Golpe in Niger: il Sahel ci presenta il conto per la guerra alla Libia del 2011 

 

(aggiornato alle 23,55)

“Noi valutiamo la guerra libica una minaccia per il nostro Paese e per la regione che si prolungherà negli anni a venire…..Avevamo messo in guardia l’Occidente dal distruggere lo Stato libico… Avevamo detto all’Occidente di non perdere di vista la realtà e di tenere conto della società libica. L’Unione Africana aveva proposto una soluzione che facesse uscire di scena Gheddafi preservando lo Stato e l’unità nazionale ma non siamo stati ascoltati anche se l’Italia ci è sembrata più sensibile a questa proposta.

 Incontrai in giugno 2011 il ministro degli esteri, Franco Frattini e gli dissi che voi italiani, che conoscete bene la situazione libica, dovevate giocare un ruolo più deciso, più positivo, evitando di seguire la corrente. Noi ci siamo battuti ma non siamo stati ascoltati. E oggi la Libia è come la Somalia, come aveva previsto l’Unione Africana.

Il 26 maggio 2011 il presidente nigerino Mahamadou Issofou, invitato al summit di Deauville, è stato l’unico a dire ai leader occidentali che l’intervento in Libia avrebbe trasformato il Paese in un’altra Somalia offendo un’incredibile finestra di opportunità all’islamismo radicale. I fatti ci hanno dato ragione”.

Mohamed Bazoum, il presidente del Niger rimosso da un golpe militare il 27 luglio, rilasciò queste dichiarazioni nel corso di una lunga intervista ad Analisi Difesa a Niamey nel giugno 2014, quando ricopriva l’incarico di ministro degli Esteri.

Nove anni dopo anche Bazoum è stato travolto dalle conseguenze dell’ondata di destabilizzazione, in gran parte di matrice islamista, generata da quella sciagurata guerra con cui Occidente e NATO hanno gettato l’intero Sahel nel caos minando anche gli interessi dell’Italia e dell’Europa.

L’errore compiuto nel 2011 e la successiva incapacità occidentale di sanare i guai combinati e stroncare le insurrezioni islamiste, ci viene fatto pagare oggi con la progressiva instaurazione in Africa sub sahariana di governi e giunte militari che guardano con sospetto e a volte ostilità all’Occidente e orientate a puntare sui BRICS, in particolare su Russia e Cina, per garantirsi sviluppo e sicurezza.

Uno scenario simile a quello che si registra nel mondo arabo dove oggi è marcato, soprattutto tra le monarchie del Golfo, il distacco dagli USA protagonisti con l’Amministrazione Obama del sostegno alle cosiddette “primavere arabe” che destabilizzarono o tentarono di destabilizzare i regimi arabi tra i quali molti governi amici dell’Occidente.

 

Il generale Tchiani e il CNSP

Il 28 luglio il generale Abdourahamane Tchiani, capo della Guardia Presidenziale, è stato proclamato nuovo leader del Niger secondo quanto affermato dalla televisione nazionale che ha confermato la destituzione del presidente Bazoum.

Tchiani (nella foto sotto) ha assunto la presidenza del Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria (CNSP) lamentando le mancate misure per fronteggiare la crisi economica e “il deterioramento della situazione della sicurezza” nel Paese minato dalla violenza dei gruppi jihadisti, accusando Bazoum di aver “cercato di convincere la gente che tutto sta andando bene, la dura realtà è un mucchio di morti, sfollati, umiliazioni e frustrazioni. L’approccio di oggi non ha portato sicurezza nonostante i pesanti sacrifici”.

“Chiedo ai partner tecnici e finanziari amici del Niger di comprendere la situazione specifica del nostro Paese per fornirgli tutto il sostegno necessario per consentirgli di affrontare le sfide” ha detto il generale tendendo apparentemente una mano alle forze straniere presenti in Niger (1.500 militari francesi, 1.100 statunitensi e oltre 300 italiani).

Il nuovo organo di governo CNSP è stato istituito il 27 luglio con un proclama che ha stabilito la chiusura delle frontiere terrestri, dello spazio aereo e la proclamazione del coprifuoco notturno dalle 22 alle 5.

Le forze armate del Niger hanno annunciato di aver rovesciato le istituzioni nazionali a seguito del “continuo degrado della situazione di sicurezza e della cattiva gestione economica e sociale” si legge nel comunicato letto dalla televisione nigerina e firmato dal generale Salifou Mody, in cui si annuncia la costituzione del CNSP che ha ribadito il “rispetto di tutti gli impegni sottoscritti dal Niger”.

Mody, 64 anni  è l’ex capo di stato maggiore della Difesa rimosso dal presidente Bazoum nell’aprile scorso dopo una visita nel marzo scorso in Mali evidentemente non autorizzata o non gradita al governo e alla Francia  Il Mali è retto da una giunta militare che ha allontanato dal paese le forze francesi, della Ue e dell’ONU ottenendo aiuti militari dalla Russia (armi, consiglieri militari e contractors del Gruppo Wagner) per combattere l’insurrezione jihadista.

Lo stesso percorso compiuto dal vicino Burkina Faso che con Mali e Niger condivide le difficoltà nella repressione degli insorti jihadisti sia legati ad al-Qaeda (il Gruppo per il Sostegno dell’Islam e dei Musulmani – JNIM), sia quelli fedeli allo Stato Islamico (Stato Islamico nel Grande Sahara).

“Noi, le forze di difesa e di sicurezza, riunite all’interno del CNSP, abbiamo deciso di porre fine al regime che conoscete”, ha dichiarato il colonnello Amadou Abdramane (già direttore dell’i formazione del governo civile deposto) circondato da altri nove ufficiali.

Ufficiali ben noti ai comandi militari francesi e italiani a Niamey, che hanno addestrato in questi anni le forze nigerine.

 

Il ruolo del generale Mody

Tchiani, che secondo alcune voci Bazoum pare volesse rimuovere e che ha preso il 26 luglio il controllo del palazzo presidenziale e di altre sedi istituzionali della capitale Niamey, sembrava nelle prime fasi del golpe non aver trovato appoggi tra le forze armate e la Guardia Nazionale che, anzi, avevano intimato alla Guardia Presidenziale di liberare Bazoum e desistere dal tentativo di golpe.

Nel compattare le forze militari e di sicurezza a supporto del colpo di stato potrebbe aver avuto un ruolo di rilievo proprio il generale Mody (nella foto a lato) sollevato dall’incarico dopo la visita in Mali (certo malvista da francesi, europei e americani) e nominato nel giugno scorso ambasciatore negli Emirati Arabi Uniti senza che tuttavia avesse finora assunto l’incarico, come evidenzia la sempre ben documentata Agenzia Nova.

Nella situazione ancora caotica in Niger Mody il ministro degli Esteri, Hassoumi Massoudou, il 27 luglio si è autoproclamato primo ministro ad interim precisando che nonostante il “tentativo” di golpe al momento “l’unico potere legittimo e legale” riconosciuto è quello esercitato “dal presidente democraticamente eletto”, Mohamed Bazoum.

In una dichiarazione concessa a “France 24”, Massoudou ha ribadito che il tentativo di golpe “non è concluso”, confermando l’esistenza di tentativi di mediazione regionali in corso che coinvolgono il presidente del Benin, Patrice Talon, incaricato di mediare nella crisi in corso a nome della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (CEDEAO o ECOWAS) – e precisando al tempo stesso che i defezionisti non sono sostenuti da tutto l’esercito ne’ dal capo delle Forze armate, il generale Abdou Sidikou Issa che ha sostituito Mody lo scorso aprile.

 

Pressioni e mediazioni

Le valutazioni di Massoudou sono state però smentite dallo stesso generale Issa che ha annunciato l’adesione delle forze armate alla dichiarazione di destituzione del presidente Bazoum al fine di evitare uno “scontro mortale” che potrebbe causare un “bagno di sangue” e mettere a rischio l’incolumità della popolazione, oltre che per preservare la coesione nell’ambito delle Forze armate.

“Qualsiasi intervento militare esterno, di qualsiasi provenienza, rischierebbe di avere conseguenze disastrose e incontrollabili per le nostre popolazioni e (di seminare) il caos nel nostro Paese”, si legge nella nota, in cui lo Stato maggiore “ricorda che il nostro Paese è ancora afflitto dall’insicurezza imposta dai gruppi armati terroristici e da altri gruppi di criminalità organizzata” ed invita “tutte le Forze di difesa e sicurezza a rimanere concentrate sulle loro missioni”.

Anche i francesi sembravano nutrire ancora dubbi (e aspettative) circa l’esito del golpe militare. Il presidente Emmanuel Macron ha detto il 28 luglio di aver parlato più volte con Bazoum (nella foto a lato) che gli ha detto di essere “in buona salute” mentre il ministro degli Esteri, Catherine Colonna, ha sostenuto che la Francia non considera “definitivo” il “tentato” colpo di stato del 26 luglio pur anticipando che Parigi sosterrà eventuali sanzioni alla nuova giunta militare nigerina che venissero decise dalla CEDEA, simili a quelle già affibbiate a Mali e Burkina Faso.

La Francia ha inoltre annunciato la sospensione degli aiuti allo sviluppo al Niger pari l’anno scorso a 120 milioni di euro e previsti in leggero rialzo quest’anno.

L’Unione Europea non riconosce e non riconoscerà le autorità scaturite dal golpe” ha dichiarato oggi l’Alto rappresentante per la politica Estera e la sicurezza, Josep Borrell. “Il presidente Bazoum è stato eletto democraticamente, è e rimane quindi l’unico presidente legittimo del Niger – rimarca Borrell -. Il suo rilascio deve essere incondizionato e senza indugio. L’Ue ritiene i golpisti responsabili della sua sicurezza e di quella della sua famiglia. E siamo pronti a sostenere le future decisioni dell’Ecowas, inclusa l’adozione di sanzioni”.

Borrell ha poi annunciato l’immediata sospensione con effetto immediato del budget per gli aiuti e la cooperazione nel campo della sicurezza col Niger.

L’Unione Africana ha dato 15 giorni di tempo ai golpisti perché ripristinino l’ordine costituzionale nel paese. L’Unione Africana intima ai soldati coinvolti nel colpo di stato a far ritorno alle loro caserme “senza condizioni”. E avverte che il Consiglio di Sicurezza dell’Ua adotterà contro i golpisti “tutti i mezzi necessari, anche di carattere punitivo” se non verranno rispettati i diritti fondamentali di Bazoum. Il comunicato condanna il golpe “nei più forti termini possibili”.

Negli Stati Uniti il segretario di Stato americano Antony Blinken ha avuto colloqui telefonici con il presidente nigerino, Mohamed Bazoum, detenuto nella residenza presidenziale, e con l’ex presidente Mahamadou Issoufou. “Il segretario ha ribadito al presidente Bazoum il costante sostegno degli Stati Uniti e ha sottolineato l’importanza che rimanga alla guida a Niamey – ha riferito il portavoce del dipartimento di Stato, Matthew Miller.

Blinken ha sottolineato che “quanti detengono Bazoum stanno minacciando anni di cooperazione di successo e centinaia di milioni di dollari di assistenza a sostegno del popolo nigerino“, chiedendo quindi all’ex presidente Issoufou “di proseguire gli sforzi per risolvere la situazione a favore del governo democraticamente eletto a guida civile”. 

 

Il flop dell’intelligence, ennesima sconfitta francese nel Sahel

L’aspetto più curioso del golpe è che in apparenza i servizi segreti occidentali e in particolare delle nazioni che hanno truppe schierate in Niger e stretti rapporti con i locali comandi militari non abbiano né previsto né avuto sentore del pronunciamiento della Guardia Presidenziale poi seguita da tutte le forze armate.

Neppure la DGSE e l’intelligence militare francese che a Niamey sono da sempre di casa. Basti pensare che l’ambasciata di Parigi nella capitale nigerina si trova a poca distanza dal palazzo presidenziale sulla Avenue de la Republique, quasi a testimoniare visivamente il “tutoraggio” francese sulla sua ex colonia a 63 anni dall’indipendenza del Niger, nel 1960.

Per la Francia la perdita del controllo sul Niger avrebbe effetti disastrosi non solo perché si aggiungerebbe all’espulsione dei propri militari e dei propri interessi da Mali, Burkina Faso e Repubblica Centrafricana (a vantaggio della Russia) ma soprattutto perché il Niger fornisce a Parigi a prezzi contenutissimi circa il 30 per cento dell’uranio utilizzato per alimentare le centrali nucleari francesi. Uranio che fino al 2014 la Francia ha prelevato gratuitamente.

Il Niger è stato finora il bastione della presenza militare occidentale nel Sahel a contrasto dei movimenti jihadisti e dopo le defezioni di Mali e Burkina Faso e la difficile situazione in Ciad ha assunto un ruolo ancora più rilevante ricevendo forniture militari italiane, europee, francesi, statunitensi, egiziane e turche.

Difficile comprendere gli umori popolari in una nazione tra le più povere del mondo, grande oltre 4 volte l’Italia e con poco meno di 30 milioni di abitanti.

 

La mano di Mosca?

La sera del 26 luglio a Niamey alcuni sostenitori del presidente Bazoum le del Partito Nigerino per la Democrazia e il Socialismo (PNDFS) hanno manifestato chiedendo la liberazione del presidente venendo dispersi da colpi esplosi in aria dalla Guardia Presidenziale. Il giorno successivo si sono registrate invece manifestazioni a favore del golpe e per il ritiro delle forze francesi dal Paese tra lo sventolio di bandiere russe e il saccheggio della sede del PNDS.

Elementi comuni con quanto accaduto negli ultimi anni in altri paesi dell’Africa Centrale e Sahel che hanno indotto molti osservatori a ipotizzare il ruolo di Mosca nel golpe militare.

Come ha ricordato Fausto Biloslavo sul Giornale, “a Niamey, dallo scorso settembre, è apparso il Movimento62, che si propone di cacciare i francesi e le altre truppe straniere dal paese. In piazza sventolano bandiera russe e cartelli con scritto «abbasso la Francia» oppure «I love Putin». Il loro leader, Abdoulaye Seydou, è stato arrestato in febbraio, ma il sentimento anti francese farebbe proseliti anche fra i militari”.

Per il momento non vi sono elementi a sostegno del ruolo di Mosca nel golpe se si escludono le dichiarazioni del capo della Wagner, Evgheny Prigozhin (nella foto sotto a San Pietroburgo con l’ambasciatore della Repubblica Centrafricana), che plaude all’emancipazione africana dal neocolonialismo occidentali.

“Quello che è successo in Niger è una lotta del popolo contro i colonizzatori che hanno imposto le loro regole di vita, le loro condizioni e li tengono in una condizione che era nell’Africa di centinaia di anni fa. Oggi il Niger sta effettivamente guadagnando l’indipendenza liberandosi dei colonizzatori” ha detto Prigozhin a margine del Summit Russia-Africa che ha riunito a San Pietroburgo 49 delegazioni africane (su 54 nazioni) di cui ben 16 a livello di capo di stato.

Come ha sottolineato sul Washington Post il ricercatore John Lechner, specializzato sulla presenza della Wagner in Africa, non ci sono prove che la Russia o il gruppo Wagner siano direttamente coinvolti nel golpe in Niger e del resto Mosca ha chiesto come il resto della comunità internazionale la liberazione di Bazoum. Tuttavia, ha sottolineato Lechner, sia le forze filorusse, sia quelle anti Mosca sfrutteranno la situazione per portare avanti le proprie agende.

A questo proposito, al vertice Russia-Africa di San Pietroburgo, Mosca ha annunciato un piano di aiuti alimentari che vedrà sei nazioni africane (Burkina Faso, Zimbabwe, Mali, Somalia, Repubblica Centrafricana ed Eritrea) ricevere nei prossimi tre mesi fino a 50.000 tonnellate di grano ciascuno a titolo gratuito. Il Mali, retto dalla giunta militare filo-russa, otterrà da Mosca anche forniture di cibo, investimenti, sviluppo delle relazioni commerciali e incremento della quota di studenti maliani ammessi con borsa di studio nelle università russe da 35 a 290.

Europa e USA si sono già espressi a favore del reintegro di Bazoum ma non c’è dubbio che il modello occidentale in Africa è posto in seria crisi dalla penetrazione russa (e cinese) che offre aiuti militari ed economici non condizionati da “riforme” e adesioni a modelli culturali diversi da quelli locali.

Sul piano militare anni di presenza militare occidentale non hanno sconfitto il jihadismo e non è certo un caso che siano state le élite militari a rovesciare i governi in Mali, Burkina Faso e Niger. L’ostilità manifesta ai golpisti sta già provocando qualche tensione con la Francia, accusata dalla giunta militare di aver violato lo spazio aereo facendo atterrare all’aeroporto di Niamey (nella foto sotto) un suo aereo da trasporto militare A400M.

La giunta militare non ha invece denunciato l’atterraggio a Niamey di un aereo da trasporto VIP Gulfstream 4 appartenente alla compagnia turca AhlatcÄ Holding (società attiva in diversi settori inclusi finanza, miniere d’oro ed energia) proveniente da Istanbul. E’ presto per ipotizzare un ruolo russo nel golpe così come un ruolo della Turchia che pure negli ultimi tempi ha stretto forti rapporti militari con Niamey fornendo veicoli, aerei e droni.

 

Il supporto della giunta militare del Burkina Faso

Benché la giunta golpista abbia annunciato il rispetto degli accordi internazionali in vigore, inclusi quindi quelli che assicurano la presenza militare occidentale in Niger, non tranquillizza le cancellerie europee l’iniziativa della giunta militare al potere in Burkina Faso che ha chiesto una “cooperazione più stretta” con la nuova giunta nigerina.

Il ministro della Comunicazione, Rimtalba Jean Emmanuel Ouédraogo, ha dichiarato alla televisione pubblica che “il nostro auspicio è che insieme si possano stringere partenariati e cooperazioni più strette, e soprattutto che insieme si possa riprendere questa storica lotta contro i gruppi terroristici armati e ripristinare la dignità dei nostri popoli in modo sovrano”. La zona di confine tra Niger, Burkina Faso e Mali è la più calda di tutta l’Africa per l’insurrezione jihadista.

 

La presenza italiana

L’Italia schiera 300 militari in Niger per lo più impegnati nell’addestramento delle forze locali nell’ambito di una missione europea e di una nazionale anche se per Roma il paese del Sahel ha un ampio rilievo nella gestione dei flussi migratori illegali diretti in Libia e poi in Italia.

“Sembra che dietro questo golpe ci sia ancora una volta la Russia” ha dichiarato ieri il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli. “In questo scenario in cui le dittature del mondo, con in testa la Russia, diventano sempre più pericolose, per noi è un dolore quello che è accaduto. Il presidente Mohammed Bazoum era una speranza per quella terra tanto martoriata. Speriamo che il popolo sappia reagire e che non tutti i militari seguano questa scelta scellerata del gruppo della Guardia presidenziale”.

Dichiarazioni affrettate (il ruolo di Mosca non trova per ora conferme) e al tempo stesso tardive (i militari appaiono tutti schierati coi golpisti) che difficilmente contribuiranno a mantenere gli interessi e le prerogative italiane in Niger se la giunta militare a Niamey dovesse confermarsi pienamente in carica.

Del resto in tutta l’Africa e soprattutto nella cosiddetta “Françafrique” l’Italia ha avuto in questi anni (e forse avrebbe anche ora) molte occasioni di affermarsi come partner di riferimento per molte nazioni africane ma dovrebbe presentarsi come alternativa alla Francia (la cui influenza è sempre più avvertita con insofferenza come neocoloniale), non come partner subordinato a Parigi o alla Ue.

Quando nei mesi scorsi la giunta militare del Mali ha cacciato le truppe francesi dell’Operazione Barkhane se ne sono andati anche i contingenti europei inclusi i 200 militari italiani assegnati alla Task Force Takuba.

Se davvero Roma vuole sviluppare un “Piano Mattei” deve prepararsi a mettere in campo una vera e propria politica africana, autonoma e determinata, pronta a fornire aiuti economici e militari diretti e ad avviare salde cooperazioni bilaterali con i governi che guidano le nazioni africane (non solo con quelli che vorremmo le governassero) fondamentali per i nostri interessi nazionali.

D’altra parte se la risposta dell’Europa ai cambiamenti in atto in Africa sarà basata su sanzioni e blocco degli aiuti economici e militari, il risultato inevitabile sarà da un lato di far crescere la determinazione delle nazioni africane a smarcarsi dal “neocolonialismo” occidentale e dall’altro di lasciare campo libero alla penetrazione russa, turca e cinese.

@GianandreaGaian

Foto: Difesa.it, Twitter, Ministero Difesa Francese, Governo del Niger, Facebook, Air Info Agadez e EPA

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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