Il sondaggio inglese che conferna la minaccia islamica

da La Nuova Bussola Quotidiana

Farà discutere, o almeno dovrebbe, il sondaggio commissionato dalla BBC all’istituto ComRes per sondare il parere della comunità islamica del Regno Unito, stimata in 2,8 milioni di persone (pari al 4,4% della popolazione totale), a quasi due mesi dalla strage jihadista nella redazione parigina dio Charlie Hebdo.

Come spesso accade le percentuali riscontrate nelle risposte alle diverse domande sono interpretabili in diversi modi e anche se la multiculturale e buonista radio di Sua Maestà ha cercato di mettere in risalto i dati che considera più rassicuranti per l’opinione pubblica non mancano certo riscontri allarmanti.

Oltre un quarto (il 27%) del  campione di mille musulmani britannici intervistati  “comprende i motivi dietro all’attacco a Charlie Hebdo a Parigi” condotto dai fratelli Kouachi il 7 gennaio scorso.

Un dato che dovrebbe allarmare specie dopo che sono emersi i dettagli sulla vita borghese e apparentemente tranquilla di “jihadi John” il decapitatore dello Stato islamico apparso in numerosi efferati video il cui vero nome è Mohammed Emwazi,  londinese nato in Kuwait.

Chissà quanti potenziali “Emwazi” o “Kouachì” si celano dieto quel 27%  o tra quell’11% di musulmani residenti in Gran Bretagna che si sono detti convinti  che coloro che pubblicano le immagini di Maometto meritano di essere attaccati.

Certo la BBC preferisce  evidenziare che l’85% del campione ritiene il contrario e il 4% non sa o non risponde ma se dalle percentuali passiamo ai numeri i dati  estesi del sondaggio suggeriscono che 280 mila musulmani britannici concordano con i jihadisti e circa 750 mila condividono le motivazioni dei terroristi.

Nel complesso un milione di islamici britannici che ben difficilmente potremmo definire “moderati” . Più o meno gli stessi numeri e percentuali li ritroviamo nel sostegno al jihad contro l’Occidente: l’88%  dice di non provare alcuna simpatia per coloro che intendono combattere gli interessi occidentali mentre l’11% li condivide.

Da non dimenticare poi quel 32% degli intervistati che ha detto di “capire le ragioni di chi lancia attacchi in nome dell’Islam se la religione è stata insultata”. Si tratta sempre di quel milione di islamici britannici che evidentemente non condividono la valutazione de premier David Cameron il quale ha sostenuto il buon diritto della libertà d’opinione e di espressione in vigore nel Regno Unito di criticare e fare satira anche sulle religioni.

Il sondaggio evidenzia anche come il 46% degli intervistati ritenga che il Paese sia diventato meno tollerante nei confronti dei musulmani (ma il 49% non avverte questo cambiamento) mentre più di un terzo sente che i britannici non si fidano delle persone di fede musulmana.

Del resto se il 68%, è contrario alla violenza e agli attacchi terroristici contro chi pubblica immagini che ritraggono Maometto, il 78% degli intervistati ammette di sentirsi “offeso” quando le vede. Anche se l’85% degli intervistati si sono detti in disaccordo con l’affermazione che “le organizzazioni che pubblicano immagini del profeta Maometto meritano di essere attaccate”, se il 95% prova fedeltà verso la Gran Bretagna e il 93% si dice convinto che i musulmani devono obbedire in ogni caso alle leggi nazionali, a Londra c’è più di un motivo per stare in allerta.

“Sono dati che mi preoccupano” ha commentato  Sayeeda Warsi, primo ministro donna di religione musulmana in Gran Bretagna.

In effetti il numero di chi comprende, giustifica o condivide i jihadisti è  impressionante ma solo per chi continua a stupirsi di ciò che dovrebbe essere già ben noto dopo l’esultanza registrata in gran parte del mondo islamico per gli attacchi dell’11 settembre 2001 e i numerosi sondaggi che negli ultimi 14 anni hanno messo in luce la diffusa impermeabilità delle comunità islamiche in Occidente ad accettare, se non condividere, principi e valori libertari che sono alla base della nostra società.

Principi e valori  che le leadership occidentali spesso difendono solo timidamente nei confronti delle pretesa “specificità” islamica che in molti casi costituisce l’ostacolo principale all’integrazione delle comunità musulmane in Europa e nei Paesi occidentali.

Una timidezza frutto di decenni di multiculturalismo, terzomondismo e accoglienza generalizzata ma che rappresenta anche il sintomo del timore sempre più diffuso nei governi europei di dover fronteggiare violente insurrezioni interne specie in alcune  periferie urbane ormai caratterizzate da una quasi totale omogeneità etnica/religiosa.

Interpretare positivamente i dati emersi dal sondaggio britannico, come fa la BBC, aiuta a mascherare una realtà sempre più evidente ma non certo ad affrontare e risolvere il problema che l’Occidente e il mondo intero ha con l’Islam.

Paradossale che di questa sfida abbiano manifesta consapevolezza i leader di alcuni Paesi musulmani (come il presidente  egiziano Abdel Fattah al-Sisi che ha invocato una necessaria e sostanziale “riforma” dell’Islam) ma non i governanti occidentali preoccupati di precisare ossessivamente quasi ogni giorno che il confronto non è con l’Islam ma con i “terroristi”, che non vengono peraltro mai definiti “islamici”.

O che si ostinano a non voler definire “Stato” il Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi nonostante controlli un territorio vasto quanto la Gran Bretagna con una vera amministrazione pubblica e persino una moneta.

Eppure per comprendere l’abisso che ci separa dall’Islam è sufficiente ricordare la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo promulgata nel 1948 dalle Nazioni Unite che i Paesi islamici non hanno mai sottoscritto perché contraria ai precetti coranici e alla sharia. Il motivo è facilmente comprensibile fin dalla prima riga dell’articolo 1 della Dichiarazione che recita: “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”.

Foto: Stato Islamico

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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