Il gioco della parti

La conflittualità odierna, in particolare i casi Ucraina, Federazione Russa, Medio Oriente, Gaza, Hamas, Israele, Siria, Libano, Iran, ha imposto un caos generalizzato in cui la realtà sembra abbia superato l’immaginazione. Quotidianamente le notizie su possibili risvolti negoziali positivi vengono contraddette da fatti che vanno in senso opposto mentre l’intensità conflittuale non prelude a tregue annunciate come imminenti.
Come cercare di capire qualcosa, allontanare dai pensieri lo spettro di conflitti che da regionali potrebbero tramutarsi in un conflitto mondiale, non da escludere totalmente, pur se temuto da tutte le Parti in causa?
Probabilmente una qualche interpretazione più rassicurante potrebbe venire da un ragionamento iniziale inverso a quello che verrebbe seguito da una logica diplomatico negoziale tradizionale. Immaginiamo quindi i retroscena, che potrebbero tramutarsi in realtà, nei negoziati dietro le quinte, nei contatti fra Servizi, fra nemici agguerriti, fra mediatori esperti e creativi, guidati da leader apparentemente cinici, più simili a despoti che a statuine formalmente sorridenti, composte, abituate a rilasciare dichiarazioni preconfezionate.
Non è un mondo, quello odierno, adatto a formalismi, retorica, demagogie, regole obsolete. I rischi di deflagrazioni globali spingono piuttosto a un pragmatismo esasperato. Pragmatismo di cui non sembrano dotate Onu e Ue.
L’analisi che segue partirà da presupposti ritenuti probabilmente duri, spietati in una visione più ideologica, non altrettanto immaginando un approccio realistico, dettato dal campo.
Stati Uniti
Con l’amministrazione di Donald Trump si avrà a che fare, a meno di incidenti clamorosi e imprevedibili. In un’ottica realista appare abbastanza inconcludente criticare sempre e comunque il Presidente degli USA. Più produttivo sarebbe sostenere le iniziative orientate a cercare soluzioni viabili per i due conflitti che più preoccupano la stabilità mondiale.
Per quanto riguarda la questione russo-ucraina l’impressione è che le parti ovvero Trump e Vladimir Putin da un lato, Trump e Volodymyr Zelensky dall’altro abbiano raggiunto degli accordi di massima, incluse eventuali dolorose concessioni.
Il problema, a mio avviso, è che non si sia ancora trovata la formula giusta per evitare ai due contendenti di perdere la faccia. Immaginiamo che dietro le quinte si tratti su compromessi che riescano a giustificare, agli occhi delle rispettive popolazioni, la perdita di tante vite umane, distruzioni, le conseguenze devastanti sul piano economico sociale. Le rispettive rigidità troverebbero giustificazioni dettate non solo da esigenze nazionali ma anche da timori di eliminazione fisica. Si alternano quindi sparate minacciose a propositi più concilianti in un vero gioco delle parti.
D’altra parte che i Presidenti Trump e Putin dialoghino dietro le quinte risulta dall’inatteso sostegno di Putin al Presidente statunitense sulla questione iraniana. Il consiglio dato all’alleato iraniano è stato di continuare il negoziato con gli Usa sul nucleare accettando un uso esclusivamente civile.
Stesso atteggiamento non ostile nei conflitti di Israele contro Hamas, Hezbollah, Houthi, Iran. Dichiarazioni formali di condanna, quasi dovute, ma senza conseguenze concrete. Immaginiamo che per Putin il vero punto cruciale sia, a termine, ridiscutere gli equilibri mondiali come chiede da anni e abbia trovato in Trump il giusto interlocutore.
Per Trump vi è l’urgenza di risolvere al più presto la crisi in Ucraina, finalizzare gli Accordi di Abramo con il sostegno dell’Arabia Saudita e dei sunniti moderati. Una Pax Usa, Arabia Saudita, Emirati, Qatar, Egitto, Giordania, Israele in Medio Oriente con il probabile coinvolgimento di Siria e Libano, la non ostilità della Federazione Russa, della Cina e l’isolamento iraniano tanto auspicato non solo da Israele ma da Emirati e monarchie del Golfo potrebbe condurre, se realizzata, ad una situazione in cui stabilità e sicurezza sarebbero garantite da interessi comuni e sviluppo economico.
Resterebbe da risolvere il problema Palestinese da discutere, prioritariamente, nella cornice dei Patti di Abramo, resi operativi, e di una nuova e riformata Autorità Palestinese completamente liberata dalle perniciose influenze di Hamas, Jihad islamica, gruppuscoli vari.
Al termine dei conflitti in atto, in fase di ricostruzione e stabilizzazione, gli Usa potrebbero dedicarsi prioritariamente agli equilibri nel Pacifico, alle relazioni con l’unico gigante concorrente, la Cina, sempre che non si sia trovata prima una forma di convivenza globale più rassicurante, per entrambe le potenze rivali.
Resta da constatare, amaramente, l’assenza non giustificata della UE e dell’ONU in negoziati e trattative che potrebbero ridisegnare gli equilibri mondiali del futuro prossimo. La perdita di credibilità, rilevanza, capacità negoziale, pragmatismo ha determinato purtroppo anche il declino del multilateralismo spinto, visto oggi come un ostacolo piuttosto che una risorsa risolutiva cui affidarsi.
Federazione Russa
La Federazione Russa, con il Presidente Putin, richiede da anni, ascoltata solo in tempi lontani da Bush Jr, Berlusconi, più ambiguamente dalla Merkel, una ridiscussione degli equilibri mondiali con il ripristino del ruolo che spetta ad una potenza globale quale essa, non a torto, ritiene di essere.
Purtroppo con il fine mandato di Bush jr, la presidenza dei democratici Usa, un Segretario di Stato scomodo, discusso ma influente come Hillary Clinton, le promesse verbali non furono mantenute anzi, invece di cogliere un’occasione unica, il possibile partenariato con la NATO, si cercò di limitare addirittura di umiliare la Federazione Russa.
Un’attitudine controproducente che scontiamo ancora oggi in maniera deflagrante in seguito ad una ulteriore pessima gestione democratica, Presidenza Biden, delle relazioni Usa-Federazione Russa. Si potrà obiettare che l’aggressività della Federazione Russa si fosse già manifestata con la Crimea, inglobata senza concrete reazioni da parte di ONU, alleati occidentali, Ue e tuttavia si è lasciata deteriorare una situazione già esplosiva anche nel Donbass, con il mancato rispetto da parte di russi e ucraini degli Accordi di Minsk.
La prima presidenza Trump, agevolata dal rapporto personale fra i due Presidenti, aveva riallacciato un dialogo costruttivo con il Cremlino tanto da far sperare in risvolti positivi, ben lontani dalle operazioni speciali, dalla denazificazione dell’Ucraina, dalla possibilità di un ingresso di quest’ultima nella Nato.
La ripresa del rapporto con un interlocutore comunque temuto come l’attuale Presidente Usa dovrebbe/potrebbe indurre il Presidente Putin ad accettare qualche compromesso per puntare all’obiettivo di medio lungo termine ovvero far valere il ruolo della Federazione sui principali scenari mondiali, in particolare Siria, Medio Oriente, Nord Africa, Africa subsahariana, magari frenando un po’ l’ingombrante, interessato abbraccio cinese.
Israele
Nel caso di Israele lo sforzo di immaginazione, di pragmatico, esasperato realismo, da tenere in conto per intravedere una soluzione costruttiva, fattibile, di medio lungo termine accettata dalle Parti in causa, dovrebbe proiettarsi oltre il concetto di rappresaglia sproporzionata, l’ideologia, le procedure tradizionali, il tifo per l’una o l’altra parte.
I due contendenti, va ricordato, sono uno Stato sovrano democratico e riconosciuto e un gruppo di terroristi brutali, senza scrupoli, sprezzanti anche nei confronti della popolazione palestinese che non esitano a sacrificare, giustiziare, affamare quando ritenuto utile ai loro interessi. Appare quindi controproducente cercare di risolvere una situazione più che degenerata con l’ipocrisia, la retorica, le ambiguità e una diplomazia formale fatta di scritti, condanne e dichiarazioni, alla resa dei conti, impalpabili, spesso fini a sé stesse, non praticabili nel breve.
Parametri crudi quanto si vuole indicano che:
- lo Stato di Israele è stato proditoriamente attaccato sul proprio territorio come mai prima accaduto da gruppi di terroristi e jihadisti provenienti da Gaza. Un casus belli non da poco che ha comportato una dichiarazione di guerra contro i terroristi di Hamas, Jihad islamica e componenti affiliate.
- iniziata una guerra, questa si combatte per vincere, per eliminare il nemico, il pericolo di possibili recrudescenze, in maniera definitiva. Ci si ferma solo con accordi negoziati attraverso mediatori forti, accettati e condivisi da un vincente e un soccombente. Nel caso in questione sarebbe illusorio immaginare compromessi che non prevedano una eliminazione completa dei gruppi terroristici.
La risposta israeliana è stata più che mai determinata, implacabile, decisa a:
- chiudere una volta per tutte la questione Hamas, distruggere la città sotterranea militarizzata, finanziata dirottando gran parte dei finanziamenti internazionali destinati ai civili e alle fasce più deboli della popolazione,
- eliminare complicità e una sottomissione di quella parte di popolazione palestinese ricattata dai terroristi contando al tempo stesso su una ribellione, sull’esempio di quanto accaduto in Libano nei confronti degli Hezbollah duramente colpiti da Israele. La rivolta in parte c’è stata tanto da costringere i terroristi ad incrementare gli atti efferati contro la propria gente.
Beninteso Israele ha operato in via prioritaria per la propria sicurezza, eppure immaginiamo che una simile azione di lunga durata e di tali proporzioni non sarebbe stata possibile senza lo scontato appoggio americano ma anche con il beneplacito, dietro le quinte, dei Paesi arabi moderati partner o futuri partner degli Accordi di Abramo. E’ con questi ultimi, e gli Usa, che Israele coopererà più strettamente in un Medio Oriente dai nuovi equilibri.
Uno Stato palestinese non esiste attualmente, tanto meno un’amministrazione che potrebbe gestire e rappresentare con autorevolezza, in una fase transitoria precedente ad un riconoscimento formale, le istanze di una popolazione di per sé disunita.
E’ opportuno annotare che gli stessi palestinesi, messi da parte i clan vicini all’attuale presidenza dell’ANP, non solo a Gaza ma anche in Cisgiordania non rispettino, non nutrano alcuna stima nei confronti di un’Autorità rivelatasi nel tempo corrotta, incapace di riformarsi, di unire, preparare una nuova generazione di amministratori, di uscire da metodi e logica da clan d’altri tempi. Eppure le risorse umane preparate e competenti ci sarebbero.
Una generazione di ottimi ministri e amministratori, inclini al dialogo con Israele, conosciuti personalmente e con cui lavorai proficuamente per realizzare programmi e progetti finanziati dalla mia Agenzia Onu dell’epoca, furono progressivamente allontanati dopo la scomparsa del Presidente Arafat creando le premesse per la guerra civile a Gaza, il rafforzamento di Hamas, l’inesorabile declino dell’Autorità diretta da Abu Mazen.
La gestione post conflittuale di Gaza non sarebbe affidata all’ANP, con la supervisione di Israele, bensì, secondo la bozza di piano elaborata da Usa, Israele, Arabia Saudita, Egitto, Giordania, a Paesi arabi nella cornice degli Accordi di Abramo allargati all’Arabia Saudita, forse alla Siria, a una forza internazionale di transizione composta per la maggior parte da unità di Paesi arabi accettati beninteso da Israele.
Prevista anche l’assistenza di Usa, e Paesi europei, fra cui l’Italia. Esclusione totale di Hamas e gruppi terroristici, ai quali verrebbe concesso l’esilio una volta deposte le armi. Perfino l’attuale debole, screditata Autorità palestinese con Abu Mazen e il suo Primo ministro si è espressa in tal senso.
La stringente realtà imporrebbe quindi una fase preliminare di costruzione nazionale, Nation building, la creazione ex novo di un’amministrazione in grado di rappresentare un popolo e di gestire in futuro rapporti di buon vicinato con Israele in un quadro di reciproche garanzie di sicurezza.
Poche le opzioni alternative per quegli Stati, fra cui l’Italia, che hanno realisticamente deciso di non avventurarsi in dichiarazioni, ad oggi velleitarie, di riconoscimento di uno Stato, qualora ne avesse tutti i presupposti, attualmente semplicemente non in grado di funzionare, fallito prima di iniziare un suo percorso, a prescindere dalle responsabilità e dalle colpe del governo Netanyahu. Un’amara realtà difficilmente eludibile pur se l’obiettivo finale, realizzabile con il consenso di Israele, resta due popoli, due Stati.
Il governo Israeliano, probabilmente un nuovo governo scaturito da nuove elezioni, dovrà da parte sua, sempre nel quadro degli Accordi di Abramo, gestire, risolvere la questione della violenza dei coloni, dell’accaparramento di terre di proprietà palestinese, delle frange minoritarie estremiste, rappresentate alla Knesset, presenti nell’attuale governo, restie a qualsiasi accordo di convivenza con un futuro Stato palestinese.
Israele, dopo la presa di posizione della Lega Araba, alla conferenza Onu su Gaza, contro Hamas invitata al disarmo, in pratica a sloggiare, alla rinuncia di una presenza attiva a Gaza e in Cisgiordania, dovrebbe diminuire l’intensità delle operazioni militari che causano troppe, ingiustificabili vittime fra civili palestinesi non tutti complici dei terroristi da eliminare. La gestione della vittoria sul campo presupporrà lungimiranza, visione politica di più lungo respiro in particolare in Cisgiordania, concessioni per frenare una deriva pericolosa per la reputazione internazionale dello Stato.
Nazioni Unite
La Conferenza Onu sulla situazione a Gaza, organizzata da Arabia Saudita e Francia, boicottata da Usa e Israele, ha ribadito che la Nazioni Unite non potranno che rivestire un ruolo di copertura legale per eventuali operazioni internazionali di stabilizzazione. Ruolo operativo logistico, con il beneplacito di Israele e Usa, per alcune Agenzie, non coinvolte nelle scandalose connessioni fra impiegati locali con contratti Onu e Hamas, per una distribuzione di aiuti umanitari urgenti.
Arabia Saudita
Il ruolo cruciale svolto della monarchia sunnita dietro le quinte assieme agli Usa, Egitto, Giordania e Turchia, quest’ultima in relazione alla Siria, immaginiamo abbia consentito la lunga operazione di Israele a Gaza e sui fronti Libano, Iran, Siria nella prospettiva dei Patti di Abramo, dell’isolamento dell’Iran.
In un certo senso l’improvvida dichiarazione di qualche tempo fa del neo Cancelliere tedesco Merz “Israele ha fatto il lavoro sporco che avremmo dovuto fare noi…” riflette una realtà di fatto da tenere occultata dal “bon ton” diplomatico tradizionale.
I toni compassati, formali delle dichiarazioni di condanna verso Israele da parte della Monarchia Saudita, degli Emirati e Sultanati del Golfo, di Egitto e Giordania la dicono lunga sul reale sostegno politico in favore dei palestinesi governati da Hamas e di una debole Autorità palestinese in Cisgiordania. Non è una novità, resa tuttavia più evidente dal contesto, dalla lunghezza temporale e dall’ intensità delle operazioni israeliane su più fronti.
L’Arabia Saudita, benché non abbia ancora aderito formalmente ai Patti di Abramo, appare con Usa, Israele, Egitto la più convinta a modificare gli equilibri in Medio Oriente a risolvere definitivamente la questione palestinese con l’eliminazione dei terroristi e delle fonti di finanziamento, ad isolare l’Iran a riconoscere e ad iniziare un futuro di cooperazione e affari con Israele. Finora dietro le quinte, nel gioco delle Parti.
Turchia
“E anche a questo giro il Presidente Erdogan si è aggiudicato la mano”. Nel gioco delle parti, in un immaginario giro di poker l’astuto presidente turco è riuscito ancora a incidere, a soddisfare le sue aspirazioni, la sua ambizione. Sia nel conflitto russo ucraino, sia in Medio Oriente, in particolare per quanto concerne la Siria, egli si è affermato come un mediatore affidabile per le Parti in causa, quasi ineludibile, persino per i contatti diretti con Hamas.
Non solo mediatore ma anche, almeno per ora, guida esperta del neo Presidente siriano Ahmad al Sharaa, detto Al Jolani, ex terrorista di Al Qaeda, transitato anche nell’Isis.
Guida indispensabile, specialmente nella comunicazione, delle prime azioni internazionali della nuova Siria, al tempo stesso garante nei confronti degli alleati Nato, degli Usa, di Israele. A volte apertamente, più spesso dietro le quinte la Turchia svolge un ruolo di mediazione del tutto rilevante nei conflitti summenzionati ed in più cura più che bene, con il sostanzioso sostegno finanziario del Qatar, i suoi interessi in Libia, Medio Oriente, Africa sub sahariana, Somalia, Mediterraneo allargato. Ha preso le distanze ma non è certamente osteggiata dai Fratelli musulmani, resta quindi un importante riferimento per tutti, basta che non si facciano troppe pressioni su democrazia, questioni interne e sui Curdi.
Unione Europea
Il ruolo della Ue, ad oggi, rischia di essere limitato a cospicui finanziamenti per la ricostruzione di Gaza. Influenza politica irrilevante. Più rilevante il ruolo di sostegno, alla stabilizzazione e supporto alla ricostruzione di una amministrazione palestinese, che potrebbero avere singoli Paesi come Italia, Francia, Germania, Paesi scandinavi.
L’Italia per le sue ottime relazioni con Israele, Autorità Palestinese, Usa, Paesi Arabi moderati sarebbe avvantaggiata rispetto alla Francia, ad esempio, di cui da tempo sembrano diffidare sia Usa che Israele per le prese di posizione e gli scatti in avanti spesso inopportuni del Presidente Macron poco apprezzati dagli uni e dagli altri. Finanziare la ricostruzione ed avere assegnati importanti commesse per le società dei Paesi Membri appaiono le prospettive più realistiche da immaginare.
Anche per ciò che riguarderà la fase post conflittuale in Ucraina al momento la UE sembra destinata ad essere grande protagonista per i finanziamenti alla ricostruzione mentre le decisioni importanti, gli equilibri futuri verranno decisi altrove.
Conclusioni
La conclusione del conflitto russo ucraino presenta delle incognite tuttora irrisolte pur se nel gioco delle parti, nelle relazioni dietro le quinte, le linee di un accordo potrebbero essere state già definite in linea generale.
In Medio Oriente la finalizzazione degli Accordi di Abramo potrebbe essere la svolta per creare nuovi equilibri auspicati pragmaticamente da Usa, Israele, Arabia Saudita e Paesi arabi moderati, la cornice entro la quale risolvere la piaga del terrorismo, la questione palestinese fuori dalle ambiguità che ne hanno condizionato per decenni progressi fattibili, realistici.
Immaginiamo infine che la Federazione Russa venga coinvolta anche nei nuovi equilibri in Medio Oriente e che il Libano, dove il nostro Paese più che benvoluto dai libanesi potrebbe giocare un ruolo da protagonista assoluto, ritorni ad essere quel Paese modello, negli anni 50, 60 del secolo scorso, di convivenza, benessere, centrale per vocazione internazionale, affari, banche.
Se quanto sopra immaginato si verificasse dietro le quinte il gioco delle parti avrebbe scongiurato ulteriori conflitti in maniera pragmatica gettando le basi per la soluzione di questioni altamente pericolose, irrisolte da decenni.
Foto: Arte Metropoles, BenjaminNetanyahu/X, Commissione Europea, Anadolu, Al-Jazeera, Casa Bianca e TASS

Ugo TrojanoVedi tutti gli articoli
E' uno dei maggiori esperti italiani di operazioni internazionali di stabilizzazione, peacebuilding, cooperazione e comunicazione nelle aree di crisi. Dagli anni 80 ha ricoperto incarichi di responsabilità crescenti per l’Onu, la UE e il Ministero degli Esteri in Africa (13 anni), Medio Oriente e Balcani. Specialista di negoziati complessi, è stato Sindaco Onu in Kosovo della città mista di Kosovo Polje dal 1999 al 2001, ha guidato, primo non americano, il PRT di Nassiriyah in Iraq nel 2006 ed è stato Portavoce e Capo della comunicazione della missione europea di assistenza antiterrorismo EUCAP Sahel Niger fino al 2016. Destinatario di un’alta onorificenza presidenziale Senegalese, per l’editore Fermento ha scritto "Alla periferia del Mondo". Scrive su riviste specializzate ed è un apprezzato commentatore per radio e tv.