Il colpo di Stato in Niger: rischi e sfide per un futuro dalle molte ombre

 

In attesa di nuovi sviluppi, la crisi scatenatasi apparentemente senza preavviso in Niger fornisce fin da ora diversi elementi o meglio lezioni di realismo su cui riflettere, da non sottovalutare a prescindere dall’esito finale della vicenda. Quattro colpi di Stato dal 2020 nei Paesi Saheliani, includiamo anche la Guinea Conakry che sfiora il Sahel, dell’Africa Occidentale costituiscono un pesante fardello in primo luogo per le popolazioni locali, per le economie dei Paesi coinvolti. Rappresentano una grave battuta d’arresto nel contrasto alla penetrazione terroristica, jihadista, estranea quest’ultima, alla cultura e alle tradizioni popolari dell’area, nel contrasto ai traffici di esseri umani, infine uno smacco per gli alleati e finanziatori occidentali, Francia, Ue e USA in testa.

Mali, Guinea Conakry, Burkina Faso e dal 26 Luglio scorso il Niger, dove la situazione resta fluida, tutt’altro che stabilizzata, sempre vicini alla Francia, all’Occidente da cui hanno ricevuto ingenti aiuti allo sviluppo ma soprattutto coperture per i bilanci statali, alleggerimenti del debito pubblico, accessi privilegiati ai finanziamenti agevolati della Banca Mondiale, interventi dell’FMI per le ristrutturazioni del debito, sono gli esempi recenti e concreti di una destabilizzazione dell’area iniziata con la sciagurata aggressione alla Libia del 2011 e la morte della guida Gheddafi.

In sintesi Francia e alleati occidentali non compresero allora il gravissimo errore e perseverarono nonostante gli avvertimenti, quanto mai profetici all’epoca e poi nel 2012 e 2013, del Presidente nigerino Issoufou, predecessore del deposto, per ora, Presidente Bazoum, e dello stesso Bazoum allora ottimo ministro degli esteri. Entrambi, conoscendo naturalmente bene le dinamiche africane, pronosticarono la Libia come una nuova Somalia e rischi seri di destabilizzazione per i più deboli Paesi Saheliani. Auspicavano interventi Ue e italiani più incisivi, in particolare una maggiore cooperazione nel settore sicurezza, integrata da progetti di sviluppo a favore dell’occupazione giovanile per contrastare gli ingaggi offerti ai poveri disoccupati dai terroristi islamici e dalla criminalità organizzata.

Ne sono stato testimone diretto in quanto negli anni passati in Niger incontrai professionalmente dal 2013 al 2015 diverse volta l’allora ministro degli esteri Bazoum il quale, nutrendo simpatia per l’Italia, me lo ribadiva anche in incontri informali.

Il risultato di errate valutazioni, non volendo comprendere ne’ adeguarsi realisticamente alle nuove dinamiche sul terreno, i comportamenti a dir poco sconcertanti di taluni governanti europei, dei vertici Ue preoccupati solo di seguire principi irrealizzabili in taluni Paesi, l’ossessione per le procedure burocratiche, hanno alfine inciso pesantemente favorendo una costante perdita di credibilità europea. E’ stata consentita di conseguenza la penetrazione significativa di nuovi attori, Russia, Turchia, Cina, ben più concreti, solidi, poco votati ad impartire lezioni agli africani piuttosto inclini ad ottenere risultati per sé e, nel breve periodo, per i nuovi committenti africani.

Tutto si è accelerato in pochi anni modificando concetti, procedure e modelli operativi divenuti obsoleti, addirittura controproducenti, allorché Paesi rivali possono decidere con rapidità, senza fronzoli puntando al conseguimento dell’obiettivo prefissato e soddisfacendo al tempo stesso il committente con minori condizionamenti.

Ben prima della guerra russo ucraina l’influenza occidentale sui Paesi nord africani e saheliani venne progressivamente erosa da potenze non proprio amiche. Ad esse vanno aggiunte la Turchia ed alcuni Paesi del Golfo, Qatar in particolare. Questi ultimi due perseguendo i propri interessi, pur non essendo apertamente ostili all’Occidente, hanno svolto un ruolo ambiguo di penetrazione conquistando spazi ed influenze a discapito di Francia, Italia e Paesi Ue.

Emblematico il ruolo della Turchia in Libia. In pochi mesi attraverso fornitura di droni e armi, impiego massiccio di consiglieri militari nel momento del bisogno, ovvero quando Tripoli, governo riconosciuto dalla Comunità internazionale, si trovava sotto assedio e stava per capitolare, la Turchia rispose fattivamente agli appelli lanciati invano in primo luogo al nostro Paese. L’influenza italiana in Tripolitania fu così erosa drasticamente e rimpiazzata da quella turca.

Ancor peggio andò in Somalia dove i turchi la fanno da padroni, con il consenso del regime locale beninteso. In Africa occidentale sulle orme di russi e cinesi, i turchi, grazie anche ai finanziamenti del Qatar, sono riusciti in meno di un decennio ad incrementare finanziamenti, presenza di aziende, vendita di armi, influenza politica e strategica.

La recente guerra russo ucraina non ha fatto che rendere più concreti, evidenti processi già in atto in Africa da anni. Ritengo si sia proceduto lucidamente al ricambio delle sfere di influenza per fasi successive, inizialmente verificando la consistenza delle risposte da parte degli Stati africani mirati, da parte di Francia, Ue, Usa ad atti e campagne comunicative ostili, anti francesi in prima battuta poi anti occidentali. Più facile risultò attaccare l’Onu e le sue missioni di stabilizzazione dispendiose, inefficaci, persino contro producenti quando si è trattato di difendere con le armi e non con le indennità di missione villaggi e popolazioni vittime di attacchi terroristici crudeli, impietosi.

Constatata la debolezza delle risposte, la mancanza di pragmatismo, l’incomprensione da parte di Onu, Ue, Francia della realtà del terreno mutata negli anni, alcuni Stati africani alleati tradizionali di Francia e occidente, fiaccati dalle azioni terroristiche mai completamente debellate, dalle pressioni di popolazioni sempre più impoverite, hanno ceduto alle lusinghe russe, ai risolutori della Wagner, alle elargizioni cinesi, ai turchi, musulmani ben più comprensivi. Il disimpegno francese in Mali, Burkina Faso, Repubblica Centro Africana, Guinea ha contribuito infine ad accentuare le crisi con il rischio di provocare un effetto domino imprevedibile.

Nulla sarà più come prima  Alla luce di eventi disastrosi in primo luogo per le stesse popolazioni africane coinvolte, per le loro fragili economie, per la loro stabilità, in seconda battuta per gli interessi e la sicurezza europea, occorrerà forse ragionare e agire pragmaticamente per riconquistare credibilità e rispetto nelle aree di crisi. Le nuove sfide porterebbero ad accantonare comportamenti, condizionalità eccessive considerati intimamente dagli stessi beneficiari africani arroganti e demagogici, irrispettosi delle tradizioni e culture locali.

 

Realtà da affrontare sul terreno, constatazioni, lezioni apprese.

L’anomalo colpo di Stato in Niger ha sorpreso e spiazzato. Ha rivelato quasi brutalmente una spaccatura, colpevolmente imprevista, tra le forze di difesa e sicurezza nigerine e gli alleati occidentali, formatori di ufficiali superiori, corpi di élite, gendarmeria, polizia, guarda nazionale, giudici e magistrati. In altri tempi, anche recenti, in un Paese stretto alleato della Francia e dell’occidente, sarebbero stati captati “spifferi”, ricevute informazioni riservate su quanto si stava tramando.

Non avendo fiutato nulla, a quanto è dato sapere, i servizi di intelligence collegati e gli stessi formatori europei e americani, hanno semplicemente subito uno smacco impensabile causato più che probabilmente da una perdita di fiducia reciproca. Forze non proprio amiche sono riuscite a incrinare impunemente alleanze militari e civili consolidate.

In Paesi sotto attacco terroristico da anni, instabili, in fase pre-conflittuale, conflittuale o post conflittuale non appare opportuno né tantomeno realistico rispondere a richieste di aiuto, forniture militari, di cooperazione civile anteponendo veti, condizionalità eccessive su diritti, ambiente, parità di generi ecc. facendo finta di ignorare le tradizioni culturali, religiose e di vita locali.

Una democrazia, per quanto imperfetta, esisteva in Niger. Il paragone con altri Stati africani limitrofi sarebbe stato improponibile e sarebbe risultato sempre favorevole al Niger. Elezioni, parlamento funzionante, partiti politici di opposizione, stampa e media governativi e di opposizione, pur se con alcune limitazioni. Realisticamente non si dovrebbe pretendere un regime esattamente modellato sulle più avanzate democrazie europee. Non verrebbe accettato dalle stesse popolazioni per indole e tradizioni diverse.

Eppure il grave errore di voler insegnare e far sì che Paesi di un altro continente pensino e agiscano come la Ue vorrebbe che facessero si è protratto nel tempo causando appunto perdita di fiducia, di credibilità. Un Paese saheliano si trova dunque fra l’incudine dell’arroganza dei francesi percepita come tale e il martello di insegnamenti, eccessiva burocrazia e pretese spesso inattuabili da parte dell’Ue.

Nonostante ingenti finanziamenti, aiuti ai bilanci statali, cooperazione per la sicurezza e allo sviluppo appare paradossale che alcuni Paesi preferiscano cedere alle lusinghe russe, cinesi, turche ecc sapendo che la mole di aiuti, a parte quelli militari e quelli destinati ai movimenti di protesta e alla comunicazione anti governativa e anti occidentale, non potranno mai raggiungere il livello di quelli forniti da Francia, Ue, Usa. Evidentemente la guerra al terrorismo islamico e la ricerca di stabilità richiedono maggiore flessibilità, rapidità di decisioni, procedure semplificate, minor demagogia.

 

Risposte adeguate ad azioni ostili e campagne di disinformazione

A fronte di una sfida divenuta globale fra blocchi di alleati, acuitasi con la guerra russo ucraina, gli africani coinvolti hanno probabilmente percepito una mancanza di risposte adeguate e forti da parte dei tradizionali alleati occidentali nei confronti di azioni ostili terroristiche in primo luogo e a seguire nei confronti della Wagner e dei suoi sponsor.

Debole e quasi fallimentare l’esperienza del G5 Sahel voluta fortemente da francesi e Ue ma mai decollata pienamente. Un altro aspetto ha colpito chi ha operato a lungo in Africa e ha avuto contatti regolari con media e stampa locali. La scarsa attenzione rivolta al settore da parte dei francesi (che comunque possono contare su importanti fonti comunicative proiettate sull’area africana quali Radio France Internationale e France 24), della Ue, degli Stati europei e degli americani.

Per rispondere a campagne di disinformazione anti francesi e anti occidentali ben orchestrate, finanziate dalla Wagner e sponsor vari, probabilmente anche da turchi e cinesi, sarebbe stato indispensabile poter contare su stampa e media locali non ostili. Non sembra sia stata colta l’importanza dei media soprattutto delle radio locali che in tutti i Paesi a maggior ragione in Niger, dove da anni esiste una stampa di opposizione, raggiungono i villaggi più sperduti contribuendo a creare opinioni e simpatie.

Di questo aspetto non secondario posso fornire testimonianza diretta (nella foto a lato l’autore dell’articolo a Niamey nel 2014).

In Niger sono stato portavoce e capo della comunicazione di una missione civile Ue di sostegno alle forze di difesa e sicurezza nigerine nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata. La missione ha formato migliaia di elementi e fornito materiali e attrezzature di supporto.

Dal mio arrivo ho attivato i contatti con giornalisti di stampa e media locali andando a visitare anche le più sperdute redazioni locali di Niamey e Agadez quasi sempre con autista e senza scorta. Questi semplici gesti di attenzione hanno facilitato grandemente il mio lavoro, prodotto promozione e larga diffusione mediatica delle attività di formazione della missione attraverso decine di articoli e servizi radio Tv, ma soprattutto rispetto nei miei confronti al punto che dopo pochi mesi mi è stato concesso l’onore, da straniero, di fondare il circolo della stampa di Niamey.

Hanno aderito giornalisti filo governativi e di opposizione, nessuna esclusione, con assidua partecipazione alle cene mensili in cui si discuteva liberamente della situazione politica del Paese, della regione, si discuteva informalmente con un invitato d’onore fra ambasciatori, capi delle missioni internazionali presenti sul posto o ospiti di rilievo in missione a Niamey.

Infine con un piccolo budget annuale a mia disposizione ho fatto realizzare due sale stampa per lo Stato maggiore della difesa e per il Comando generale della Polizia, un video sulla missione da una televisione locale, e a nome del Club de la Presse de Niamey una conferenza internazionale di 2 giorni sulla sicurezza della regione invitando, con la co-partecipazione finanziaria dell’Ambasciata Usa, inviati speciali francesi, italiani, inglesi della Reuters da Dakar, professori americani, giornalisti africani dai Paesi limitrofi.

Fu un grande successo che mi permise di stabilire, oltre alla stampa, ottimi rapporti, anche personali, con ministri e alti funzionari governativi, ufficiali superiori, di muovermi a mio agio nella società locale. Alla fine i risultati per la Missione Ue di cui facevo parte andarono oltre le aspettative. Le informazioni riservate, gli “spifferi” giungevano da più parti, avevamo in anticipo il polso della situazione addirittura nel mio caso anche informazioni più che sensibili fornite sulla base della fiducia reciproca. Personalmente la soddisfazione maggiore, come accadde in Senegal, è stata quella di essere definito “l’africano”, l’amico sincero degli africani.

La digressione è forse utile per comprendere quanto siano importanti in determinati contesti il fattore umano, l’esperienza del terreno, la voglia di conoscenza, la flessibilità mentale. Fattori evidentemente trascurati da quanti non hanno previsto i cambiamenti perseverando in atteggiamenti e insegnamenti sempre meno tollerati.

 

La Comunità Economica degli Stati dell’Africa occidentale perde pezzi

A seguito delle crisi già evocate, dei colpi di stato, della presenza sempre più aggressiva del terrorismo, della instabilità diffusa, della progressiva perdita di credibilità della Ue e della Francia, alcuni Stati membri attivi della Cedeao o Ecowas hanno richiesto sostegno a nuove entità straniere in funzione anti francese e occidentale.

Ciò ha comportato il disimpegno francese, la cessazione della cooperazione militare con i regimi di Guinea, Mali, Burkina Faso. RCA ed ora anche Niger, la sospensione di finanziamenti e altre sanzioni economiche applicate anche dalla Ue e dalla Cedeao.

Inevitabile una spaccatura interna nella Cedeao. Quattro Stati su 15 sono sospesi e sanzionati pesantemente a livello bancario e finanziario con minacce di espulsione dall’Organizzazione. E’ palese che dietro gli eventi succedutesi dal 2019 in poi vi sia stata una strategia funzionale al Caos, alla ulteriore instabilità dei Paesi saheliani ad uno scossone anti occidentale da cui trarre benefici strategici ed economici, riempendo i vuoti ed estendendo influenze politiche e militari.

La Cedeao con una riforma del suo Statuto ha previsto anni addietro, oltre alle sanzioni bancarie, finanziarie ed economiche anche la possibilità di interventi militari concordati per riportare stabilità nei Paesi vittime di colpi di Stato a seguito di elezioni considerate regolari. Il ripristino della autorevolezza della Cedeao e della sua compattezza sarà un fattore determinante per un futuro prossimo dalle molte ombre.

Parimenti grave sarebbe un ulteriore disimpegno o peggio un ritiro dei contingenti militari europei e americani di stanza nel Sahel. Una realtà scevra da demagogie indicherebbe che se ciò avvenisse vi sarebbe il collasso della Cedeao e la consegna di interi Paesi a entità anti occidentali. Queste ultime puntano fra l’altro allo stretto controllo delle risorse minerarie, energetiche, delle terre rare, i cui sfruttamenti sono stati peraltro già assicurati in Mali, Burkina Faso, RCA certamente non a miglior beneficio dei committenti africani.

Vi sarebbe anche un aspetto rilevante per il sud Europa, l’Italia in particolare. Russia, Wagner e altri associati, pur non essendo per ora apparentemente coinvolti, non si opporrebbero certo ad un traffico di migranti illegali accresciuto, già da tempo utilizzato anche per fini di destabilizzazione dei Paesi del sud Europa.

 

Il ruolo italiano

Nel Mediterraneo allargato, area che comprende l’instabile Sahel, l’Italia ha mostrato negli anni di possedere grandi potenzialità di penetrazione quasi sempre accompagnate da un giusto, apprezzato approccio verso governi e popolazioni locali. E

’ uno dei motivi della rivalità con la Francia la quale ha reagito spesso con azioni dissuasive culminate con dispetti fragorosi quali l’inconsulta azione in Libia per spodestare la guida Gheddafi e in tempi più recenti le pressioni sul Niger per ritardare, scoraggiare l’invio del contingente militare italiano nel Paese saheliano.

Tutto iniziò negli anni 80 allorché l’allora Presidente del consiglio Bettino Craxi rese operativa e prioritaria una strategia italiana verso il Sahel allora area non di particolare interesse per noi. Sono trascorsi decenni da allora, la mancanza di finanziamenti, una certa superficialità non permisero di assicurare la continuità di una politica lungimirante.

Va reso merito al nostro Paese di aver finalmente rielaborato, rendendola operativa, una visione strategica bilaterale verso l’Africa in generale, nord Africa e Sahel in particolare. I tempi sono cambiati ma non sono cambiati, per nostra fortuna, i buoni ricordi, l’accoglienza favorevole degli africani nei nostri confronti. Potremmo, come facemmo per un breve periodo, addirittura rivaleggiare con i francesi accrescendo sostanzialmente la nostra influenza.

Tuttavia terrorismo, crisi migratorie, guerre regionali asimmetriche, guerra russo-ucraina suggerirebbero compattezza e coordinamento delle azioni fra alleati non più rivali. Il dato da considerare pragmaticamente sarebbe che a fronte della aggressività delle forze anti occidentali, di un’azione comune di difesa e sicurezza europea insufficiente e poco credibile, si renderebbe opportuno consolidare le azioni di Paesi alleati, gli interventi bilaterali.

Eventuali azioni militari coperte o meno dovrebbero essere integrate necessariamente da programmi visibili e concreti di cooperazione a favore delle popolazioni.

Ben venga quindi il Piano Mattei in attesa di un corposo Piano Marshall africano sbandierato da anni dalla Ue, ma mai nemmeno impostato seriamente. Ne scrivemmo anni fa su Analisi Difesa sottolineandone anche gli aspetti di prevenzione delle crisi, dei Colpi di Stato, dell’impatto positivo sulla stabilità dei Paesi. Da allora purtroppo parole e retorica non hanno portato risultati contribuendo piuttosto alla pericolosa perdita di credibilità europea.

In conclusione auspicando di mantenere i contingenti militari italiani e parallelamente di incrementare sostanzialmente le attività bilaterali di cooperazione allo sviluppo, andrebbe forse ribadita la questione delle risorse umane. Questione più che sensibile anche a livello Ue.

In un contesto di crisi accertate e acclarate, sarebbe forse giunto il momento di ricorrere a persone di grande esperienza del terreno, di conoscenza di usi, costumi e tradizioni locali, perfino in grado di porsi e parlare in un certo modo con le autorità e le popolazioni locali.

Una risposta seria alle azioni ostili anti occidentali passa anche per la scelta di nuove figure professionali, negoziatori al di fuori dei canali esclusivamente ufficiali e formali ad esempio, un Inviato per il Sahel che possa essere più libero, almeno parzialmente svincolato dai più rigidi aspetti burocratici e rispondere alla Presidenza del Consiglio pur coordinandosi con esteri, difesa e interni. La nazionalità italiana aiuta assieme alla creatività e al forse necessario cambiamento di mentalità e procedure divenute obsolete per il contrasto a forze più pragmatiche, decisioniste, disinvolte, con pochi scrupoli e demagogie da vendere.

Foto: CEDEAO, Gianandrea Gaiani, Difesa.it, Twitter, Ministero Difesa Francese, Peoples Dispatch e Governo del Niger

 

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E' uno dei maggiori esperti italiani di operazioni internazionali di stabilizzazione, peacebuilding, cooperazione e comunicazione nelle aree di crisi. Dagli anni 80 ha ricoperto incarichi di responsabilità crescenti per l’Onu, la UE e il Ministero degli Esteri in Africa (13 anni), Medio Oriente e Balcani. Specialista di negoziati complessi, è stato Sindaco Onu in Kosovo della città mista di Kosovo Polje dal 1999 al 2001, ha guidato, primo non americano, il PRT di Nassiriyah in Iraq nel 2006 ed è stato Portavoce e Capo della comunicazione della missione europea di assistenza antiterrorismo EUCAP Sahel Niger fino al 2016. Destinatario di un’alta onorificenza presidenziale Senegalese, per l’editore Fermento ha scritto "Alla periferia del Mondo". Scrive su riviste specializzate ed è un apprezzato commentatore per radio e tv.

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