 cavalli. La torretta è una Sabre armata con cannone da 25 mm M-242 Bushmaster. Le consegne sono cominciate a luglio 2017. Fra i 172 esemplari richiesti, 27 sono dei modelli 6×6, a testimonianza della malleabilità di FNSS nell’adattarsi alle esigenze della clientela. Il Pars 6×6 si caratterizza per una botola di accesso sul fianco superiore destro dello scafo, fra il primo e il secondo asse.

La versione da ricognizione è dotata di una torretta remotizzata, armata di una mitragliatrice pesante FN M-2 da 12,7 mm. La flotta dei 6×6, così come richiesta dagli omaniti, si articola in 12 veicoli da ricognizione, in 6 per l’ausilio al tiro di artiglieria, in 4 da posto comando, in altrettanti da posto di trasmissioni e in 1 da addestramento. I 145 modelli 8×8 includono invece 1 veicolo scuola, 72 veicoli da combattimento per fanterie, 38 da posto comando, 12 da appoggio fuoco con mortaio da 120 mm, 8 da supporto logistico, 8 ambulanze e 6 in versione per il genio.

Contratti importanti per FNSS, oggi joint-venture fra Nurol-Makina (51%) e BAE Systems (49%).

Partendo da questi successi il tandem turco-malese non ha lesinato sulla qualità e ha proposto un design aggressivo con gli ultimi due modelli in catalogo. Il primo è il Pars III 6×6 Scout, pensato per rispondere a un requisito delle forze terrestri turche, a caccia di una piattaforma ruotata generica per le missioni di ricognizione, per quelle NBC e per la sorveglianza radar del campo di battaglia.

Svelato in anteprima a IDEF 2017, lo Scout simboleggia la nuova generazione di veicoli da combattimento della classe WACV (Wheeled Armoured Combat Vehicle). Più moderno del predecessore, è dotato di un treno di rotolamento a sei ruote motrici.  Le uniche ruote direzionali sono quelle del primo e del terzo asse, sufficienti a garantire un raggio di sterzata di 7 metri a un veicolo da 25 tonnellate lungo un po’ meno di 7 m e largo 2,9. Il sistema di sospensioni oleopneumatiche è identico.

La novità più lampante è la sostituzione della corona di episcopi a livello del posto di pilotaggio e del capo-mezzo con un parabrezza blindato in tre parti, che offre un angolo di visione a 230°. Pilota e capo-mezzo salgono a bordo da una piccola porta laterale posta in alto sulla destra dello scafo. L

a disposizione interna non varia. Il GMP è sempre dietro il pilota e il compartimento ‘combat’ nel retro. La scelta del GMP è stata molto combattuta. Si sperava nuovamente nei tedeschi, ma le sanzioni decise da Berlino dopo l’assalto turco alle milizie curdo-siriane dello YPG, hanno interrotto molti legami, un tempo solidi.

Volevano che andasse a 100 km/h su strada con un’autonomia di 800 chilometri. Hanno così optato per Tümosan, che fornirà 100 motori per 45 Scout e per 55 Pars 8×8. Si tratta del primo acquisto di AFV da parte delle forze terrestri turche. Il contratto, per 400 mezzi, punta a dotare l’esercito di una nuova capacità di ricognizione.

La commessa iniziale riguarda quattro varianti: 45 veicoli sono basati sul Pars 6×6 (nella foto sopra) e includono 30 mezzi da posto comando e 15 da ricognizione radaristica. Gli altri 50 veicoli saranno imperniati sul Pars 8×8 e sono così divisi: 45 veicoli equipaggiati con una suite sensoristica elettroottica e 5 in configurazione NBCR. La presenza di una scatola del cambio automatica a sette velocità più una retromarcia, abbinata a una scatola di trasferimento a due stadi, permetterà allo Scout di oltrepassare trincee larghe 1,75 metri e ostacoli verticali alti 0,70, di affrontare pendii del 60% e dislivelli del 30%.

Venendo all’armamento, lo Scout presentato a Kuala Lumpur nel 2018 era equipaggiato con una torretta remotizzata, armata con una mitragliatrice pesante da 12,7 mm e con un sistema di telecamere a 360°, destinato alle operazioni di polizia interna. Creatura turco-malesiana, lo Scout sembra pensato per il mercato asiatico, con un occhio di riguardo per quello filippino.

Nel frattempo, si è mosso già qualcosa anche in Turchia perché, il 22 novembre scorso, FNSS ha consegnato alle forze speciali di Ankara i primi tre esemplari di Pars IV 6×6 S-Ops Vehicle, dotati di RWS Sancak, nel corso di una cerimonia presieduta dal presidente delle industrie della difesa turche, Ismail Demir  Nel video che li mostra, i mezzi sono equipaggiati con lanciagranate da 40 mm. Dalle immagini risalta pure il rilevatore di colpi in arrivo SEDA, altra creazione di Aselsan, che equipaggia di serie la torretta Kohran presentata da questo sistemista al penultimo salone Eurosatory. Tutti i mezzi consegnati ai commando turchi montano inoltre il jammer Kangal, sempre targato Aselsan, e destinato a disturbare i radio-comandi degli ordigni esplosivi improvvisati.

 

Il Pars III 4×4

Altro modello di interesse è il Pars III 4×4, sviluppato in seguito a una richiesta rivolta nel 2014 dalle TKK a FNSS. Le forze terrestri turche, nel loro requisito, espressero il desiderio di dotarsi di 260 veicoli configurati per la lotta anticarro, 76 dei quali ruotati e 184 cingolati. Il primo progetto di FNSS fu presentato a Istanbul, al salone IDEF 2015. Ne sortì un memorandum d’intesa, siglato il 27 giugno 2016, seguito da un contratto formale il 14 ottobre successivo. Fra le righe si stipulava che le prime forniture sarebbero partite nel 2019 e che le consegne sarebbero state scaglionate per tutto il 2021.

Il veicolo, Pars III 4×4, assomiglia moltissimo al Fennek tedesco-olandese, almeno esteticamente. Ne riprende il caratteristico parabrezza in tre parti e la configurazione interna con l’apparato propulsivo nel retro. Misura 5 metri in lunghezza, 2,6 in larghezza ed è alto 1,9.

I cinque membri dell’equipaggio accedono ognuno al proprio posto da quattro portiere con finestrini blindati. Le capacità dinamiche permettono al veicolo di affrontare pendenze del 70%, di oltrepassare ostacoli verticali di mezzo metro, trincee di 0,9 metri e dislivelli del 40%. Anfibio, il veicolo dispone di due idrogetti dietro lo scafo, potenti abbastanza da garantirgli una velocità di 8 km/h in acqua.

La torretta remotizzata, e a comando elettrico, che equipaggia il Pars III 4×4 in versione anticarro è l’ARCT (Anti-tank Remote Controlled Turret), sviluppata dalla stessa FNSS. Stabilizzata sui due assi, l’ARCT mostra al centro un blocco ottico imperniato su una camera termica diurna/notturna e su un telemetro laser. È armata con due lanciamissili e con una mitragliatrice leggera da 7,62 mm, per l’autodifesa.

L’arma è montata a destra e alimentata con 500 colpi. Quanto ai missili, sono due quelli impiegabili. Il primo è il Mizrak, un prodotto di Roketsan già in uso sugli elicotteri d’attacco T129 ATAK. Parliamo di sistemi dal raggio compreso fra i 5.000 e gli 8.000 m. Ma i lanciatori sono configurati anche per sparare i missili russi 9M133 Kornet o AT‑14 Spriggan, dall’efficacia arcinota.

Facendo strame dei canoni estetici del prototipo iniziale del 2015, il Pars III 4×4, con i suoi 2,1 metri di altezza, è meno furtivo del predecessore. Ne conserva il parabrezza tripartito, con una visione anteriore a 180°,  Si sa meno invece della blindatura dello scafo. Le stime parlano di un livello STANAG IV o STANAG IIIb per la protezione ventrale contro le mine.

Nella parte posteriore del mezzo, si trovano la telecamera di retromarcia e la ruota di scorta. L’equipaggio sale da due portiere laterali. Si compone così: un pilota, seduto davanti, a sinistra, un capomezzo, seduto alla destra del pilota, un tiratore, dietro a destra, e un osservatore a sinistra. Il GMP non è stato ancora precisato, ma dovrebbe includere un motore da 300 cavalli circa, abbinato a una scatola del cambio automatica. L’insieme dovrebbe garantire alle 13 tonnellate del mezzo una potenza sufficiente a marciare a 110 km/h su strada e a 6,5 km/h in acqua, con un’autonomia di 700 chilometri.

Le capacità dinamiche si confermano nell’affrontare pendenze del 70%, marce verticali di 0,4 m, superamento di trincee larghe 0,8 m e dislivelli del 40%. Similmente ai modelli anteriori, il Pars III 4×4 è dotato di svariati accessori, come il CTIS, l’ABS, le sospensioni oleopneumatiche, una telecamera di ausilio alla retromarcia, un climatizzatore, un sistema di soppressione collettivo, un verricello e così via. Proposto all’export, il Pars III 4×4 è declinato in versione da ricognizione, da pattuglia e da comando.

 

Gli MBT di Ankara: un decollo stentato

Anche in materia di MBT (Main Battle Tank), la Turchia si sta rivelando molto ambiziosa. Desiderando svincolarsi dalla dipendenza occidentale, tedesca e statunitense in primis, ha deciso, fin dal 1991, di lanciare il programma MITUP (Mili Tank Uretimi Projesi), con l’obiettivo di dotare le forze terrestri di un nuovo carro, concepito e costruito localmente.

Il programma MITUP è stato pensato fin da subito come un catalizzatore per il complesso militare-industriale nazionale. Dopo una competizione serrata fra i vari progetti, fu scelta l’idea presentata da Otokar Sanayi AS, il 30 marzo 2007. Alla selezione fece seguito, il 29 luglio 2008, la firma di un contratto da 494 milioni di dollari fra l’azienda e il Sottosegretariato delle Industrie della Difesa (SSB).

Lo schema dell’accordo prevedeva un iter in tre fasi: la prima, di 15 mesi a partire dal 15 gennaio 2009, avrebbe dovuto ultimarsi con una definizione delle specifiche del carro e del suo concetto e con la loro presentazione finale; la seconda fase, triennale, sarebbe stata dedicata allo sviluppo dell’MBT, mentre la terza fase, comprendeva la realizzazione di quattro prototipi, destinati a fungere da laboratori di test per i tre settori chiave della mobilità, della protezione e della potenza di fuoco.

Per venire a capo del progetto ciclopico appena lanciato, Ankara firmò simultaneamente al contratto iniziale del luglio 2008 un altro contratto da 540 milioni di dollari con l’azienda sudcoreana Hyundai Rotem, da cui si aspettava una parte della tecnologia necessaria alla realizzazione del suo MBT e il trasferimento di conoscenze. Hyundai non era stata scelta a caso.

L’azienda produceva già, per l’esercito di Seul, i carri K1 e K1A1 Rokit, oltre ai nuovissimi K2 Black Panther, che si presentavano come un concentrato di tecnologie e il cui primo prototipo era stato presentato nel 2006 . Fra Ankara e Seul il connubio aveva già dato buoni frutti, visto che, nel 2004, la Turchia aveva stipulato con Samsung Techwin un contratto per la fornitura di obici semoventi K9 Thunder, comprensivo di trasferimenti tecnologici e della produzione in loco su licenza.

Nonostante il supporto sudcoreano, per Otokar la sfida si annunciava immensa, non avendo l’azienda nessuna esperienza in fatto di carri da combattimento. Intorno al binomio Otokar-Hyundai Rotem, cardine del progetto, avrebbero gravitato altre aziende turche, come Roketsan, incaricata delle blindature, MKEK (Makina ve Kimya Endustri Kurumu o Società delle Industrie Meccaniche e Chimiche), cui era affidato lo sviluppo dell’armamento principale, e Aselsan (Askeri electronic sanayi), che si sarebbe occupata della realizzazione della condotta del tiro automatica, dei sistemi di comunicazione, dell’infovalorizzazione del campo di battaglia, del sistema di allarme laser e dei sensori IFF (Identification Friend or Foe), dell’apparato GPS e dell’ottica del mezzo.

Il 7 aprile 2010, l’aspetto del futuro carro prendeva forma in un video 3D, insieme al suo nome, tutt’altro che banale: Altay, in memoria del famosissimo comandante in capo delle forze corazzate turche, morto nel 1974.

Fra il 2010 e la fine del 2016, il programma accelerò. Sebbene al salone IDEX 2009 fosse stato annunciato che l’Altay avrebbe integrato solo componenti autoctone, un contratto decisivo da 12 milioni di euro fu firmato il 15 ottobre 2010 con due aziende tedesche: MTU per la motorizzazione EuroPowerpack e Renk per la trasmissione.

Grazie all’accordo, la Turchia poté acquistare 5 gruppi motopropulsori (GMP), imperniati su un motore diesel V12 MTU MT883 Ka-501 CR dalla cilindrata di 27,35 l e potenza di 1.500 cavalli, abbinato a una scatola del cambio automatica Renk HSWL 295TM, con cinque rapporti anteriori e tre posteriori.

L’insieme avrebbe permesso alle 63,5 t in ordine di combattimento dell’Altay di accelerare da 0 a 32 km/h in 6 secondi con punte massime di velocità di 65,5 km/h su una distanza di 450 km. L’11 maggio 2011, un simulacro del carro in scala 1 fu presentato al pubblico presente al salone IDEF di Istanbul e, il 18 ottobre 2012, fu testato lo scafo del primo prototipo, senza rinforzi laterali e con una torretta fittizia.

Il 16 novembre successivo è memorabile perché, due anni prima della data prevista, furono ultimati e accettati dalla commissione dei servizi tecnici i primi due prototipi PV1 (Prototype Vehicle 1) e PV2. Il PV1 serve tuttora da banco di prova per i test di sopravvivenza, mentre il PV2 è impiegato per le prove della condotta del tiro e viene presentato come futuro carro di produzione.

Ai due prototipi ne seguirono altrettanti fra il 2013 e il 2014, sempre dotati di GMP tedeschi. Sembrava allora che la produzione dei carri di preserie fosse imminente. Fiduciosi, i dirigenti di Otokar annunciarono che, se i test avessero dato esito positivo, la produzione sarebbe partita a metà 2019, meglio di quanto previsto inizialmente. Otokar investì in quel periodo 10 milioni di dollari in un nuovo centro di prove e presentò i suoi prototipi alla parata militare del 30 agosto 2015, in occasione del giorno della vittoria, celebrativo della fine della guerra d’indipendenza del 1922.

Tutto stava andando a gonfie vele, quando due cataclismi si abbatterono sulla Turchia, compromettendo i piani prestabiliti. Il primo evento funesto è legato al colpo di stato fallito del luglio 2016, in seguito al quale Otokar fu estromessa dal programma MITUP e soppiantata da BMC, che si associò a FNSS. Nel 2018 altre nubi vennero ad offuscare la fluidità del progetto.

In seguito all’offensiva turca nel Kurdistan siriano, Berlino varò il famoso embargo sulle consegne di materiale militare ad Ankara. Le conseguenze furono immediate, perché il governo tedesco revocò le licenze di esportazione anche per l’apparato motore fornito da Friedrichshafen MTU e Renk.  Il veto tedesco ha colpito non solo la motorizzazione dell’Altay, ma anche lo sviluppo delle blindature, e ha scoraggiato diversi clienti potenziali del carro. Il Pakistan aveva mostrato un interesse iniziale per l’MBT turco ma, a fine 2018, dopo l’embargo tedesco ha optato per il VT-4 cinese.

 

Le traversie dell’Altay

Il trasferimento della produzione dell’Altay da Otokar a BMC ha avuto importanti ripercussioni sul calendario e sulla fine delle qualifiche. Decine di ingegneri e di tecnici sono trasmigrati da una società all’altra. Erdogan aveva concesso 18 mesi a BMC per confezionare un Altay di serie. In quel periodo, il governo turco aveva maturato la convinzione di dover contare solo sulle proprie forze, oltre che sui capitali qatarioti. Il 13 giugno del 2018 è un’altra data decisiva perché quel giorno l’SSB e BMC firmarono un contratto per lo sviluppo di un GMP nazionale, denominato Batu.

Gli ingegneri di BMC non dovevano partire da zero, ma si sarebbero serviti, come base da migliorare, del motore del carro italiano C1 Ariete, prodotto da Fiat-Iveco e noto come MCTA V12-4. Un propulsore da 1.270 cavalli e da 25,8 litri di cilindrata, a cui i turchi avrebbero associato un cambio automatico Batu V12 Cross Drive, sviluppato da BMC Power.

Con l’aiuto degli ingegneri italiani, che rivisitarono il turbo, la potenza del motore salì a 1.500 cavalli. Fiducioso, l’esecutivo turco firmò nel novembre di quell’anno un contratto da 3,5 miliardi di dollari per la realizzazione dei primi due lotti di 251 e 249 carri, la cui produzione sarebbe dovuta partire nei nuovi impianti BMC di Karasu, in provincia di Sakarya, impianti invero mai realizzati.

La prima tranche di Altay avrebbe dovuto sfornare tre modelli differenti, a partire da 40 T1, modello classico prossimo ai prototipi PV1 e PV2 sviluppati da Otokar, con sistemi di protezione attiva indigeni Akkor e blindatura migliorata da Roketsan, comprensiva di slat armour sul retro dello scafo e della torretta e di una blindatura reattiva più densa sulle giunture laterali dello scafo e sul cielo della torretta. I primi esemplari avrebbero dovuto essere in linea nel 2021 o nel 2022.

Il secondo modello, T2, da produrre in 210 esemplari, veniva presentato come foriero di una corazzatura ulteriormente perfezionata, con un vano munizioni isolato dall’equipaggio e con una capacità di sparare munizioni a guida laser grazie a una condotta del tiro migliorata. Quanto al terzo modello, il T3, si sarebbe trattato di un dimostratore tecnologico singolo, equipaggiato con un carosello automatico in torretta, con consegna prevista nel 2024. Il governo turco aveva previsto anche delle versioni del carro in assetto da manutenzione e per il genio, con 60 esemplari in tutto.

I 50 mezzi per il genio sarebbero stati dotati di un sistema per l’apertura di campi minati. Nel clima post-golpe, molto instabile, il governo Erdogan si fece però più guardingo ed evitò che il progetto continuasse ad essere gestito privatamente, soprattutto in vista dei finanziamenti del Qatar, uno dei pochi alleati rimasti alla Turchia. Il 21 agosto 2019, venne così deciso di conferire il controllo del progetto a un ente statale, ASFAT Inc. Intanto, Doha, nel marzo precedente, aveva piazzato un ordine per 100 carri.

A fine aprile 2021, BMC Power ha proceduto a una prima accensione del Batu, confermando la funzionalità di tutti gli elementi costitutivi e la potenza sprigionata di 1.500 cavalli. I test dovrebbero permettere la qualifica e l’ingresso in linea del motore nel 2025, a partire dal 101° esemplare di Altay. Sembra essersi schiarita anche la saga della trasmissione che equipaggerà il gruppo motopropulsore. Ai primi di marzo 2021, un responsabile di BMC ha confermato a Defense News il raggiungimento di un’intesa con Doosan e con S&T Dynamics, due subcontraenti di Hyundai Rotem: «questi accordi sono il frutto di un’intesa strategica fra le nostre aziende e i nostri paesi».

Nella primavera del 2022 è emerso che Turchia e Sud Corea avevano firmato un accordo di fornitura comprensivo pure dei motori diesel Infracore DV27K prodotti da Hyundai Doosan e associati alle trasmissioni EST15K di S&T Dynamics. In quel periodo arrivò in Turchia un primo gruppo motopropulsore che permise di effettuare i test d’integrazione sull’Altay e di stabilire le modifiche da apportare alla motorizzazione sudcoreana.

Una volta ultimata questa trafila, a gennaio 2023, BMC ha avviato la produzione del carro e consegnato all’esercito turco i primi due mezzi, da testare in una campagna che si annuncia lunghissima. Ne sapremo di più fra 18-24 mesi e se tutto andrà per il verso giusto, nel 2025, BMC inizierà la produzione seriale del lotto iniziale di 100 mezzi, da consegnare alle forze armate turche al ritmo di 8 mensili. E ci sarà da provvedere anche alle esigenze emiratine, considerato che Abu Dhabi potrebbero ordinare questo MBT. Nel frattempo, sono circolate alcune foto che permettono di farsi un’idea abbastanza precisa della configurazione finale dei primi 100 carri.

Fra gli equipaggiamenti visibili, spiccano il sistema di protezione attiva Akkor per la torretta remotizzata Kohran e la RWS SARP NSV.

Intanto, altri passi interessanti sull’Altay sono stati mossi in fatto di munizionamento. MKEK ha già presentato una nuova munizione ad alto esplosivo HE Mod 300, stabilizzata mediante impennaggio e con un design che la approssima al proiettile HE 120 di Nexter o di Rheinmetall. Potremmo dire che la Mod 300 affianca la Mod 319 del tipo HEAT-MP.

La stampa turca corre, evocando progetti futuri dell’Altay con armamento remotizzato. Per ora, gli sforzi dell’industria turca e dell’SSB si concentrano sul buon esito della prima fase, che consiste nel produrre il carro, nella sua configurazione iniziale, con alti standard qualitativi, un certo numero di modifiche e altrettante migliorie, per arrivare a un mezzo più performante e rimediare ai problemi riscontrati sui prototipi

Un obiettivo che si affianca ormai a un imperativo strategico: rimpiazzare quanto prima i componenti stranieri con pezzi turchi. Per parare eventuali sorprese, l’anno scorso, BMC ha presentato pure un modello di un carro ibrido. Ispirandosi forse all’Euro Main Battle Tank di KNDS, che abbinava lo scafo di un Leopard 2A7 tedesco alla torretta da 120 mm a caricamento automatico di un Leclerc francese, l’azienda turca ha tirato fuori dal cilindro una proposta originale, una sorta di rimedio interinario, che integra la torretta dell’Altay su uno scafo modificato del Leopard 2A4.

La torretta dell’Altay è dotata di un cannone MKEK da 120 mm L55 ad anima liscia, di un blocco optronico telescopico Yamgoz per una sorveglianza a 360°, di un sistema di protezione attiva Akkor e di un kit di detezione laser. Sembrerebbe che il cannone del Leopard-Altay non sia un L55 prodotto in Turchia su licenza Rheinmetall ma un L44 da 120 mm, come quello in dotazione ai Leopard 2A4. Una fotografia del mezzo è stata diffusa il 23 gennaio 2021, durante la cerimonia di consegna di 13 semoventi Firtina, che sono obici K9 sudcoreani fabbricati su licenza in Turchia. Nell’attesa che la produzione dell’Altay decolli definitivamente, il governo turco ha comunque accelerato anche i piani di modernizzazione dei Leopard e degli M60.

 

Leopard ed M60 in teatro

Mentre scriviamo, le forz4 corazzate turche dispongono di un parco composito, formato da 330 Leopard 2A4, da 400 Leopard 1A1 e 1A3, da circa 1.500 M60 declinati in differenti versioni, fra cui 160 M60T ammodernati in Israele, e da quasi 1.400 M48A5 ammodernati. Si tratta di cifre ‘lorde’, da prendere con le pinze, e da scontare con le perdite recenti in combattimento, pari a una trentina di mezzi, senza considerare il tasso reale di disponibilità delle macchine. Il cuore operativo del parco sarebbe pertanto composto da un migliaio di mezzi.

Siccome l’esercito turco sa benissimo che nella migliore delle ipotesi non disporrà di una massa di manovra significativa di Altay prima di 10-15 anni, saranno le flotte di Leopard 1 e 2 e di M60 ad affrontare ancora per un po’ gli scontri in prima linea. E che Ankara scommetta sempre sui suoi Leopard lo conferma anche il potenziamento del dispositivo militare a Cipro Nord.

Nell’ottobre 2021, 8 Leopard 2A4 sono sbarcati nottetempo sull’isola dalla nave da trasporto TCG Iskenderun, portando la flotta locale a 50 esemplari. Nel luglio 2019 ne erano arrivati altri 42. I carri giunti da poco sembrano essere nella configurazione standard originale, senza modifiche apparenti. Provengono dal porto turco di Mersina e tutta l’operazione si è svolta in sordina, visto che le autorità turche non hanno né confermato, né smentito la notizia. Ad oggi è poco chiaro se si tratti di un rinforzo temporaneo della guarnigione dell’isola o se i carri vi stanzieranno in permanenza.

A settembre 2020, Ankara aveva proiettato a Cipro un’intera schiera di materiali, fra cui blindati ACV 15 e 300, carri M60 e Leopard 2A4. Nel reportage diffuso dalla televisione locale, i carri non mostravano segni di modifiche o di modernizzazioni ed erano diretti a partecipare all’esercitazione interarma “Tempesta mediterranea 2020”.

Ad ogni modo, l’upgrade dei Leopard 2A4 e degli M60 è stata impostata sulla base delle dure lezioni apprese un po’ prima, nella guerra siriana, durante i combattimenti nelle operazioni Ramoscello d’Ulivo e Sorgente di Pace, che avevano evidenziato vulnerabilità sia a livello delle fiancate sia delle torrette.

I Leopard turchi si erano rivelati privi di sistemi di detezione e di protezione contro i missili anticarro, carenti in certe porzioni della torretta e scadenti negli equipaggi. Secondo fonti concordanti, Ankara avrebbe perso almeno 5 MBT negli appena 58 giorni dell’operazione “Ramoscello d’Ulivo”. Non è chiaro quali siano stati i mezzi colpiti: in quella spedizione militare, i turchi avevano ingaggiato sia i Leopard 2 sia gli M60, in un numero rimasto imprecisato.

Il dispositivo iniziale era stato infatti rafforzato a più riprese, come evidenziato dalle testimonianze dei convogli di una decina di carri che avevano attraversato la frontiera turco-siriana nel corso dell’operazione. Due video diffusi dai miliziani curdi opposti ad Ankara contenevano informazioni preziose sui combattimenti e sulle perdite turche. Nel primo dei filmati si vedeva un carro statico essere distrutto da un missile anticarro dopo un volo di 12 secondi circa. Identificare con precisione il carro è stato complicato, ma dalla silhouette si percepiscono le forme di un Leopard 2.

Il video non mostra esplosioni secondarie successive all’impatto del missile. L’intervallo di tempo fra il lancio del vettore e l’esplosione è compatibile con un missile filoguidato lanciato a una distanza di circa 2,2 km. Potrebbe trattarsi di un missile TOW, visto che l’YPG ne è dotato e che il canale televisivo turco d’informazione continua NTV sembrerebbe confermarlo.

Anche un secondo video dei miliziani ci viene in soccorso. Vi si distingue con difficoltà un carro M60 fermo, centrato da un altro missile antitank filoguidato dopo un volo di 8 secondi, pressappoco corrispondenti a un tiro effettuato da una distanza di 1,5 chilometri.

Pure l’operazione Sorgente di Pace è stata emblematica, con un corpo di spedizione turco imperniato su tre brigate blindo-corazzate e quattro brigate di fanteria meccanizzata, inquadrate nella Seconda Armata. La Seconda ha per missione usuale quella di proteggere il sud-ovest della Turchia.

Possiede basi e guarnigioni lungo tutto il confine siriano. Secondo diverse fonti, in questa seconda operazione anti-curda non sarebbe stato impiegato nessun Leopard 2 e l’azione sarebbe stata incentrata solo sulle diverse varianti degli M60. Forse Ankara aveva timore di perdere i suoi carri ‘migliori’, viste le performance deludenti nella missione precedente. Probabilmente voleva accelerare il più possibile l’iter di upgrade degli stessi allo standard Next Generation NG.

Sta di fatto, che i vertici del paese accamparono la scusa ufficiale che fosse necessario mantenere la flotta dei Leopard 2 alle frontiere settentrionali e orientali del paese, per fronteggiare un nemico più potente, dotato di carri e di sistemi anti-tank più moderni. Lasciarono così campo libero agli M60 della 5a, della 20a e della 172a brigata blindata, schierando le tre unità alla frontiera turco-siriana diverse settimane prima dell’avvio dell’operazione. Gli M60 avevano già fatto capolino in Siria, accompagnando alcune incursioni turche nel territorio vicino e in precedenti scontri con l’YPG.

Ciononostante anche il bilancio militare dell’operazione Sorgente di Pace è stato mediocre. Ankara è riuscita a conquistare solo piccole porzioni del corridoio desiderato e ha espugnato non più di due città, Tall Abyad e Ras al-Ayn. Anzi, a dire il vero, le Forze Democratiche Siriane, incentrate sui curdi dello YPG, si sono ritirate dalla seconda delle due città in seguito all’accordo turco-statunitense del 17 ottobre 2019.

 

Il punto sul programma di upgrade Leopard 2NG

Il bilancio pesante delle perdite incassate dai Leopard 2 aveva evidenziato l’urgenza di una modernizzazione, per adattare il carro ai nuovi scenari operativi. Ankara si era rivolta subito alla Germania, vedendosi opporre un netto rifiuto. Ingoiato il rospo, i turchi decisero di cavarsela nuovamente da soli, ispirandosi al programma Revolution MBT lanciato da RheinMetall nel 2010. Fin dal 2011, Aselsan aveva presentato un prototipo di Leopard 2A4 ammodernato, ribattezzato 2NG, la cui protezione era basata su un insieme di blindature pronte all’uso e fornite da un’azienda straniera. Era stato l’unico proposito di upgrade degli MBT turco-tedeschi, ma fino al 2019 non c’era stato nessun ordine, né era scaturito un accordo di finanziamento col ministero della Difesa.

Nel marzo di quell’anno, una visita ministeriale in un’officina che si occupava della manutenzione degli MBT permise di vedere un Leopard 2A4 in fase di modernizzazione. Era la prima volta che si fotografavano dei tecnici di BMC intenti nell’integrare una blindatura reattiva sul carro (https://blablachars.blogspot.com/2020/02/lengagement-des-chars-en-syrie-et-au_7.html#more). Poco tempo dopo, furono diffuse nuove immagini che ritraevano il prototipo di un Leopard 2A4 fitto di blindature aggiuntive e reattive su diverse parti, fra cui l’arco frontale della torretta.

Era la conferma dello sviluppo del progetto di modifica della protezione del carro. Il sigillo ufficiale arrivò nel gennaio 2020, durante una conferenza stampa del presidente delle Industrie turche della difesa, che si limitò ad annuire, senza fornire dettagli sulla natura, sullo stato dei lavori e sul calendario. Sappiamo oggi che i primi 80 carri dovrebbero essere aggiornati allo standard NG o Tiyk-Leo2A4 entro l’anno in corso, mentre gli altri 160 completeranno l’iter di upgrade entro il 2026, come previsto dal contratto siglato a maggio fra Aselsan e BMC, già coperto con poste pari a 197,4 milioni di euro.

Riusciamo anche a intuire le specifiche del progetto, grazie a una brochure della società Roketsan, che offre una vista d’insieme del montaggio della blindatura reattiva T1 Armor del tipo ERA, da lei prodotta, su un Leopard 2A4.

A sua volta, Aselsan ha sviluppato sottoelementi per il programma, fra cui il sistema di allarma laser TLUS, le ottiche, la condotta del tiro Volcan adottata anche dall’Altay, il sistema di visione notturna per il pilota ADIS, la torretta remotizzata SARP equipaggiata con una mitragliatrice da 12,7 mm e abbinata a un sistema elettro-ottico ATS 40, e il sistema di sorveglianza dell’ambiente circostante il carro, chiamato Yamgoz. A giugno 2021, la stampa turca riportò la notizia che Roketsan aveva ultimato i test sulla blindatura reattiva T1 al Centro di protezione balistica, oltre ad averla integrata sui carri, a livello delle riserve di carburante.

Il pack T1 dovrebbe essere composto da diversi sottoinsiemi. Un primo kit si basa su materiali compositi in ceramica ossidata e non ossidata, come la ceramica di alluminio in formula AI2O3 ed è destinato a rafforzare la fronte e i lati della torretta, così come il retro del carro e il compartimento motore. Quest’insieme è completato da una blindatura del tipo slat armor, pensata per rafforzare la protezione del carro contro le munizioni del tipo RPG.

La panoplia dovrebbe eludere anche le cariche in tandem. Sembra che Roketsan, che ha curato l’upgrade, abbia però beneficiato dell’aiuto fornito dall’omologa tedesca IBD Deisenroth Engineering, che avrebbe girato un insieme protettivo per il treno di rotolamento, per l’arco frontale della torretta e per lo scafo. Oltre ai kit menzionati, i Leopard 2A4 aggiornati riceveranno anche il sistema di protezione attiva Pulat e, sembra, una nuova munizione anticarro da 120 mm. Il primo prodotto è targato Aselsan, quasi in toto ispirato allo Zaslon, dell’ucraina Microtek.

Si compone di un tubo di acciaio frammentabile denso di esplosivo. Quando il sensore radar situato sulla bocca del tubo ‘sniffa’ un missile o un razzo anticarro in arrivo, il tubo è eiettato dal suo contenitore ed esplode, generando un disco di scoppi e di schegge che intercettano il proiettile prima che impatti sul carro. I sei tubi sono disposti davanti, dietro e due per ogni lato.

La soluzione non scongiura le minacce multiple provenienti dalla stessa direzione, ma permette al carro di modificare la propria posizione o la postura. Quanto alla nuova munizione sappiamo che è stata ribattezzata Tanok, che rappresenta una soluzione alternativa ai proiettili classici e che può essere impiegata senza modifiche alla piattaforma adoperante, essendo autonoma nella ricerca degli obiettivi grazie a una guida laser semiattiva.

Ciò implica tuttavia che una sorgente laser intervenga a illuminare il bersaglio. Può allora trattarsi di un designatore direttamente montato sul carro o su un elicottero da attacco, o ancora di un team a terra di JTAC. Il proiettile è dotato di una testa polivalente, con un dardo di penetrazione e delle schegge acuminate per poter trattare una grande varietà di bersagli, attaccabili in linea diretta o dall’alto (top attack). Quanto a caratteristiche, il proietto misura in lunghezza 984 mm, pesa 11 chili e monta una testata in tandem efficace contro obiettivi pesantemente blindati, installazioni, e bersagli in movimento, distanti fra 1 e 6 chilometri.

Il sistema conferirà ai Leopard turchi una nuova capacità e una miglioria nel raggio ma, diversamente da quanto affermato da Aselsan, la mobilità del carro di nuova generazione sarà pesantemente condizionata dall’upgrade. Il peso totale del Leopard 2NG raggiungerà le 65 t, contro le 56,5 t del Leopard 2A4. Conservando il motore MTU da 1.500 cavalli, il carro ammodernato avrà un rapporto peso/potenza di 23 cavalli per tonnellata, inferiore ai 26,5 cv/t del predecessore.

Sembrerebbe tuttavia che la mobilità e le capacità di affrontare gli ostacoli presenti sul terreno non saranno intaccate. Il che farebbe desumere che i turchi abbiano modificato il motore e l’apparato frenante anche se in proposito non ci sono ancora certezze.

 

La modernizzazione degli M60

Spendiamo due parole anche sull’upgrade degli M60. A IDEF 2019, Aselsan ha svelato uno di questi mezzi, configurato per il combattimento urbano contro forze di guerriglia. All’epoca l’azienda aveva già siglato con l’SSB il contratto FIRAT-M60T da 206 milioni di dollari per retrofittare i primi 120 esemplari allo standard A3, parte di un processo che interesserà 600 unità in tutto. Tecnicamente, i nuovi A3 dismetteranno le blindature reattive di origine israeliana e riceveranno i Pulat.

A potenziare ulteriormente l’autodifesa concorreranno anche le placche balistiche Koruma e quattro sensori di allerta laser TLWS ai quattro angoli della torretta, che suggeriranno all’equipaggio la direzione di una minaccia, per una risposta o per un lancio di fumogeni.

Siccome in zona urbana la percezione dell’ambiente è un elemento essenziale di sopravvivenza, Aselsan doterà i carri di telecamere periferiche a 360° Yamgoz e di un mast optronico Tepes montato sul lato destro della torretta.

Il mast telescopico sarà equipaggiato con una camera termica per vedere al di sopra degli ostacoli, di una camera diurna e di un telemetro laser. Con una vetronica allo stato dell’arte e una condotta del tiro Volkan M, si apprezza la composizione dell’equipaggio a 4 uomini, cui sono affidati interi settori d’osservazione. Da notare che il Volkan M permetterà al carro di sparare in movimento contro bersagli mobili o statici. Così aggiornato, l’M60A3 rimarrà in servizio ancora per anni, con performance simili a quelle dei carri di seconda generazione rivalorizzati. E le modifiche apportate dai turchi potrebbero interessare anche altri eserciti dotati di M60. Potrebbero pertanto esserci nuovi affari in vista.

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Il carro leggero Kaplan

Oltre agli MBT, l’esercito turco ha in linea anche un carro leggero, il Kaplan/Harrimau, frutto di un partenariato fra FNSS e l’omologa indonesiana PT Pintad. Pesante fra le 32 e le 35 t, il tank integra la torretta 3105 prodotta da John Cockerill Defense e un pezzo binato della serie 3000 con cannone da 105, alimentato da un carosello automatico per 16 colpi, con condotta del tiro informatizzata. Compatto, il mezzo ha un rapporto peso potenza di circa 20 cavalli per tonnellata, variabile a seconda della configurazione protettiva.

Ha già combattuto in Siria ed è stato adottato anche dall’esercito indonesiano. Paolo Valpolini ne traccia un encomio su EDR Magazine, descrivendone l’evoluzione nel dimostratore Kaplan Hybrid, con motore elettrico da 230 kW. Il prossimo step di FNSS sarà sviluppare batterie per mezzi da 40 t e, in futuro, da 70 tonnellate.

 

Alcune idee per il futuro

Le aziende turche guardano già al futuro. Al salone tecnologico Teknofest di Istanbul, nel settembre 2021, Aselsan ha svelato la sua visione di carro senza equipaggio. Il mezzo è stato presentato in immagini di sintesi. Mostrava un design classico con una torretta piana nel retro dello scafo. Quest’ultimo appariva munito di diversi sensori, fra cui un lidar, un radar frontale e dei sensori a ultrasuoni sui fianchi.

Il cannone in torretta aveva un calibro imprecisato, alimentato da un carosello automatico, mentre il tutto era difeso da un sistema di protezione attiva. Una peculiarità del mezzo era quella di essere munito di droni da ricognizione, utili per sorvegliare il terreno durante la progressione in campo aperto o in zone urbanizzate. Altro atout del carro di Aselsan era la capacità di acquisire e identificare gli obiettivi, trasmettendo le loro coordinate ad altri sistemi presenti sul campo di battaglia.

Con queste immagini, Aselsan punterebbe a dimostrare le sue capacità nel campo dei blindati pesanti e a cogliere la palla al balzo, nel caso in cui l’Altay (nella foto sotto) si arenasse nuovamente. Nella stessa ottica rivolta al domani, va inquadrata anche la recente presentazione di materiali BMC al ministro della Difesa, durante la quale l’azienda ha mostrato per la prima volta un veicolo da combattimento per fanterie sviluppato con Aselsan e ribattezzato Altug, in bella mostra a IDEF con una vasta panoplia di armi.

Questo IFV è la ciliegina sulla torta di un complesso di lavori portato avanti da BMC sui veicoli 6×6 e 8×8 nel quadro del programma TTZA (Taktik Tekerlekli Zırhlı Araç) per un veicolo blindato tattico su ruote. Nella fattispecie, BMC ha sviluppato lo scafo e Aselsan il sistema d’arma. Per ora si sa poco del primo, a parte la configurazione 8×8 e la silhouette imponente.

La torretta è la Kohran, stabilizzata sui due assi e protetta fino al livello 2 dello STANAG 4569. Una curiosità: l’insieme può lanciare un drone ultraleggero, è armato con un cannone Oerlikon KDC-02 ‘brandeggiabile’ a 360° in sito e fra -10° e + 45° in elevazione ed è munito di 24 telecamere diurne/notturne, a garanzia di una visione periferica a 360°, sintetizzata sui monitor dell’equipaggio.

C’è poi spazio per un sensore di allarme laser LIAS, che intercetta e classifica i raggi laser emessi da un telemetro, da un designatore o dal sistema di guida di un missile anticarro. Il LIAS avvolge il mezzo a 360° e lo copre su un angolo di 80°. Può essere abbinato a un sistema di protezione attiva soft kill o hard kill. Infatti, la torretta dovrebbe imbarcare il sistema Akkor, concepito per impiegare munizioni direzionali e proteggere il mezzo contro i missili anticarro e gli apparati di visione termica.

Ultimo sistema imbarcato è l’MSTTS (Muharebe Sahası Tanıma Tanıtma Sistem) o sistema per l’identificazione degli obiettivi del campo di battaglia, che integra un interrogatore e un trasponder, oltre agli elementi necessari al trattamento delle informazioni ricevute, con una crittografia standard NATO.

Completa il tutto un’antenna del sistema di detezione acustica AYHTS, che permette di localizzare l’origine di un tiro diretto contro la torretta. L’armamento principale della torretta è il cannone Oerlikon, prodotto su licenza dal gruppo pubblico MKE, può sparare le munizioni Airburst da 35 mm. Dispone di 100 colpi, più altri 200 stoccati a bordo.

Questa torretta presentata tre anni fa, zeppa di elettronica di ultima generazione, trova uno scafo del tutto nuovo. L’insieme forma un IFV 8×8 inedito, in vista della competizione TTZA, che si annuncia serrata. A IDEF, Otokar ha presentato un’evoluzione del suo Arma, il veicolo Arma II, dotato di un turbo diesel a sei cilindri Ecotorq da 720 cavalli e 12,7 litri, con velocità massima di 105 km/h e autonomia di 700 chilometri.

Il motore è sviluppato dall’azienda stessa, a partire dall’omologo civile per camion Ford Otosan, joint venture fra Ford Motor Company e Koc Holding, azionista di maggioranza di Otokar. Grazie a questa evoluzione, l’Arma è più agguerrito: si mostra provvisto di sospensioni automatiche e indipendenti e di un sistema centralizzato in cabina che varia la pressione degli pneumatici. L’ABS è di serie, come la torretta Mizrak 30, che rimpiazza la Kohran ed è armata di missili antitank OMTAS. In ordine di combattimento, l’Arma II ospita 12 uomini, inclusi il comandante e il conducente.

E’ offerto dall’azienda in diverse versioni: APC, porta-mortaio da 120 mm, fire support con torretta da 105 o 120 mm, veicolo SHORAD a bassa-media quota, combat support, da recupero e da officina mobile, NBRC, da comando e controllo, ambulanza e da addestramento Driver Gunner Training Simulator. Durante il salone, Otokar ha mostrato inoltre due nuove varianti dell’ACV Tulpar, oscillanti fra le 28 e le 45 t di peso in ordine di combattimento, una delle quali armata con torretta Khoran da 35 mm e un’altra che faceva bella mostra della Cockerill 3105 da 105 mm.

E non basta, la fiera è servita all’azienda per svelare anche il suo nuovo Akrep II R Reconnaissance and Surveillance Vehicle (nella foto sotto), un mezzo scout per la sorveglianza avanzata del campo di battaglia, caratterizzato da una silhouette sfuggente e sistemi di comunicazione C3I. Dotato di una motorizzazione ibrida, l’Akrep II ha un’autonomia di 500 km in modalità diesel, mentre con la propulsione elettrica, cruciale per la silenziosità, raggiunge i 50 km/h. Le armi sono abbondanti, con un cannone da 12,7 mm operabile dall’interno del mezzo. L’Akrep è configurabile anche come piattaforma combat per missioni di risposta rapida, sicurezza armata, air defense e simili.

L’industria terrestre turca è ormai incontenibile, tanto che i campioni nazionali si stanno lanciando nello sviluppo di veicoli robotici pesanti e medi. IDEF è stato un florilegio di progetti, fra cui citiamo l’Alpar, blindo pesante su cingoli esibita da Otokar in variante con torretta Nefer L da 25 mm ed equipaggiamenti di missione Aselsan e lo Shadow Rider, che FNSS ha sviluppato partendo dallo scafo degli M113, dotandolo di una torretta remotizzata Sancak con cannone da 30 mm Samsun Yurt Savunma. La Sancak è modulabile, armabile con una mitragliatrice da 7,62 o da 12,7, o un lanciagranate automatico da 40 mm. Sono tutti progetti interessanti, che testimoniano di un dinamismo impensabile fino a qualche anno fa.

Foto: Anadolu, DPA/Zuma Press, BMC, FNSS, Ministero Difesa Turco e Middle East Eye

 

Francesco PalmasVedi tutti gli articoli

Nato a Cagliari, dove ha seguito gli studi classici e universitari, si è trasferito a Roma per frequentare come civile il 6° Corso Superiore di Stato Maggiore Interforze. Analista militare indipendente, scrive attualmente per Panorama Difesa, Informazioni della Difesa e il quotidiano Avvenire. Ha collaborato con Rivista Militare, Rivista Marittima, Rivista Aeronautica, Rivista della Guardia di Finanza, Storia Militare, Storia&Battaglie, Tecnologia&Difesa, Raid, Affari Esteri e Rivista di Studi Politici Internazionali. Ha pubblicato un saggio sugli avvenimenti della politica estera francese fra il settembre del 1944 e il maggio del 1945 e curato un volume sul Poligono di Nettuno, edito dal Segretariato della Difesa.

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